l’analisi

eSport: quale tassazione per i redditi prodotti dai gamer



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La crescita del mercato degli eSports non è stata accompagnata dall’introduzione di una regolamentazione di settore. L’incertezza circa la natura giuridica dei rapporti nel mondo degli eSports ha pertanto riflessi anche sulla qualificazione reddituale dei compensi dei gamers. Il punto

Pubblicato il 18 ott 2023

Francesco Spinello

Comitato Scientifico Assoinfluencer, Dottorando di Ricerca in Diritto Tributario, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Avvocato in Roma



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Nell’ultimo decennio il processo di digitalizzazione dell’economia ha consentito lo sviluppo di nuovi modelli di business, favorendo l’automatizzazione degli apparati industriali, la dematerializzazione dell’attività di impresa e il contestuale ingresso nel mondo del lavoro di nuove figure professionali specializzate nella creazione di contenuti attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali e dei social network (i cosiddetti “digital creators”).

All’interno di tale categoria è possibile ricomprendere anche i “gamers”, ossia coloro che partecipano a competizioni di eSports [1], svolte anche sotto forma di leghe e tornei, in cui singoli giocatori o team di professionisti si sfidano attraverso l’utilizzo di videogiochi sulle piattaforme di gioco virtuali[2].

La crescente importanza economica del settore eSports, tuttavia, non è stata accompagnata dall’introduzione di una regolamentazione di settore, sia al livello nazionale, sia al livello internazionale. Persiste dunque una situazione di incertezza sia sotto il profilo dell’inquadramentogiuridico del fenomeno degli eSports, sia, conseguentemente, sotto il profilo dell’inquadramento fiscale dei redditi prodotti dai gamers a fronte della partecipazione alle competizioni e-sportive.

Natura giuridica dell’attività svolta dai gamers

Dal punto di vista strettamente giuridico, occorre comprendere il rapporto tra il gaming competitivo e il diritto sportivo: in questo senso occorre domandarsi se gli e-sports, o, quantomeno, i giochi elettronici che simulano uno sport tradizionale, siano assimilabili a dei veri e propri sport. A quanto consta, tuttavia, il procedimento di riconoscimento dell’e-sport quale vera e propria disciplina sportiva è ancora in corso di definizione: all’inizio del 2022, infatti, il CONI e il CIO hanno sottoscritto un protocollo con il comitato promotore eSports (Sport Virtuali Italia) che prevede tale riconoscimento, oltre alla costituzione, entro il 2024, di una federazione ad hoc dedicata agli sport virtuali.

In ogni caso, in Italia non esiste ancora una specifica regolamentazione de fenomeno degli eSports; solo il 7 febbraio 2023 è stata depositata alla Camera la proposta di legge n. 868 (“Disciplina degli sport elettronici o virtuali (e-sport) e delle connesse attività professionali ed economiche”), assegnata alla VII Commissione Cultura in sede referente il 30 marzo 2023.

La necessità di una apposita regolamentazione discende dalla considerazione che, come chiarito dal documento riepilogativo di una recente indagine conoscitiva parlamentare del 2 marzo 2022[3], i gamers presentano problematiche ed esigenze specifiche, legate – come anticipato – alla assimilabilità degli e-sport e dei giochi elettronici agli sport tradizionali, mentre per molte altre caratteristiche affrontano situazioni comuni agli altri soggetti che creano contenuti da rendere disponibili attraverso le reti digitali; guardando, infatti, alle modalità di svolgimento dell’attività, i giocatori sono assimilabili ai creatori di altri contenuti, distinguendosi solo per la particolarità del contenuto creato e reso disponibile online[4].

La deregulation degli eSports produce incertezze anche sul piano dell’inquadramento giuridico del rapporto tra il gamer e il team che lo ingaggia, con i connessi risvolti fiscali. A tal fine non sembra poter trovare applicazione la Legge n. 91/1981 che disciplina i rapporti tra società e sportivi professionisti, posto che la stessa trova esclusivamente applicazione nei confronti di atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e, quindi, in un settore dichiarato professionistico dalla federazione di appartenenza.

Pertanto, il rapporto tra il team e il gamer non dovrebbe poter essere equiparato a quello che lega i clubs calcistici tradizionali e i calciatori professionisti; per questi ultimi, infatti, ai sensi dell’art. 3, 1° comma della Legge n. 91/1981 la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato, ragion per cui la remunerazione dell’atleta è inquadrabile tra i redditi di lavoro dipendente di cui all’art. 49 del d.P.R. n. 917/1986 (T.U.I.R.).

