il report 2023

Generali (Assintel): “Le nostre proposte per sostenere il Made in Italy digitale”



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Il Made in Italy digitale può essere descritto come un alunno con grandi capacità ma penalizzato da un contesto avverso: brilla nonostante gli ostacoli rappresentati da un approccio al digitale da sempre frammentario, dalla mancanza di competenze digitali e dalla scarsa disponibilità finanziaria. Ecco le proposte di Assintel al governo

Pubblicato il 13 nov 2023

Paola Generali

presidente Assintel



Investimenti digitalizzazione
(Immagine: https://pixabay.com/geralt)

Il digitale, in Italia, brilla nonostante il contesto sia sfavorevole. Se quel contesto migliorasse, potremmo davvero salire ai vertici delle classifiche mondiali, e vedere quel +5,8% di crescita del mercato IT nel 2023 salire a ritmi molto più elevati.

Ecco perché per dare un’idea della situazione del digitale nel nostro Paese, vorrei partire con una metafora che richiama i tempi della scuola. Ricordate cosa dicevano alcuni professori ai genitori? Il ragazzo ha potenzialità ma non si applica, oppure se solo sua figlia studiasse in modo più sistematico potrebbe avere voti molto più alti, e così via.

Il rapporto Assintel 2023

Ecco, siamo esattamente e questa è in estrema sintesi la fotografia che ci restituisce Assintel Report 2023, la ricerca realizzata da Assintel, Associazione Nazionale delle Imprese ICT e Digitali di Confcommercio, insieme alle società di ricerca IDC Italia e Istituto Ixé, con la sponsorship di Grenke, Intesa Sanpaolo, TIM e Open Gate Italia e presentata in Senato lo scorso 25 ottobre.

Ed è proprio sulla base di questi dati che – come associazione – sentiamo ancora più forte la nostra missione di essere a supporto della transizione digitale, sia nei confronti delle imprese sia della Pubblica Amministrazione: è proprio per questo che insieme al Report abbiamo anche presentato al mondo politico il nostro Position Paper, mettendoci al servizio delle Istituzioni.

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Un approccio al digitale troppo frammentato

Storicamente, l’approccio alla digitalizzazione nel nostro Paese è stato frammentato in termini di politiche, decisioni, normative, investimenti infrastrutturali e dialogo tra gli attori coinvolti. A complicare ulteriormente lo scenario c’è un tessuto produttivo assolutamente peculiare, fatto per la maggior parte da piccole e piccolissime imprese, che si muovono in un contesto burocratico, normativo e creditizio che le penalizza.

Pensate che ci sono ancora 130.000 imprese in completo digiuno digitale. E ancora: pensate che i principali ostacoli alla digitalizzazione si confermano essere la scarsa disponibilità finanziaria (31% delle imprese) e la mancanza di cultura innovativa e competenze digitali (32,4%).

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Come dire: si fa fatica a recuperare risorse o credito per investire nell’ICT, ma anche se fosse possibile esiste a monte un problema di mancanza di cultura imprenditoriale e manageriale necessarie per sfruttare e guidare la trasformazione digitale. Ed infine, qualora vi fossero, nel mercato del lavoro c’è un’abissale mancanza di competenze digitali. E’ a tutti gli effetti un percorso ad ostacoli, che andrebbe affrontato in modo programmatico e sistemico.

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L’ecosistema digitale italiano brilla, ma serve maggiore sostegno pubblico

Guardando il versante del mondo dell’offerta digitale, c’è una buona notizia. A noi piace chiamare queste imprese “Made in Italy Digitale”. Che non è quello delle big tech multinazionali, anzi, spesso esso esiste e brilla nonostante la loro invadente presenza. L’ecosistema imprenditoriale privato italiano ha dimostrato una notevole capacità di innovazione, promuovendo la creazione di numerose startup e imprese digitali di medie e piccole dimensioni. Queste realtà rappresentano un modello di successo nell’ambito dell’ICT, contribuendo positivamente alla crescita del mercato, anche in periodi economicamente difficili. Questo successo richiede un sostegno politico mirato per continuare a prosperare e consolidarsi come un’eccellenza italiana nel settore, e come un modello di territorialità sostenibile.

Le Istituzioni devono assolutamente prendere atto che il settore ha una predominanza di micro, piccole, medie imprese e startup, che devono essere messe nelle condizioni di creare innovazione.

In particolare, occorre intervenire su due filoni: innanzitutto sui bandi di finanziamento per la Ricerca e Sviluppo, facendo in modo che prevedano la possibilità di ottenere garanzie dirette una volta vinto il bando; in secondo luogo, facilitando l’accesso delle MPMI alle gare ICT della PA, suddividendole in lotti più piccoli e favorendo le aggregazioni fra i piccoli fornitori. Infatti, il tema delle gare pubbliche, degli appalti e della concorrenza è particolarmente sentito fra gli Operatori ICT, sistematicamente da anni sottoposti a pratiche di vero e proprio abuso da parte delle grandi imprese, che si sostanziano in un sistema di subappalti che porta le piccole imprese ad essere la loro “cassa” di finanziamento – pagate ben oltre i 60 giorni – e ad essere soggette a tariffe professionali addirittura al di sotto dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Servono norme che mettano il MEF nelle condizioni di monitorare e intervenire su questi fenomeni, nell’alveo delle normative europee che tutelano la libera concorrenza.

Nuove regole per sostenere l’innovazione nelle piccole imprese

L’altra grande sfida è il sostegno alla trasformazione digitale delle imprese, che per la maggior parte sono di piccole dimensioni. Ed è proprio pensando alle loro peculiarità che le istituzioni devono riprogettare la logica degli incentivi fiscali, imperniandola su una parola chiave: liquidità.

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Ad esempio, una MPMI che vincesse un bando dovrebbe poter ottenere immediatamente il 100% del contributo a fondo perduto anticipato da una banca, garantita dallo Stato attraverso l’aggiudicazione del bando stesso. La restante quota potrebbe essere finanziata dai COFIDI o mediante fondi di garanzia pubblici. Anche i criteri sul merito creditizio devono cambiare, basandoli sul progetto anziché sulla società richiedente. Questo metodo, simile al Project Financing, valuta la fattibilità degli investimenti attraverso indici come DSCR e LLCR, garantendo la banca. In questi casi la copertura degli investimenti avviene tramite prestiti Ponte, coperti dagli stati di avanzamento rendicontati.

Il nodo delle competenze digitali: questione culturale oltre che scolastica

Trasversale a tutte queste proposte c’è uno dei maggiori scogli che oggi incombe sulla trasformazione digitale: la mancanza di competenze digitali. E’ vitale intervenire concretamente sul sistema scolastico, in ogni suo ordine e grado, per colmare il divario.

Serve modificare l’offerta formativa della scuola pubblica per includere maggiori percorsi orientati alle discipline STEM, ma ancora prima avviare iniziative di sensibilizzazione sin dalla scuola primaria, per superare pregiudizi culturali e aumentare l’interesse delle ragazze verso le professioni digitali, e occorre potenziare e aggiornare le modalità con cui avviene l’orientamento scolastico. Passando alle scuole, dobbiamo potenziare i Licei Scientifici e gli ITIS con indirizzo Tecnologico, creare un fondo per lo sviluppo di programmi formativi in collaborazione con le aziende e la condivisione di sapere attraverso l’intervento di docenti esperti che provengano direttamente dal mondo delle imprese ICT. Ed infine serve un programma strutturato per promuovere partnership con le facoltà universitarie scientifiche, per creare lauree triennali verticali che preparino giovani competenze subito pronte per il lavoro.

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