L’anno scorso, mentre il Parlamento australiano stava discutendo una legge sui media per sancire l’obbligo delle piattaforme di remunerare gli editori per la pubblicazione dei loro contenuti, Facebook ha cancellato molte pagine: di ospedali, servizi di emergenza, enti di beneficenza. Il social media di Meta ha subito parlato del caos creato, ma l’ha classificato, ca va sans dire, come involontario.
Facebook ha ricattato l’Australia per la legge sulle news
Oggi, i documenti di Facebook reperiti da Whistleblower Aid e le testimonianze depositate presso le Autorità statunitensi e australiane da informatori interni alla piattaforma, fanno pensare a una manovra deliberata e, detto senza infingimenti, ricattatoria.
Scontro Google, Facebook e editori in Australia: le conseguenze giudiriche ed economiche
Per rimuovere le pagine di servizi essenziali è stato messo in piedi un intervento ampio e sciatto, che ha danneggiato aree del governo e dei servizi sanitari proprio quando il Paese stava lanciando le vaccinazioni Covid. L’obiettivo, secondo gli informatori e i documenti, era quello di esercitare la massima leva negoziale sul parlamento australiano.
La cancellazione voluta da Facebook avrebbe dovuto riguardare solo testate giornalistiche. L’algoritmo realizzato per decidere quali pagine rimuovere, invece, ha preso di mira, si direbbe non a caso, altri account, la cui eliminazione avrebbe sicuramente influenzato il governo e il parlamento più di quelle a danno degli editori. Tra l’altro, nessuna notifica preventiva è stata inviata alle pagine interessate, e non è stato fornita alcuna informazione sugli strumenti da utilizzare per eventuali ricorsi contro la nefasta decisione.
L’inchiesta del Wall Street Journal
Dai documenti dei quali è venuto a conoscenza il Wall Street Journal grazie a Whistleblower Aid, si è potuto anche acclarare che più dipendenti di Facebook hanno cercato di lanciare allarmi sull’impatto e offerto possibili soluzioni, ma le segnalazioni e i suggerimenti hanno ricevuto, dai responsabili del team incaricato dell’affare, una risposta minima o ritardata. Dopo cinque giorni che hanno causato disordini in tutto il paese, il parlamento australiano ha modificato la proposta di legge al punto che, un anno dopo la sua approvazione, le sue disposizioni più onerose non sono state applicate a Facebook o a Meta. Le mail inviate da Campbell Brown (uno dei falchi che ha insistito per la posizione intransigente, nonché responsabile delle partnership di Facebook) Sheryl Sandberg e Mark Zuckerberg contengono congratulazioni e commenti entusiastici ai componenti del team per il loro lavoro. Così si esprimeva il direttore operativo di Facebook Sheryl Sandberg “La ponderatezza della strategia, la precisione dell’esecuzione, e la capacità di rimanere agili man mano che le cose si evolvevano, stabilisce un nuovo standard elevato”. E il CEO Mark Zuckerberg “Siamo stati in grado di eseguire rapidamente e adottare un approccio di principio per la nostra comunità in tutto il mondo, ottenendo quello che potrebbe essere il miglior risultato possibile in Australia”.
Facebook nega, com’è ovvio, che l’incidente provocato al Governo e ai Servizi sanitari fossero una tattica negoziale.
“I documenti in questione mostrano chiaramente che intendevamo esentare le pagine del governo australiano dalle restrizioni nel tentativo di ridurre al minimo l’impatto di questa legislazione fuorviante e dannosa”, ha affermato il portavoce di Facebook Andy Stone . “Quando non siamo stati in grado di farlo come previsto, a causa di un errore tecnico, ci siamo scusati e abbiamo lavorato per correggerlo. Qualsiasi suggerimento contrario è categoricamente e ovviamente falso”.
