Diritto d’autore

Gli ISP favoriscono la pirateria? Le cause aperte negli Usa e perché in Ue sarebbero impraticabili

Si moltiplicano negli Stati Uniti le azioni legali dei titolari dei diritti nei confronti dei fornitori di servizi on-line che ospitano siti web di condivisione di contenuti abusivi: quali effetti e ripercussioni nel mondo?

Pubblicato il 13 Ott 2022

Luciano Daffarra

C-Lex Studio Legale

giornali intelligenza artificiale

I fornitori di servizi a banda larga facilitano o, quanto meno, tollerano, la pirateria di massa?

La risposta sarebbe affermativa secondo la casa cinematografica statunitense Voltage Pictures[1] e altri titolari dei diritti ad essa collegati che nel mese di settembre 2022, hanno convenuto in giudizio di fronte ai tribunali di diversi stati, in momenti successivi ma ravvicinati nel tempo, tre fra i più importanti fornitori di servizi di connessione online, la Verizon Communications Inc.[2], la AT&T Inc.[3] e la Comcast Cable Communications LLC[4] (collettivamente “ISP”) per violazione dei diritti d’autore sulle loro opere.

Cause che in Europa difficilmente avrebbero potuto avere luogo in virtù delle problematiche sotto il profilo delle disposizioni in materia di privacy.

Copyright, come identificare gli autori delle violazioni nel file-sharing secondo la Corte di Giustizia UE

Le accuse delle case cinematografiche contro gli ISP

Le accuse mosse dagli attori negli atti introduttivi dei procedimenti avviati nei confronti degli ISP sono chiare. Secondo Voltage i fornitori dei servizi di connessione a banda larga faciliterebbero la pirateria di massa, nonostante essi siano stati informati di tale situazione e siano stati diffidati a fare cessare gli illeciti dei loro utenti. Ciò avviene – secondo i titolari dei diritti – in un contesto normativo che consente agli intermediari di sospendere il servizio di connessione agli abbonati che ne facciano ripetutamente uso ai fini della commissione di atti abusivi dei diritti di proprietà intellettuale dei soggetti terzi.

Infatti, in base a quanto riportato in atti, le violazioni dei diritti d’autore sulle opere della Voltage Pictures continuerebbero a essere tollerate dalle convenute nonostante esse abbiano ricevuto centinaia di migliaia di comunicazioni con la richiesta di disabilitare il servizio ai loro utenti inadempienti agli obblighi di legge e ai contratti in essere con gli ISP. In base alle azioni portate in tribunale da Voltage Pictures sarebbe interesse primario dei fornitori dei servizi convenuti continuare a lucrare sul costo degli abbonamenti alla banda larga, utilizzati per commettere nuovi atti di pirateria on-line.

La tipologia degli atti di violazione dei diritti contestati

I comportamenti illegali degli utenti si svolgerebbero, in base a quanto riportano in atti gli avvocati dei titolari dei diritti, attraverso l’uso del protocollo Internet denominato “BitTorrent” che permette il file-sharing dei contenuti protetti tramite il caricamento simultaneo di parti dei file delle opere audiovisive di Voltage.

Tali contenuti digitali, nel momento in cui un utente li scarica sul proprio PC, cominciano a essere condivisi con gli altri utenti che fanno parte dello stesso “sciame”, cioè con i soggetti che sono collegati l’uno con l’altro attraverso la rete Internet su un determinato sito web BitTorrent. Per appropriarsi di un’opera tutelata utilizzando tale tecnologia è necessario disporre di un “file torrent” che può essere acquisito con provenienza dai siti web torrent, i quali lo indicizzano e lo rendono disponibile agli utenti per il download.

Così brevemente sintetizzata la tipologia degli atti di violazione dei diritti protetti portati da Voltage Pictures all’attenzione dei giudici statunitensi, è necessario precisare come sia stato possibile per i titolari dei diritti raccogliere la prova della loro permanenza on-line e ricondurne la responsabilità a determinati soggetti.

