Il decreto varato dal Consiglio dei Ministri il 18 marzo, come spesso accade, si propone obiettivi diversi.
Vogliamo qui riflettere sull’estensione del golden power e sul suo potenziale impatto economico e istituzionale.
Ecco il decreto “Kaspersky”, perché è chiave la sovranità tecnologica
Come cambia la Golden Power con il decreto Ucraina
- Il decreto (cosiddetto “Decreto Ucraina”) estende i settori cui si applica il golden power, ora anche salute, finanza e assicurazioni, agroalimentare e al cloud oltre al 5G.
- Aumenta i poteri ed elimina alcuni limiti temporali all’applicazione della potestà di intervento del governo.
- Ora il Golden Power vale per tutte le aziende extra Ue (non solo cinesi) e in caso di acquisizioni di controllo persino quelle europee.
- C’è un nuovo sistema di notifiche e pre-notifiche al Governo per i contratti, che devono avere pure durata annuale. Il tutto con effetto retroattivo.
- Le sanzioni sono molto care ora: 3 per cento del fatturato.
- Obbligo a diversificare i fornitori; divieto quindi ad appalti in esclusiva. Si vuole eliminare così i colli di bottiglia (choke points) sfruttabili da un Paese nemico in momenti di crisi per negare o bloccare servizi, tecnologie critiche.
Queste misure sono complementare a quelle, nello stesso decreto, su tecnologie cyber russe.
Aumentato il potere del Governo
E’ positivo che siano previste alcune semplificazioni procedurali e razionalizzazioni nell’obbligo di comunicazione alla Presidenza del Consiglio delle acquisizioni, come la comunicazione congiunta da parte di acquirente e acquisito.
Piani investimento
Ma le disposizioni sul 5G allargano enormemente l’intervento del governo. Le aziende che investono nell’infrastruttura e nell’erogazione dei nuovi servizi di connettività devono presentare, infatti, un piano di investimenti annuale per le reti 5G, che può essere aggiornato a cadenza quadrimestrale, in cui devono fornire prima dell’acquisizione: i propri dati, quelli dei fornitori, le prospettive della rete 5G, i contratti in essere, i progetti, i piani di installazione e di manutenzione – gestione, le specifiche tecniche dei beni e servizi e dei componenti, la compliance dettagliata degli adempimenti imposti in eventuali precedenti fasi realizzative.
Sanzioni
I poteri di intervento del governo consistono nel prescrivere condizioni mirate ad eliminare fattori di rischio connessi alla vulnerabilità delle soluzioni proposte. Qualora l’impresa proceda senza aver ottenuto l’autorizzazione è passibile del blocco dell’attività, dell’ordine di ripristino e della sanzione fino al 3% del fatturato.
Dalla regolazione al dirigismo
Non si tratta più di regolazione di un settore e di un’impresa in esso impegnata, ma di direzione dell’impresa dall’esterno: è lo Stato che decide se e come fare gli investimenti, e punisce addirittura chi li fa senza autorizzazione. L’esito è paradossale: lo Stato, senza dichiararlo, ridiviene imprenditore, però senza metterci il capitale, come avveniva ai tempi dell’IRI e delle partecipazioni statali. Quindi senza assumere alcun rischio, divenendo così sostanzialmente irresponsabile rispetto ai risultati che il suo intervento produrrà.
E quali saranno i risultati? Essi andrebbero verificati in base agli intenti dichiarati ovvero in base agli obiettivi del decreto. Ma tali obiettivi sono assolutamente generici e soprattutto manca una analisi del funzionamento e dell’utilità di quanto fatto nel regime normativo applicato fino ad oggi. La motivazione addotta nel comunicato stampa della Presidenza del Consiglio è, infatti, a dir poco laconica, stante la rilevanza degli interventi stabiliti: “Si interviene per rafforzare la disciplina del controllo degli investimenti stranieri in Italia, finalizzata all’esercizio dei poteri speciali spettanti al Governo (c.d. ‘golden power’), alla luce dell’accresciuta strategicità di alcuni settori e della necessità di potenziare le strutture amministrative coinvolte”.
Ora, da un lato sembra difficile immaginare che settori come l’agroalimentare, la finanza e assicurazioni e la salute siano improvvisamente divenuti più strategici di prima, a meno che non si sottintenda che la guerra della Russia contro l’Ucraina sta sollevando nuovi rischi di continuità delle forniture, così come si dice a proposito della cybersecurity riferendosi implicitamente agli antivirus di Kaspersky. Ma i problemi della continuità di forniture per l’agroalimentare sono assai diversi da quelli della finanza, delle assicurazioni o della salute. L’agrolimentare incontrerà difficoltà enormi nella fornitura di materie prime fondamentali come i cereali, i fertilizzanti, e dovrà fare i conti con aumenti dei prezzi dell’energia che rischiano di mettere fuori mercato interi settori.
Si vuole forse evitare che qualcuno dall’estero acquisti le aziende poste in svendita perché a rischio di fallimento? Se così fosse, è del tutto verosimile che l’obbligo di notifica con quello che ne può conseguire rallenti la ricapitalizzazione di queste aziende e renda più probabile il fallimento. Oppure si vuole tornare alla nazionalizzazione dell’agricoltura modello IRI- Maccarese? Ovvero ai panettoni di Stato, modello Motta e Alemagna? In questo caso la capacità innovativa e di competere sul mercato delle aziende coinvolte si spegnerà a momento stesso della notifica.
Gli investimenti delle telco in Italia a rischio?
