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Gati Shakti: il piano indiano per scalzare la Cina nel settore tech

Sebbene l’India e la Cina facciano fronte comune in alcune scelte politiche è evidente che fra le due potenze emergenti il conflitto sia pronto a scoppiare su molti fronti. E in questo contesto il delicato settore tecnologico costituirà senz’altro terreno di scontro economico e politico

Pubblicato il 14 Ott 2022

Riccardo Berti

Avvocato e DPO in Verona

india

Il primo ministro indiano Narendra Modi ha lanciato un ambizioso piano di investimenti per rendere più competitiva l’India nel settore tecnologico. Il piano è stato chiamato Gati Shakti (Gati in hindi significa “velocità” mentre “shakti” significa forza, quindi è possibile tradurlo come “forza della velocità”) e, come si può intuire dal nome, punta con decisione all’investimento ed allo sviluppo tecnologico nel campo delle infrastrutture.

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Sebbene negli annunci non la si menzioni esplicitamente, è evidente che il progetto indiano abbia nel mirino l’egemonia cinese (specie nel settore tecnologico), con l’India che intende diventare un attrattore di investimenti più forte del vicino cinese sfruttando l’accessibilità del mercato interno (non recintato dal “grande firewall” di Pechino o da particolarismi tecnologici dettati dalla politica) e sfruttando la propria immagine positiva (rispetto a quella della quasi-autocrazia cinese) nel mondo occidentale, che sarebbe felice di investire in un paese democratico laddove ci fossero infrastrutture competitive con quelle della Repubblica Popolare.

L’asso nella manica e i problemi dell’India

L’India ha poi, come asso nella manica, un grande numero di lavoratori che parlano fluentemente inglese da “spendere” in un mercato che sempre più fa uso e necessità di professionalità che sappiano lavorare e comunicare in inglese.

Nonostante queste ottime premesse, è proprio quello delle carenze infrastrutturali il grande problema dell’India secondo Modi, con la metà delle iniziative infrastrutturali avviate nel paese bloccate da gravi ritardi. Per questo il governo intende impegnarsi in questo enorme progetto che consisterà in una piattaforma tecnologica multimodale per mettere a sistema il lavoro di 16 ministeri al fine di sviluppare le infrastrutture più utili nel paese con tecnologie all’avanguardia (verranno anche utilizzate immagini satellitari per aiutare nella progettazione e monitoraggio degli interventi, e verranno utilizzati modelli informatici per razionalizzare gli interventi di interramento dei cavi per evitare continui scavi).

Il progetto ha un orizzonte di sviluppo di lungo termine e prevede anche iniziative che si concluderanno nel 2040. Logistica e connettività sono infatti due settori chiave per fare da motore di un’economia orientata ai settori più evoluti.

Il primo annuncio del Gati Shakti risale alla metà del 2021, ma la piattaforma sta prendendo corpo solo ora, grazie agli investimenti dei mesi scorsi, e proprio con ottobre 2022 si sta assistendo al lancio dei vari portali ed alla presentazione dei primi progetti di investimento.

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Le fabbriche di Apple

L’India, nel frattempo, ha già raccolto un primo successo in quest’ambito, con Apple che pochi giorni fa ha annunciato l’avvio della produzione degli iPhone 14 proprio in India. La fabbrica indiana, vicino a Chennai, è stata aperta dallo storico partner di Apple, ovvero Foxconn (colosso tecnologico taiwanese) ancora nel 2017, ma finora non era stata destinata all’assemblaggio dello smartphone di punta della casa di Cupertino, che finora era sempre stato prodotto in fabbriche cinesi. Questo passaggio è senz’altro significativo e risponde a una serie di fattori che hanno spinto Apple sempre più distante dalla manifattura cinese (come le problematiche con il governo statunitense, le restrizioni COVID, le tensioni con Taiwan, ma la chiave di volta sembra essere rappresentata dall’attrattiva derivante dagli incentivi fiscali e non garantiti da Nuova Delhi per l’aumento della produzione nel paese).

Le mai sopite controversie tra India e Cina

E l’India ha più di un motivo per contrastare in campo aperto il colosso cinese proprio nei settori in cui tradizionalmente questo è più forte, primo fra tutti la malanimosamente sopita controversia territoriale che vede contrapporsi Cina ed India sul confine che corre ad ovest del Nepal e ad est del Buthan.

Sebbene non sia affrontata con attenzione dai media occidentali, la controversia riguarda aree montuose di superficie enorme e ha portato a una guerra fra i due paesi nel 1962, risoltasi in una disastrosa sconfitta per l’India (conflitto peraltro mai seguito dalla stipula di un trattato di pace, con i due paesi formalmente ancora in guerra), nonché a una serie di conflitti diplomatici e anche militari negli anni seguenti, fino a una serie di scontri a fuoco avvenuti nel 2020-2021.

Sebbene quindi in certe situazioni India e Cina si siano trovate allineate sulla scena politica internazionale, il livello di conflitto fra le due nazioni-continenti è sicuramente elevatissimo e questo porta ad una competizione su tutti i livelli.

In futuro però l’India non vorrebbe dover dipendere da questi incentivi per attrarre investitori stranieri, ma piuttosto vorrebbe presentarsi ex se come un hub manifatturiero tecnologico di prima fascia anche grazie alla propria rete infrastrutturale all’avanguardia.

Le sanzioni a Xiaomi

In questo senso molti interpretano il recente sequestro di beni per 676 milioni di dollari all’azienda cinese Xiaomi come una ulteriore sfaccettatura di questo scontro.

Il sequestro, dovuto a presunte irregolarità fiscali da parte di Xiaomi, che avrebbe mascherato come pagamenti di royalties dei profitti, facendoli così uscire dal paese esentasse.

Il maxi-sequestro, che risale allo scorso aprile, ha di fatto bloccato l’operatività di Xiaomi in India. La compagnia cinese si è opposta alla misura ricorrendo in tribunale, ma pochi giorni fa l’Alta Corte dello stato del Karnataka ha nuovamente confermato il sequestro, aggiornando il caso al 14 ottobre per proseguire nell’esame della controversia.

Quello di Xiaomi è solo l’ultimo degli esempi per capire l’estensione del “conflitto” sino-indiano, che ha portato le autorità indiane ad ostacolare numerose aziende cinesi che operavano nel paese dallo scoppio delle tensioni sul confine nel 2020, ed ha anche introdotto regole più rigide per gli investimenti di aziende cinesi. Il governo indiano ha inoltre bandito numerose app di provenienza cinese dagli app store presenti sugli smartphone indiani (inclusa TikTok).

Conclusioni

Sebbene quindi l’India e la Cina facciano oggi fronte comune in alcune scelte politiche è evidente che questo fronte sia molto fragile e che fra le due potenze emergenti il conflitto sia pronto a scoppiare su molti fronti. E in questo contesto il delicato settore tecnologico costituirà senz’altro terreno di scontro economico e politico fra Pechino e Nuova Delhi.

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