Le cose non cambiano guardando al mondo dello sport dilettantistico, i cui confini, tra l’altro, in assenza di una disciplina legislativa tesa a definirne i contenuti, possono essere individuati in via residuale rispetto a quanto disciplinato dalla Legge n. 91/1981 per lo sport professionistico[5].

Il mercato degli eSports

Il motore degli eSports è l’attività di streaming, stimolata dalle stesse piattaforme digitali, anche grazie ad accordi di partnership o di sponsorizzazione conclusi tra tali piattaforme e i gamers selezionati sulla base del fattore followers e del loro seguito virtuale (c.d. fan base). In questo contesto, moltissimi brand promuovono i propri prodotti durante il live streaming con i tradizionali banner pubblicitari, oppure mediante il consumo e la promozione in diretta di beni o servizi da parte dei gamers.

Le piattaforme più avanzate consentono ai gamers con un consistente numero di followers di utilizzare un software per permettere ai fan di iscriversi a pagamento al loro canale digitale; a tal fine, i followers possono utilizzare anche alcune valute virtuali, come ad esempio il bit, avendo persino la possibilità di effettuare donazioni al fine di sostenere economicamente i loro beniamini.

Secondo gli analisti, quella degli eSports è una industry in continua crescita, con ricavi attesi entro il 2023 pari a circa 1,6 miliardi di dollari, a fronte di un bacino d’utenza di circa 646 milioni di persone[6]; un segmento con importanti prospettive di crescita è costituito dai videogiochi che simulano le discipline sportive, tra cui il calcio, il motociclismo e l’automobilismo.

Il trattamento fiscale dei redditi prodotti dai gamers in Italia

Nel dettaglio, i redditi prodotti dai gamers possono essere ricompresi nelle due seguenti categorie:

  • proventi derivanti dall’attività di gaming online, tra cui i pagamenti di premi in denaro e le vincite che i gamers ricevono direttamente o tramite il team di appartenenza, nonché i compensi corrisposti dalle piattaforme di streaming video per la trasmissione dei contributi in live streaming;
  • proventi relativi ad accordi di sponsorizzazione e di merchandising, dunque, quei corrispettivi in denaro o in natura (ad esempio la fornitura di attrezzature gratuite o altri benefici accessori correlati) che il gamer consegue dallo sfruttamento economico della propria immagine.

Tali redditi potrebbero essere ricondotti nell’ambito della categoria dei redditi di lavoro autonomo di cui all’art. 53 del T.U.I.R., dei redditi di lavoro dipendente ex art. 51 del T.U.I.R., piuttosto che nell’alveo dei redditi diversi di cui all’art. 67 T.U.I.R.. Occorre dunque procedere ad una verifica caso per caso in modo tale da comprendere, anche alla luce dei rapporti contrattuali esistenti tra le parti coinvolte, in quale categoria reddituale siano ascrivibili i redditi prodotti in Italia dai gamers.

In relazione ai proventi derivanti dall’attività di gaming online e ai proventi corrisposti agli e-gamers dalle piattaforme di streaming video, occorre considerare la natura della prestazione svolta dal giocatore, la quale potrebbe presentare carattere occasionale o, viceversa, abituale e professionale.

Attività svolta in via occasionale

Qualora l’attività del gamer sia svolta in via occasionale, i proventi derivanti dalla vincita di tornei saranno ragionevolmente ricondotti nell’ambito della categoria dei redditi diversi e, in particolare, tra i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente (art. 67, comma 1, lett. l) del T.U.I.R. con ritenuta a titolo di acconto del 20% (art. 30 del d.P.R. n. 600/1973); per il calcolo della relativa base imponibile, l’art. 70, comma 2 del T.U.I.R. stabilisce che tali redditi sono costituiti dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione.

Tuttavia, non si può escludere che i medesimi compensi da prestazioni e-sportive occasionali possano rientrare nella categoria dei redditi diversi (art. 67, comma 1, lett. d) del T.U.I.R.) considerando i tornei di gaming come vere e proprie prove di abilità, con conseguente ritenuta alla fonte a titolo di imposta del 20% ex art. 30 del d.P.R. n. 600/1973.