Facebook sentiva di aver bisogno di uno strumento ampio perché la legge non definiva le notizie, ha affermato Stone. Ma chi ha dimestichezza con la questione afferma che i dirigenti sarebbero stati a conoscenza che il processo di classificazione delle notizie messo in campo per la rimozione delle pagine era così ampio che probabilmente avrebbe colpito altre realtà. Hanno tuttavia deciso di andare avanti perché Facebook temeva che una definizione più ristretta potesse portarlo a violare la legge, che conteneva una clausola di non discriminazione che vietava alle piattaforme di portare link di alcuni editori di notizie e non di altri. Facebook avrebbe anche deciso di rimuovere le pagine, prima che la legge entrasse in vigore, perché temeva che gli editori potessero intraprendere un’azione legale per bloccare la possibilità di rimuovere le notizie appena approvata la proposta di legge.
Sempre più leggi su big tech e news
Quanto successo in Australia potrebbe essere un assaggio dei sistemi dei quali Facebook non esiterà a fare uso in altre parti del mondo, dove il problema della remunerazione degli editori è stato o sta per essere affrontato. Il mese scorso, il Canada ha introdotto una legislazione che costringerebbe Google e Facebook a impegnarsi in un processo che potrebbe includere l’arbitrato di “offerta finale” con gli editori per decidere sul pagamento.
E una legislazione simile sta circolando nel Congresso degli Stati Uniti.
La società che edita il Wall Street Journal, News Corp, l’anno scorso ha stretto accordi con Google e Facebook in Australia, ed è stata un’esplicita sostenitrice del fatto che tali piattaforme paghino per i contenuti pubblicati. I documenti esaminati dal Journal (forniti anche ai membri del Congresso), sono stati presentati nell’ambito di denunce depositate presso il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti e l’Australian Competition & Consumer Commission.
Rod Sims, presidente dell’Autorità di regolamentazione della concorrenza australiana al momento dell’”incidente”, ha affermato: “Ho dato loro il beneficio del dubbio, che hanno appena fugato”. Ciò commentando la spiegazione di Facebook all’epoca, secondo cui il blocco improprio di alcune pagine era stato un errore. Secondo Sims, tuttavia, le modifiche dell’ultimo minuto alla proposta di legge non hanno prodotto cambiamenti sostanziali indebolendone l’impianto complessivo, tanto che da quando è in vigore la legge sono stati stretti numerosi accordi privati, tra Facebook e Google, da una parte, e gli editori, dall’altra, per remunerare i contenuti. Il governo, sempre secondo il politico australiano, ha ottenuto la maggior parte di ciò che voleva, mentre Facebook ha dovuto subire “una massiccia inversione di tendenza rispetto alla posizione iniziale.
Secondo gli informatori, l’intento del progetto come tattica negoziale, per chi ci ha lavorato non era ambiguo.
“Era chiaro che non eravamo noi a rispettare la legge, e che stavamo dando un colpo alle istituzioni civiche e ai servizi di emergenza in Australia”: questo secondo un dipendente che è anche uno degli informatori vicini a John Tye, fondatore di Whistleblower Aid, l’organizzazione senza scopo di lucro che ha rappresentato anche l’ ormai famosa informatrice Frances Haugen.
Nelle denunce presentate alle autorità di regolamentazione, Tye sostiene vi sia stata “una cospirazione criminale per ottenere un trattamento normativo favorevole”.
La posizione di Google e Facebook
Facebook e Google hanno combattuto in Australia sostenendo che la legge originariamente proposta era impraticabile. Preoccupati per il precedente che la legge avrebbe stabilito, entrambi hanno effettivamente minacciato una sorta di blackout australiano: se la legge fosse passata, Google avrebbe chiuso il suo motore di ricerca, e Facebook avrebbe rimosso le notizie dalla sua piattaforma. Secondo le denunce, Facebook, per prepararsi a rimuovere le notizie, ha riunito una dozzina di persone, in gran parte membri del team News.