Come è avvenuta la verifica delle attività illecite

In primo luogo, per identificare il nominativo dei service provider che hanno fornito la connessione agli utenti, la Voltage Pictures ha fatto ricorso al registro pubblico dei numeri degli IP (il whois di ARIN[5]), il soggetto che assegna gli indirizzi IP ai fornitori dei servizi di connessione, i quali – a loro volta – li attribuiscono agli abbonati. Fatto questo primo passo volto a conoscere i nominativi degli ISP i cui servizi vengono utilizzati dagli utenti per condividere i film della parte attrice, la Voltage Pictures ha poi ingaggiato un data provider allo scopo di identificare gli indirizzi IP collegati a ciascun ISP, allo scopo di stabilire quali fossero quelli impiegati per l’accesso ai contenuti protetti condivisi fra gli utenti tramite il protocollo BitTorrent.

La società incaricata di questa verifica ha utilizzato un programma forense in grado di accertare la presenza di attività illecite sui network P2P, pervenendo alla conclusione che numerosi utenti abbonati ai servizi degli ISP convenuti in giudizio li avevano utilizzati per lo scambio di file dei film di proprietà degli attori, sfruttando appunto il protocollo BitTorrent. L’entità delle violazioni accertate attraverso l’uso del programma forense impiegato da Voltage Pictures è stata stimata in centinaia di migliaia di casi negli ultimi tre anni. Questi atti illeciti sono stati commessi dagli utenti nonostante gli ISP avessero ricevuto da parte dei titolari dei diritti molteplici diffide a porre fine alle violazioni. Tali comunicazioni, trasmesse tramite apposite piattaforme digitali, risultavano essere circostanziate nel contenuto in quanto riportavano il nome del titolare dei diritti, il titolo di ciascuna opera violata, l’identificativo del file pirata, l’indirizzo IP e il port number del luogo ove l’illecito era stato commesso, la data e l’orario dello stesso, il fatto che l’abuso venisse compiuto tramite un protocollo Bit Torrent.

Pur essendo a conoscenza delle violazioni contestate – hanno scritto i legali degli attori – gli ISP non hanno cessato di fornire i servizi di connessione ai propri abbonati; essi invece hanno consentito loro di proseguire nell’avere accesso ai medesimi al fine di commettere altri atti illeciti. Tale tolleranza si sarebbe verificata pur in presenza di una clausola che consente agli ISP di risolvere in qualunque momento il contratto in essere con gli abbonati, in caso di violazioni da parte loro del copyright di terzi. Inoltre, il fatto che i fornitori dei servizi di connessione non avessero agito prontamente per impedire il compimento di ulteriori atti di pirateria da parte dei loro abbonati costituirebbe, oltre che un’omissione dovuta a grave negligenza, anche un incentivo per altri soggetti a rivolgersi ai medesimi ISP con lo scopo di commettere ulteriori violazioni dei diritti esclusivi che fanno capo al produttore cinematografico.

La responsabilità civile degli ISP

Sulla base di queste circostanze, la Voltage Pictures ha chiesto al tribunale (rectius: ai tribunali) che venga accertata la responsabilità civile degli ISP in quanto, avuto riguardo ai comportamenti omissivi loro contestati, non troverebbero applicazione le disposizioni sul c.d. safe harbor (cioè la scriminante dalla responsabilità per il fatto illecito dei loro utenti), perché essi non avrebbero adottato e implementato, secondo criteri di ragionevolezza, una policy aziendale che preveda la risoluzione automatica dei contratti con i propri abbonati recidivi, obbligo che si desume dall’interpretazione dell’art. 17 U.S. C. § 512(i)(1)(A)[6]. In tal senso, Voltage Pictures sostiene che gli ISP avrebbero ammesso l’esistenza nei loro accordi con gli abbonati di una procedura che prevede la risoluzione dei contratti di servizio in caso di violazioni ripetute del copyright, ma non l’avrebbero implementata appropriatamente e, soprattutto, essa non sarebbe mai stata attuata[7].

