L'intervento

ESG: come la sostenibilità impatta sui mercati finanziari

La sostenibilità non è solo una questione di coscienza ma è importante anche per il “salvadanaio”: i rischi di non integrare valutazioni di sostenibilità non sono solo reputazionali ma anche finanziari. Com’è cambiato il framework normativo, quali sono le quattro sfide aperte per una vera transizione ESG dei mercati

Pubblicato il 03 Giu 2021

Marco Giorgino

Professore di Istituzioni e Mercati Finanziari, Direttore Scientifico Osservatorio Fintech & Insurtech - Politecnico di Milano

Photo by Riccardo Annandale on Unsplash

Nel lungo termine, le questioni ambientali, sociali e di governance (ESG) – che vanno dal cambiamento climatico alla diversità all’efficacia del consiglio – avranno impatti finanziari reali e quantificabili: nel 2016 Larry Fink, CEO di Blackrock, il più importante investitore a livello mondiale, inviava una lettera ai CEO delle società incluse nell’indice S&P 500 dell’epoca con un messaggio molto chiaro.

Da quel momento è cambiato qualcosa, che oggi è entrato nel mainstream delle strategie e dei processi di investimento: l’approccio degli investitori e, quindi, di conseguenza, delle società quotate che raccolgono capitali sul mercato. Quello che era un filone “satellite” e marginale si è trasformato in qualcosa di molto più profondo, di cui gli effetti oggi sono evidenti e, comunque, molti ancora da venire.

Quanto è di moda l’ESG: perché la sostenibilità è diventata un valore aggiunto per le aziende

I fattori che hanno portato alla grande rilevanza della sostenibilità sono svariati e vanno da aspetti di natura valoriale e politica ad aspetti di natura economica e finanziaria. Questi ultimi sono proprio quelli cui il CEO di Blackrock faceva riferimento.

All’epoca si stava diffondendo, anche come effetto di analisi e track record sempre più consolidati, la convinzione che la selezione dell’universo investibile e la allocazione del portafoglio basati anche su fattori ESG contribuissero ad ottimizzare, nel medio e lungo termine, la performance (real and quantifiable financial impacts), stabilizzando i rendimenti e riducendo la dipendenza dei risultati dai fattori di rischio idiosincratico.

I numeri iniziavano a “tornare” e questo spingeva sempre più investitori a selezionare gli investimenti guardando al loro profilo ESG. E sempre più società, nella ricerca di capitali, hanno dovuto iniziare a confrontarsi con questi investitori, diventando a loro volta sempre più attente ai profili della sostenibilità. In pochi anni l’accelerazione è stata crescente, anche attraverso una sempre più forte attenzione delle Autorità internazionali sia politiche che finanziarie e bancarie internazionali.

ESG, sostenibilità e mercati: come è cambiato il framework normativo

All’interno di questo contesto, infatti, è stato costruito, ed è in fase di consolidamento, un framework regolamentare che spinge mercati, intermediari e investitori a rendere le proprie strategie e, di conseguenza, il proprio modo di fare business sempre più integrati con i temi della sostenibilità. Tutto questo non è solo il frutto di una crescente consapevolezza dell’importanza dell’attenzione all’ambiente, alle persone, ai meccanismi di governo come elementi solo etici o di natura valoriale, ma è la conseguenza dell’aver imparato che attraverso la valutazione di questi aspetti si contribuisce ad una più efficace ed efficiente capacità di creare valore, ottimizzando i profili di rischio e di rendimento.

Quindi la sostenibilità non è solo importante per le nostre coscienze e per il futuro delle nuove generazioni, aspetto già di per sé risolutivo, ma lo è anche per il nostro ‘salvadanaio’. E i rischi che si rinvengono dal non integrare le valutazioni di sostenibilità non sono soltanto reputazionali ma sono finanziari generando appunto real and quantifiable financial impacts.

Un’evidenza molto recente di quanto questo sia vero sta, ad esempio, nelle linee guida EBA sui temi ESG emanate nel 2020 e in vigore dal 2021 che definiscono per le banche una serie di principi da seguire per la gestione e controllo del rischio di credito, ponendo l’attenzione non soltanto sulle variabili economiche, patrimoniali e finanziarie delle imprese, ma focalizzandosi anche sui fattori environmental, social e di governance.

La ratio è proprio quella di contribuire attraverso la regolamentazione a migliorare il processo di credit risk assessment e, così facendo, di contribuire ad una maggiore qualità degli attivi bancari. Il regolatore indirizza le banche affinché, incorporando i profili ESG nella gestione del credito, evitino che i rischi ad essi relativi possano portare ad un deterioramento della qualità degli attivi se questi non sono valutati ex ante e poi monitorati nel tempo. È quindi un aspetto che entra nel vivo delle strategie creditizie e di gestione del rischio di credito.