Invece di utilizzare il database di Facebook degli editori di notizie esistenti, chiamato News Page Index, il team ha sviluppato un classificatore di notizie algoritmico che, in sostanza, non distingueva tra le pagine dei produttori di notizie e le pagine che condividevano le notizie. I documenti di Facebook nelle denunce non spiegano il motivo per cui non è stato utilizzato l’indice delle pagine di notizie. Il motivo potrebbe essere il seguente: poiché gli editori dovevano aderire all’indice, esso non li avrebbe necessariamente inclusi tutti, ma solo quelli che, volontariamente, l’avevano fatto. Il team ha anche creato una sequenza temporale su come implementare la rimozione. La simulazione è stata illustrata prima che potesse essere sottoposta ad un’ulteriore verifica, disattendendo in tal modo una prassi consolidata.
Mentre la proposta di legge proseguiva il suo iter, Google ha fatto un deciso passo indietro rispetto alla paventata chiusura del suo motore di ricerca in Australia, stringendo invece accordi privati con editori di notizie.
La rimozione delle pagine Facebook
Circa una settimana prima del voto finale del parlamento, Facebook ha invece iniziato a rimuovere le pagine.
In un post sul blog in cui spiegava la mossa, Facebook ha affermato che stava interrompendo la possibilità per gli australiani di condividere notizie sulla sua piattaforma, e per gli editori internazionali di raggiungere il pubblico australiano su di essa, perché “la legge proposta fraintende il rapporto tra la nostra piattaforma e gli editori che la utilizzano per condividere i contenuti delle notizie”. È stato quasi subito chiaro che Facebook aveva bloccato molto più delle notizie. La stampa australiana e i documenti mostrano che Facebook aveva stoppato anche pagine di servizi sanitari come il Children’s Cancer Institute e Medici senza frontiere; servizi antincendio e di soccorso (durante la stagione degli incendi!), tra cui il Bureau of Meteorology e il Dipartimento dei vigili del fuoco e dei servizi di emergenza dell’Australia occidentale; servizi di emergenza medica e di contrasto alla violenza domestica. Il blackout dei servizi sanitari, tra l’altro, è arrivato proprio il 18 febbraio, mentre veniva annunciato il lancio del vaccino nazionale contro il Covid con le vaccinazioni destinate a partire il 22. Shona Yang, responsabile dei contenuti di Mission Australia, un ente di beneficenza che fornisce alloggi e servizi di salute mentale, ha affermato che il suo team monitora la casella di posta Facebook ogni mattina per nuove richieste e per rispondere a quelle di assistenza della notte precedente.
Durante la pandemia, ha affermato la signora Yang, Mission Australia ha anche utilizzato gruppi Facebook privati per rimanere in contatto con i clienti che avevano bisogno di aiuto. Ha rilevato inoltre che molti clienti cambiano i numeri di telefono ma usano lo stesso account Facebook, il che significa che la piattaforma è un modo cruciale per tenersi in contatto con le persone bisognose di supporto.
La mattina del divieto di notizie, i membri del suo staff hanno scoperto che non potevano condividere post su Facebook. Il gruppo ha pubblicato su altri canali di social media, facendo sapere ai clienti come potevano rimanere in contatto. “Mission Australia non è una testata giornalistica”, ha scritto in un post su Instagram. “I contenuti che condividiamo su Facebook mirano ad aiutare le persone vulnerabili”. All’interno di Facebook, alcuni dipendenti sono stati allarmati dal blocco di pagine che non avrebbero dovuto essere sospese, e hanno segnalato il problema tramite il registro interno di Facebook che viene utilizzato per tenere traccia dei problemi e delle loro soluzioni. “Abbiamo rimosso le pagine che chiaramente non erano di proprietà di testate giornalistiche”, ha scritto un dipendente. “Tali pagine includono quelle gestite da fonti ufficiali del governo, vigili del fuoco e servizi di emergenza, università, pagine sanitarie ufficiali e di enti di beneficenza per cause per senzatetto e contro la violenza domestica”. Il product manager ha scritto nel registro che al team era stato consigliato di essere “eccessivamente inclusivo” nelle pagine bloccate.