Per le ragioni sopra brevemente tratteggiate, Voltage Pictures assume che gli ISP convenuti nei vari giudizi da essa intrapresi, avrebbero assunto una responsabilità diretta nei suoi confronti per avere tollerato la commissione di plurime violazioni ai propri diritti, omettendo il controllo previsto dalle disposizioni del DMCA dopo avere avuto conoscenza delle violazioni medesime[8]

Nell’assumere quindi la responsabilità c.d. “vicaria” o per “fatto altrui” a causa dei comportamenti abusivi dei loro abbonati, gli ISP avrebbero tratto un lucro non solo dal pagamento del corrispettivo previsto nei contratti, i quali avrebbero dovuto essere risolti per l’inadempimento degli abbonati stessi ma anche, come sopra ricordato, per avere incentivato altri soggetti a utilizzare i servizi di connessione che facilitano, invece di prevenire o punire, le violazioni on-line.

Le richieste di Voltage Pictures al tribunale

Nel formulare le proprie conclusioni, sul presupposto della sussistenza dell’applicabilità delle norme del DMCA nei confronti degli ISP convenuti, Voltage Pictures ha chiesto al tribunale di: a) condannarli al risarcimento dei danni, b) obbligarli a implementare una policy che preveda la risoluzione anticipata dei contratti sottoscritti dagli abbonati per l’uso della connessione internet, c) ordinare agli ISP di bloccare l’accesso degli utenti ai siti web di origine straniera notoriamente coinvolti in attività di pirateria su scala commerciale[9]. Al fine dell’accoglimento delle loro domande nel merito gli attori hanno formulato istanza affinché il giudizio venga demandato per il verdetto alla Giuria, una volta che il tribunale abbia considerato esaustiva l’istruttoria svolta.

Seppure le cause avviate da Voltage Pictures si pongano nell’alveo logico della strategia di tutela della proprietà intellettuale di un produttore cinematografico, i fatti oggetto di queste recenti controversie fra titolari dei diritti e fornitori di servizi on-line non sono affatto nuovi nel panorama giudiziaria d’oltreoceano: anzi esse hanno una precisa origine nel tempo e nei fatti.

Le ragioni delle azioni avviate da Voltage Pictures verso gli ISP e la rilevanza degli interessi economici in gioco

Tutto è invero cominciato il 19 dicembre 2019, quando la Corte Distrettuale dell’East Virginia ha emesso il proprio verdetto nella causa avviata da 53 case discografiche, fra cui la Sony Music Entertainment, nei confronti della Cox Communications (la più grande impresa privata fornitrice di connessione a banda larga negli U.S.A.), condannando quest’ultima a versare alle case discografiche attrici la somma complessiva di un miliardo di dollari statunitensi, equivalenti 99.830,29 dollari per ciascuno dei 10.017 brani illecitamente e ripetutamente scaricati dagli utenti attraverso i servizi di connessione internet forniti da quella società.

Questa decisione di proporzioni economiche assai rilevanti era stata anticipata dall’opinion del giudice che ha istruito la causa, l’Hon. Liam O’Grady, il quale aveva affidato alla Giuria il compito di stabilire se le diffide ricevute dal fornitore dei servizi di connessione Cox Communications fossero sufficienti per considerarlo responsabile dell’omissione nel controllo sugli utenti che utilizzavano i servizi on-line del provider per commettere massicce e ripetute violazioni dei diritti d’autore.

Nello scarno “Modulo di verdetto” compilato dai giurati che hanno deciso la vicenda in questione, sono stati elencati i diversi punti di diritto sui quali essi hanno risposto affermativamente al giudice che erano stati loro indicati dal giudice. Tali domande hanno riguardato gli aspetti centrali oggetto del giudizio e cioè: a) la sussistenza di una prova preponderante circa la responsabilità c.d. “contributiva”[10] di Cox Communications nelle violazioni commesse dagli abbonati; b) la sussistenza di una prova preponderante circa la responsabilità c.d. “vicaria” o per fatto altrui[11] di Cox Communications nelle violazioni compiute dagli utenti; c) la prova fornita dai ricorrenti circa il numero delle violazioni commesse ai loro diritti d’autore; d) la prova preponderante che le violazioni siano state volontarie da parte della Cox Communications, cioè nella consapevolezza della loro illiceità; e) l’ammontare del risarcimento dei danni stabilito per ogni violazione; f) la determinazione del risarcimento dovuto da Cox Communications alle case discografiche calcolato per ogni opera moltiplicata per il numero delle violazioni accertate e il valore stimato di ognuna di esse. Sulla scorta della risposta positiva data alla Giuria ai quesiti da a) a d), il danno subito dai titolari dei diritti è stato fissato in un miliardo di dollari, come sopra determinato.