Attività di carattere abituale

Nel caso in cui gamer svolga un’attività di carattere abituale, invece, occorrerà distinguere. Laddove l’attività venga svolta senza vincolo di subordinazione, il compenso del gamer potrebbe rientrare nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo (art. 53 del T.U.I.R.), con conseguente:

  • apertura della partita IVA per la fatturazione dei relativi proventi, con codici ATECO differenti (82.99.99 “altri servizi alle imprese” per l’attività di gamer vera e propria; 73.11.02 “conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari” per i guadagni in maggior parte derivanti dai canali social; 63.12.00 “gestione portali web” per i gamer che gestiscono un proprio portale o che operano tramite portali o piattaforme);
  • tassazione ai fini IRPEF progressiva per scaglioni e ritenuta alla fonte a titolo di acconto pari al 20% salvo l’accesso in presenza dei relativi requisiti al regime forfettario;
  • iscrizione all’INPS per il versamento dei contributi previdenziali sui propri compensi (in tal caso si procederà all’iscrizione alla gestione separata INPS).

Diversamente, qualora l’attività sia svolta alle dipendenze del team di appartenenza, il reddito sarebbe ascrivibile alla categoria dei redditi di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 49 del T.U.I.R. con applicazione della ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.

Conclusioni

L’incertezza circa la natura giuridica dei rapporti nel mondo degli eSports ha riflessi anche sulla qualificazione reddituale dei compensi che i gamers, soprattutto quelli di maggior successo, possono ritrarre dallo sfruttamento economico dell’immagine, nelle diverse forme oggi configurabili, quali ad esempio le sponsorizzazioni e l’endorsement.

Ed infatti, mentre nel caso di cessione diretta al team del diritto di sfruttamento economico dell’immagine i compensi percepiti dal gamer dovrebbero essere riconducibili al rapporto di lavoro (dipendente o autonomo) instaurato con il team medesimo, negli altri casi la qualificazione del reddito non è così lineare, potendo gli stessi ricadere in linea di principio:

  • nella categoria dei redditi di lavoro autonomo di cui all’art. 53, 1° comma del T.U.I.R.;
  • nella categoria dei redditi diversi, in particolar modo tra i redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. l) del T.U.I.R.

Note


[1] L’Associazione IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association) e l’ISFE (Interactive Software Federation of Europe) definiscono gli e-sports come “leghe, circuiti competitivi, tornei o competizioni simili, che prevedono tipicamente un pubblico di spettatori, in cui giocatori singoli o squadre giocano a videogiochi, sia di persona che online, allo scopo di ottenere premi o per puro intrattenimento.”

[2] In linea generale le competizioni e-sports si svolgono:

  • online; i gamers si sfidano su una piattaforma digitale e la competizione viene trasmessa in diretta in video diffusione (c.d. «live streaming»);
  • offline; i gamers partecipano alla competizione sfidandosi innanzi ad una platea di appassionati. Le competizioni in modalità offline possono comunque essere trasmesse simultaneamente in live streaming su piattaforme online raggiungendo centinaia di milioni di spettatori in tutto il mondo (il principale torneo internazionale svoltosi con tali modalità è stato il Campionato Mondiale DOTA 2 con un montepremi finale di oltre 40 milioni di dollari nell’edizione 2021).

[3] Cfr. “Indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali”, XI Commissione Permanente (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei Deputati, 2 marzo 2022.

[4] Per ulteriori approfondimenti sul punto cfr. Scarioni, Martino, Cassoni, E-sport, gamer e influencer, La fiscalità dei redditi conseguiti dai creatori di contenuti digitali, in La tassazione degli sportivi: prestazioni sportive, sfruttamento del diritto all’immagine, attività di influencer, 2023, Wolters Kluwer, cap. V.

[5] Secondo questa prospettiva dovrebbero ritenersi atleti dilettanti tutti coloro i quali non svolgono una attività sportivaprofessionistica ex Legge n. 91/1981 ma, in ogni caso, praticano una delle discipline sportive riconosciute come tali dal CONI. A tal fine, l’art. 67, comma 1, lett. m) del T.U.I.R. prevede che le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle federazioni sportive nazionali dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto costituiscono redditi diversi. Tale disposizione, pertanto, non trova applicazione in relazione agli e-sports.

[6] Secondo il Rapporto sugli esports in Italia, realizzato da IIDEA in collaborazione con Nielsen, nel 2022 in Italia circa 475.000 persone hanno dichiarato di seguire eventi di e-sport ogni giorno, mentre 1.620.000 persone di seguire i medesimi eventi più volte alla settimana.

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