Il dipendente ha proposto di “trovare proattivamente tutte le pagine interessate e ripristinarle, dato il danno che questo sta arrecando alla reputazione di Facebook in Australia”. Facebook non solo non ha interrotto o invertito il processo, ma ha accelerato la rimozione, espandendo l’uso dell’algoritmo dal 50% al 100% di tutti gli utenti australiani nelle ore successive. Ciò é contrario alla tipica procedura di Facebook, il c.d. metodo “canarino”, che serve per testare una modifica su un numero limitato di utenti, ottenere feedback su eventuali problemi e regolare il prodotto prima di estenderlo. “Il modo in cui è stato programmato l’intero lancio era contrario alle pratiche standard per l’implementazione di modifiche importanti che possono avere potenziali effetti collaterali”, ha affermato un dipendente.
Com’è andata a finire
Il product manager ha quindi ha quindi delineato un piano per annullare il blocco improprio, iniziando con “i casi più ovvi” come le pagine del governo e dell’assistenza sanitaria, e rilevando l’opportunità di rivolgersi a un consulente legale esterno per casi “più sfumati”. Secondo alcuni dipendenti di Facebook questa comunicazione era degna di nota: in essa non si accennava a nessuno sforzo compiuto per evitare di bloccare in anticipo account e informazioni sensibili. Facebook ha molti strumenti, come le “liste bianche” che escludono alcuni utenti da alcune pratiche. “Non prendere in considerazione nessuno di questi strumenti, prima di implementare il divieto, non è stato un problema tecnico, ma una scelta”, affermano le denunce. I documenti mostrano che Facebook ha tentato di escludere le pagine del governo e dell’istruzione. Il primo giorno dell’azione, i dirigenti di Facebook hanno discusso del fatto che la piattaforma aveva bloccato impropriamente circa 17.000 pagine, di cui 2.400 “ad alta priorità”, come agenzie governative e organizzazioni non profit, sulle quali stavano lavorando per lo sblocco.
Qualche giorno dopo, Facebook e funzionari australiani giungono a un accordo per modificare la proposta di legge, inclusa una norma che consentisse al Ministro del Tesoro di valutare gli accordi tra editori e piattaforme prima di individuare quelle che avrebbero potuto prendere parte al processo di negoziazione al termine del quale avrebbe potuto essere adottato un arbitrato di offerta finale vincolante. Nella precedente versione, invece, la legge sottoponeva automaticamente le piattaforme al processo di negoziazione, che esse consideravano impraticabile e oneroso. I documenti testimoniano che la prima azione di Facebook dopo il raggiungimento dell’accordo è stata quella di sbloccare manualmente la pagina del governo nazionale australiano, una modifica che richiedeva solo tre righe di codice. Il giorno successivo, il Senato ha approvato le modifiche alla legge e, solo pochi minuti dopo, il responsabile delle partnership di Facebook, Brown, ha inviato le sue congratulazioni alla squadra. Poi è toccato alla Camera votare le modifiche. A questo punto, manco a dirlo, il social di Zuckerberg ha ripristinato tutte le pagine bloccate in precedenza.
In conclusione
Si è conclusa così una vicenda sulla cui gravità non c’è necessità di spendere altre parole a commento. L’accaduto è inquietante, e ciò è documentalmente provato. Cosa potranno dire Facebook e il suo boss, in questi giorni in giro in Italia per promuovere le sue idee innovative e futuristiche sul Metaverso, i suoi occhiali sempre più smart e sempre più invadenti della privacy? Le rivelazioni si vanno facendo sempre più precise e dettagliate, da molti anni ormai. Si può riporre fiducia in questo modello aziendale, o sarebbe il momento di fermare la ruota e riflettere un attimo? La risposta al quesito nei documenti di Whistleblower Aid.