A seguito di tale verdetto, la Cox Communications ha immediatamente impugnato la decisione di fronte al tribunale Federale competente dello Stato della Virginia, assumendo che la determinazione della giuria si fosse basata su prove insussistenti. Il 28 marzo 2022 la Federal Court di Alexandria ha respinto l’appello confermando la decisione di primo grado[12], rendendola così inappellabile nel merito.

Si spiegano, quindi, le ragioni delle azioni avviate da Voltage Pictures nei confronti degli ISP e la rilevanza degli interessi economici in gioco, essendo il sistema giudiziario di “common law”, quello statunitense in considerazione nel caso che ci occupa, basato sui precedenti giurisprudenziali che possono essere di conseguenza invocati nei giudizi successivamente proposti di fronte ad altri tribunali.

Il ruolo dei data provider nelle cause per la tutela del diritto d’autore

Da quanto sin qui brevemente illustrato, possiamo trarre utili spunti di riflessione sia circa le modalità con cui negli Stati Uniti vengono raccolte e trattate le informazioni concernenti le violazioni on-line, sia avuto riguardo agli obblighi che fanno capo agli intermediari che operano sulla rete Internet. Ma spunti utili derivano anche avuto riguardo alle prove che i titolari dei diritti portano all’attenzione del giudice a tutela dei propri diritti.

Invero, l’identificazione degli Internet Service Provider da parte della Voltage Pictures è stata seguita dalla raccolta dei dati riguardanti gli indirizzi IP degli utenti coinvolti nelle violazioni, di quelli relativi al “port number” e al luogo ove la violazione è stata commessa. Per collazionare queste informazioni, gli attori hanno utilizzato un “data provider”, cioè un servizio di raccolta dei dati che sono necessari per l’analisi e la statistica dei casi di violazione dei diritti d’autore on-line.

I nodi privacy e la situazione in Europa

Ovviamente tali operazioni di raccolta e di catalogazione dei dati relativi agli utenti dei servizi on-line offerti dagli ISP pongono non poche problematiche soprattutto sotto il profilo delle disposizioni in materia di privacy che vanno di seguito, almeno sommariamente, prese in esame.

Di fatto, le questioni legali che sorgono circa le modalità di tracciamento dei dati, che includono gli indirizzi IP e le loro diverse declinazioni oggetto delle attività di Voltage Pictures, hanno trovato sinora soluzioni giurisprudenziali e normative che appaiono ancor oggi piuttosto distanti fra loro se paragoniamo quelle previste dall’ordinamento giuridico statunitense con quelle dell’Unione Europea. Va infatti detto che, per quanto riguarda il nostro versante, il tema della raccolta e dell’utilizzazione degli indirizzi IP degli utenti è stato oggetto di valutazione a livello nazionale interno, ove in particolare la vicenda è stata ritenuta chiusa, almeno fino ai tempi recenti, dall’ordinanza del Tribunale di Roma in data 17 marzo 2008 (giudice Gabriella Muscolo),[13] la quale ha statuito il divieto della raccolta automatica dei dati degli utenti delle piattaforme di scambio di file protetti, linea questa fortemente sostenuta dallo stesso Garante per la Tutela dei Dati Personali che aveva dato invece il proprio assenso alla raccolta manuale degli indirizzi IP dei downloader.

La stessa questione della raccolta e conservazione dei dati personali degli utenti è stata affrontata anche da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea attraverso successivi interventi in materia di trattamento e raccolta degli indirizzi IP.

Ci riferiamo in particolare alla decisione Breyer e, successivamente, a quella resa in tema di file-sharing e di identificazione dei soggetti che commettono le violazioni proprio tramite protocollo Bit Torrent, oggetto della causa C-597/19 (Mircom c. Telenet). Tale controversia ha riguardato precipuamente l’interpretazione dell’art. 8 della Direttiva 2004/48/EC in tema di accesso alle informazioni degli operatori del web[14] rivelando – ad avviso di chi scrive – un’apertura da parte dei giudici di Strasburgo più ampia rispetto al passato verso una possibile liceità della raccolta dei dati dei soggetti che pongano in essere violazioni tramite il file-sharing, sempre che tali trattamenti siano svolti dai soggetti che li effettuano al solo fine di ottenere le informazioni relative ai contraffattori dei diritti d’autore del reclamante, in quanto “il divieto di trattamento non può riguardare i dati personali che sono resi pubblici dalla persona interessata o che sono necessari per la tutela delle rivendicazioni legali”.