Il contesto fin qui descritto è già rappresentativo di un elevato livello di potenzialità all’interno del quale, però, viene ad inserirsi tutto ciò che deriva dalla necessità di fronteggiare la crisi pandemica da Covid 19. I piani di recovery e di rilancio a livello internazionale, così come in Italia, sono marcatamente costruiti sui temi della sostenibilità, con stanziamenti di risorse mai registrati prima e obiettivi per il futuro che mettono molta attenzione all’ambiente, alle questioni relative alla transizione energetica, ai temi dell’inclusione sociale. Da oggi in avanti -ed è già un fenomeno ampiamente in atto- i flussi di capitali sempre più saranno orientati da driver riconducibili alla sostenibilità.

ESG e mercati: le quattro sfide aperte

È possibile evidenziare quattro elementi da non sottovalutare se si vuole cogliere appieno l’intera portata della sostenibilità sulla vita delle imprese, dei mercati, e, di conseguenza, della società in cui viviamo e vivremo.

Il primo è relativo a come viene valutato il profilo di sostenibilità di chi è sul mercato e raccoglie capitali. Di rimando, quindi, anche alle metriche e agli indicatori su cui si poggia il confronto nonché l’analisi da parte di investitori e stakeholders finanziari. Molto è stato fatto ma molto va ancora fatto affinché ci siano metriche e indicatori che consentano di andare in profondità mitigando il rischio di green washing, oggi ancora molto forte, e consentendo di avere un adeguato trade-off tra costo dell’informazione e dell’analisi e beneficio informativo derivante. L’analisi dei profili ESG non può ancora oggi poggiare su supporti informativi omogenei tra imprese che, attraverso forme di reporting consolidate e meno differenziate tra loro, diano la possibilità agli investitori di poter ottimizzare il rapporto costi/benefici di un’analisi anche comparativa tra soggetti diversi. Per dirla in altro modo, l’area della sostenibilità ha bisogno di un incremento del livello di efficienza informativa.

Il secondo è relativo a come i profili della sostenibilità entreranno nel mondo del credito bancario. Gli investimenti in equity e in debito di mercato hanno già un significativo track record e gli investitori hanno già una ormai radicata abitudine a valutare i profili ESG delle società con titoli quotati, così come le stesse società stanno ormai implementando strategie sempre più orientate alla sostenibilità, comunicandole al mercato. Il mondo del credito bancario, invece, è ancora molto “acerbo” rispetto alla considerazione dei profili ESG nelle scelte allocative. Oggi, però, per i motivi precedentemente richiamati, il credito deve assolutamente integrare queste valutazioni. E qui si giocherà una parte importante della sfida, ossia sulla capacità delle banche di saper includere nel proprio business creditizio informazioni e dati sui profili di sostenibilità dei loro clienti, dandone un valore predittivo rispetto alle capacità di rimborso e alle probabilità di default. Da modelli basati principalmente su informazioni economico-finanziarie si deve evolvere verso modelli integrati che attraverso informazioni quantitative e qualitative possano aumentare la capacità di underwriting e di monitoring delle esposizioni. Bisogna ricordare, però, che questa sfida non è agevole, considerato che la maggioranza dei clienti imprese in Italia è rappresentata da piccole e medie imprese, ancora, in larga parte, lontane dalla cultura della sostenibilità e con informative societarie non sempre complete e tempestive. Ma è altrettanto vero che quanto più attraverso l’allocazione del credito si spingeranno le imprese ad essere sostenibili tanto più l’economia a sua volta diventerà più sostenibile e, con essa, la società.

Veniamo al terzo punto, rappresentato proprio dal ritardo delle PMI su alcuni ambiti che hanno a che fare con i profili environmental, social e governance. Se vogliamo che si attivi un circolo virtuoso sulla sostenibilità dobbiamo aiutare le imprese in questo percorso. Ed è responsabilità anche di chi alloca i capitali farlo. Le piccole e medie imprese hanno la necessità, se vogliono accedere ai capitali, e l’opportunità, se vogliono sviluppare il loro business, di intraprendere anch’esse un percorso che integri la sostenibilità nelle strategie e nel modo di stare sul mercato. Ci vorrà del tempo ma bisogna iniziare da subito. Peraltro, le ingenti risorse che verranno immesse nel sistema anche per effetto del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) potranno favorire questa accelerazione.

L’ultima considerazione sta nel valutare questa occasione come una grande opportunità per andare oltre la compliance nell’affrontare il tema della sostenibilità evitando scelte che si configurino più come soluzioni di green washing che non come reali evoluzioni dei modelli di business esistenti verso modelli di business sostenibili. Il punto è proprio questo, ossia che la sostenibilità possa diventare parte integrante della cultura aziendale, della cultura di business e del modo di essere delle imprese e dei loro stakeholder.

Lavorare in modo efficace su questi quattro punti non potrà che portare a risultati soddisfacenti che segneranno in modo positivo l’evoluzione dei mercati finanziari e bancari e della nostra economia e società.

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