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Gambino: “La riforma copyright danneggerà tutti, editori compresi”

La  riforma del diritto d’autore europeo appena approvata al Parlamento UE introduce il cosiddetto diritto ausiliario (ancillary copyright). Un equo compenso agli editori che però rischia di penalizzare questi stessi, oltre che la concorrenza e l’innovazione sul mercato. Ecco perché

Pubblicato il 13 Set 2018

Alberto Gambino

Ordinario di Diritto Privato University of Rome Europea

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La  riforma del diritto d’autore europeo appena approvata al Parlamento UE introduce il cosiddetto diritto ausiliario (ancillary copyright). Si tratta della facoltà per gli editori di far pagare un compenso per la pubblicazione di snippets (brevi estratti) di propri articoli, consentendo loro di ottenerne un compenso.

In effetti, con la rapida e sostanziale modifica della modalità di fruizione dei contenuti culturali online, nonché con la relativa, sempre più critica, distribuzione dei compensi, si è assistito a un considerevole incremento dell’offerta di contenuti, con la moltiplicazione delle relative modalità di fruizione e l’emersione di nuovi importanti operatori digitali nel mercato.

Gli effetti del diritto all’equo compenso sull’editoria

Tuttavia, l’introduzione di un nuovo diritto connesso avrà presumibilmente un impatto negativo proprio sugli editori in quanto la filiera editoriale, specie ove si tratti di editori di testate online, trae vantaggi economici dal traffico generato da servizi online collaterali (il cosiddetto traffico indiretto), ovvero da social network, aggregatori di notizie, messaggistica istantanea, email.

La creazione di un nuovo diritto comporterà numerosi obblighi di licenza non solo dagli autori titolari, ma anche dagli editori, con un aumento generale dei costi di transazione, disincentivando l’ampiezza e la diversificazione dell’offerta che verrebbe inevitabilmente frammentata.

Gli effetti su concorrenza e innovazione

Sotto il profilo antitrust, inoltre, i nuovi diritti costituiscono barriere all’ingresso e ostacolo alla concorrenza e all’innovazione, come del resto ha già fatto notare l’Autorità garante della concorrenza spagnola, Paese nel quale si era reso obbligatorio proprio il meccanismo dell’ancillary copyright. Inevitabilmente, l’introduzione di un nuovo diritto connesso in capo agli editori si ripercuoterebbe, infine, proprio sui consumatori finali, i quali sconterebbero un aumento di prezzi per l’accesso ai servizi della società dell’informazione e una maggiore difficoltà nel reperire contenuti. Diminuendo il pluralismo dei media, i consumatori saranno gravati anche da maggiori costi in termini di tempo per la ricerca. Ancora, in Spagna, si assiste a una perdita di 1,85 miliardi di euro l’anno per il cosiddetto “surplus del consumatore”, anche a tacere del rischio di un’estensione di responsabilità in capo agli utenti europei per la condivisione di collegamenti ipertestuali a contenuti illegali. L’introduzione del nuovo diritto connesso, potrà, in questa direzione, fortemente inficiare i servizi di creative commons, precludendo ai consumatori la possibilità di fruire di pubblicazioni proprio quando, per la volontà del proprio autore, sarebbero state diffuse liberamente e condivise in modalità prestabilite. Si pensi a tutte le pubblicazioni scientifiche che si basano sull’accesso aperto, quali, ad esempio, la Public library of science.

Sono fattori che invitano a un ripensamento in relazione a un meccanismo, quello sull’ancillary copyright che, nello scenario di un’economia digitale globale, rischia di ostacolare lo sviluppo e l’innovazione proprio là dove – e cioè in Europa – la condivisione della conoscenza è il motore della crescita, anche sociale e culturale, di oltre 500mila cittadini.

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