Inoltre – ha osservato la Corte – il requisito della “necessità” del trattamento dei dati degli utenti – e quindi la loro legittimità – sarebbe desumibile dal fatto che l’identificazione dei portatori della connessione internet per il file-sharing, può avvenire solo attraverso la raccolta degli indirizzi IP e tramite l’ottenimento delle informazioni di cui dispone l’intermediario, cioè il fornitore della connessione agli utenti della piattaforma di file-sharing utilizzata per violare i diritti d’autore per fine di profitto.

A tale stregua, i principi desumibili dal caso “Mircom” sembrano uscire rafforzati anche a livello normativo comunitario in conseguenza del fatto che il file-sharing, ai fini della sussistenza della sua illiceità, deve essere compiuto per scopo di profitto[15] così come precisato nella Direttiva EU/790/2019 (c.d. “Direttiva DSM”) e come stabilito nel suo testo implementato in Italia attraverso il D. Lgs. 144/2021.

Diritto d’autore, le nuove regole per le piattaforme di file-sharing

Conclusioni

Ritornando brevemente al tema delle attività di intelligence svolte da Voltage Pictures, preme qui evidenziare che l’esistenza di contratti di fornitura dei servizi di connessione a banda larga che prevedano la facoltà di recesso da parte degli ISP in caso di violazioni gravi e reiterate del diritto d’autore da parte degli abbonati non possa essere traslato negli ordinamenti europei, sia per l’essenzialità del servizio pubblico reso, sia in quanto il recesso appare – in assenza di apposite norme di legge – una facoltà e non un obbligo per i fornitori di connettività digitale.

Ovviamente, nell’ambito delle controversie che afferiscano alle violazioni on-line possono assumere rilevanza sia il numero delle violazioni commesse che l’atteggiamento di indifferenza dimostrato dagli intermediari di fronte alle diffide ricevute, come sembra suggerire il caso in argomento[16].

Un approfondimento di questi temi, anche alla luce della recente approvazione del Digital Service Act[17] che contiene nuove norme in tema di responsabilità degli intermediari, inclusi i gestori delle piattaforme di condivisione on-line, sarà senz’altro opportuno anche in considerazione delle future decisioni che interverranno in questa materia in costante evoluzione.

Note

  1. Informazioni fornite da Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Voltage_Pictures
  2. Informazioni fornite da Wikipedia https://en.wikipedia.org/wiki/Verizon_Communications
  3. Informazioni fornite da Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/AT%26T
  4. Informazioni fornite da Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Comcast
  5. Qui si trova l’illustrazione del funzionamento di questo servizio pubblico: https://www.arin.net/resources/guide/request/
  6. La norma fornisce la definizione di “fornitore di servizi” che viene indicato, in modo restrittivo, come “un’entità che offre la trasmissione, l’instradamento o la fornitura di connessioni per comunicazioni digitali online, tra uno o più punti specificati da un utente, di contenuti scelti dell’utente, senza che il fornitore dei servizi modifichi il contenuto del materiale inviato o ricevuto.
  7. Un’ulteriore questione sollevata in questa azione legale dagli attori riguarda il fatto che la messa a disposizione del pubblico dei file Torrent che riproducono le opere tutelate dal D.A. è quella riguardante l’alterazione delle “informazioni elettroniche sul regime dei diritti” (in Italia regolate dall’art. 102-quinquies L.D.A.), in quanto la stringa alfanumerica di tali file, rinvenibile nei loro URL (Uniform Resource Locator), oltre al titolo dell’opera contraffatta, riporta il nome del sito web Torrent che li condivide, ma anche il nome e l’URL del singolo Torrent. Una siffatta manipolazione costituirebbe, secondo gli attori, una alterazione delle sopra ricordate informazioni elettroniche sul regime dei diritti, in quanto non darebbe corrette indicazioni circa l’autore, il produttore, il licenziante o il distributore dell’opera protetta. In tali azioni, gli ISP convenuti, essendo a conoscenza dell’illiceità di tali manipolazioni, assumerebbero il ruolo di corresponsabili con gli utenti per le violazioni del copyright.
  8. Si tratta della normativa statunitense a tutela del D.A. in ambito digitale. Si veda in proposito: https://www.copyright.gov/dmca/. Queste norme contengono fra gli altri principi analoghi a quelli stabiliti dalla Direttiva e-Commerce circa la responsabilità degli Internet Service Provider.
  9. Qui si trovano i dati dei serious infringers relativi all’anno 2021: https://ustr.gov/about-us/policy-offices/press-office/press-releases/2022/february/ustr-releases-2021-review-notorious-markets-counterfeiting-and-piracy
  10. La responsabilità c.d. “contributiva” (“contributory infringement”) è una forma di responsabilità secondaria per violazione diretta del diritto d’autore. In base a tale strumento una persona può essere ritenuta responsabile di una determinata violazione anche se essa non ha effettivamente svolto attività illecite, in quanto – secondo la giurisprudenza statunitense – la persona coinvolta ha facilitato la violazione commessa da terzi.
  11. Nel nostro ordinamento giuridico, tale responsabilità civile aquiliana si trova, ad esempio, negli articoli 2048 e 2049 del codice civile
  12. La sentenza è la N. 16-1972 del Quarto Circuito delle Corti d’Appello degli Stati Uniti, Giudice: Diana Gribbon Motz.
  13. In questa decisione (c.d. “caso Logistep – Peppermint) il giudice aveva stabilito, fra l’altro: “- che il giudice italiano, quale interprete del diritto interno in conformità al diritto comunitario e di questo nel rispetto dei diritti fondamentali e del principio di proporzionalità deve prendere atto della scelta legislativa di non avvalersi della facoltà di estendere alle azioni civili l’uso di misure a protezione del diritto di autore se queste violano il diritto alla riservatezza, in ragione della ritenuta non proporzionalità di tali mezzi di enforcement alla lesione del diritto proprietario, di fuori dell’ ipotesi di reati, e del bilanciamento di interessi così effettuato dal legislatore;- che ciò il giudice nazionale può fare, tenuto in conto che, in difetto di un vincolo in senso contrario da parte delle direttive in materia siffatta scelta può ritenersi conforme al diritto comunitario secondo la pronuncia della Corte di Giustizia esaminata (Sentenza Promusicae c. Telefonica, nel caso C-275/06 del 29 gennaio 2008) e che la giurisprudenza comunitaria stessa rimette alla discrezionalità delle Autorità competenti degli Stati membri il giudizio di proporzionalità”.
  14. Una panoramica storica sul tema del P2P si può trovare a questo collegamento ipertestuale: https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/copyright-la-corte-di-giustizia-fa-chiarezza-sullidentificazione-degli-autori-delle-violazioni-nel-file-sharing/
  15. Su questo argomento si veda: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/diritto-d-autore-le-nuove-regole-file-sharing/
  16. La recente sentenza del Tribunale di Milano, Sezione XIV, N. 7066/2022 del 12 settembre 2022, resa in un caso di violazioni di D.A. commesse attraverso una piattaforma di condivisione di file Torrent ha evidenziato fra gli elementi probanti dello scopo illecito perseguito la “consapevolezza cooperante” dei gestori i quali “invitavano apertamente gli utenti alla condivisione di opere anche tutelate da copyright” ad uno con la presenza di “versamenti eseguiti dagli utenti – definiti come donazioni –“ a favore del titolare della piattaforma che secondo la sentenza non sono riconducibili ai meri atti di liberalità. Inoltre, lo stesso Presidente – Relatore ha evidenziato che la gestione di una piattaforma di condivisione dei file del genere di quella per cui è causa, avrebbe suggerito, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia (Caso C-682/18 e C-683/18 Decisione del 22 giugno 2021) la implementazione di adeguate misure tecniche atte a prevenire le violazioni del diritto d’autore.
  17. Il testo finale del Digital Service Act è stato approvato il 5 luglio 2022 e si può raggiungere qui: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2022-0269_EN.pdf

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