Nel campo delle telecomunicazioni, dove il nostro modello del capitalismo di famiglia non ha resistito alla tentazione di fare cassa senza investire, il nuovo dirigismo sul 5G dovrebbe assicurare che gli imprenditori delle multinazionali che detengono i pacchetti azionari delle telco operanti in Italia seguano le prescrizioni del Governo sugli investimenti strategici nel 5G, che impegneranno la grande maggioranza delle loro risorse. A noi sembra una missione molto difficile, se non impossibile, non solo per l’esiguità di competenze tecniche che il Governo può mettere in campo per dirigere gli investimenti delle telco, ma anche perché le direttive del governo, quando anche fossero dotate di un senso strategico per lo sviluppo del business dell’azienda, rischiano di arrivare in ritardo e infine perché le telco hanno la possibilità di non investire in Italia, scegliendo di farlo in Paesi meno invadenti, meno paralizzanti, meno burocratici.
Dobbiamo farcene una ragione: gli investimenti delle telco in Italia sono investimenti esteri. Siamo convinti che il decreto del 18 marzo sia ciò che serve per stimolare gli investimenti esteri in Italia?
Il mercato del 5G in Europa
Nel 2020 in Europa l’86% della popolazione aveva sottoscritto contratti di servizio mobile. Nel 2025 le stime danno 276 milioni di connessioni 5G. Nel periodo 2022-2025, ossia quello in cui i nuovi provvedimenti del golden power esplicheranno i loro effetti, in Europa il fatturato delle telecomunicazioni aumenterà essenzialmente per effetto dell’aumento del traffico e solo in minore misura per l’aumento della penetrazione che passerà dal 77% all’82%. L’aumento del traffico sarà guidato dalla diffusione dei servizi 5G: sui 145 miliardi di investimenti previsti dalle telco, il 90% sarà per il 5G[1]. L’Italia svilupperà, secondo le previsioni di GSMA, una penetrazione degli smartphone leggermente inferiore a Francia, Germania e Regno Unito, ma una diffusione di 5G nettamente inferiore, come si vede dai grafici che seguono.
Il problema dell’Italia sul fronte dell’implementazione della rete 5G è duplice: da un lato il Paese ha solo operatori multinazionali che devono trovare nel Paese convenienza ad investire, altrimenti investono in altri paesi dove trovano condizioni operative più convenienti; dall’altro lato bisogna che le condizioni per investire non siano tali da comportare nuovi ritardi nell’avvio degli investimenti nella nuova rete. Due condizioni che l’estensione dei poteri di intervento del governo sugli investimenti nella rete 5G potrebbero far mancare, con l’effetto di aggravare il ritardo già accumulato dal nostro Paese.
Dalla golden rule al golden power
Il golden power, ovvero l’obbligo di notifica al governo delle acquisizioni di società strategiche, fu introdotto nel 2012 a seguito della procedura di infrazione 2009/2255 relativa alla normativa sulla golden rule, il potere dell’azionista di minoranza pubblico nelle decisioni delle aziende privatizzate. La Corte di Giustizia europea aveva già condannato l’Italia poiché nella norma sottoposta ad esame sulla golden rule “i poteri di intervento di uno Stato membro … non subordinati ad alcuna condizione ad eccezione di un riferimento alla tutela degli interessi nazionali formulato in modo generico e senza che vengano precisate le circostanze specifiche e obiettive in cui tali poteri verranno esercitati, costituiscono un grave pregiudizio alla libera circolazione dei capitali (v., in tal senso, sentenza 4 giugno 2002, causa C-483/99, Commissione/Francia, Racc. pag. I-4781, punti 50 e 51)” [2].
L’introduzione del golden power muoveva dalla necessità di rispondere alla condanna introducendo una maggiore motivazione all’intervento dei poteri straordinari del governo, che nella versione golden rule risultavano contrari alla libera circolazione dei capitali. Non ci si limitava più, come nella golden rule, alla presenza dello Stato azionista di minoranza, ma si estendevano i poteri di intervento alle operazioni di acquisizione che potessero profilarsi per qualunque operazione di acquisizione relativa ai settori strategici, inizialmente identificati con la difesa, i trasporti le comunicazioni e l’energia.
Nel 2017 la Germania, avendo perso il controllo del gigante della robotica Kuka a favore di investitori cinesi, sollecitava la Commissione europea ad adottare una più stringente normativa a tutela dei settori strategici[3]. In tempi rapidi la Commissione adottava il Regolamento 2019/452, approvato dal Parlamento e dal Consiglio il 19 marzo 2019 ed entrato pienamente in vigore dall’11 ottobre 2020. Il Regolamento, se da un lato amplia l’area di possibile intervento, spingendo gli Stati Membri ad adottare definizioni ampie delle aree di difesa e sicurezza nazionale, dall’altro impone una restrizione della discrezionalità, poiché le autorità nazionali dovranno tenere conto delle osservazioni degli altri Stati Membri e dei pareri della Commissione. In sostanza il Regolamento richiede una riforma organica della golden power, la cui normativa negli anni precedenti si è “progressivamente infittita e allargata…da ultimo il golden power è addirittura diventato parte integrante della strategia nazionale di sicurezza cibernetica. A tal fine, il governo è stato autorizzato addirittura a tornare sui provvedimenti già emessi, rafforzando misure e prescrizioni per allinearle ai nuovi standard di sicurezza cibernetica. La lesione dell’iniziativa e del legittimo affidamento può essere molto rilevante. Basti pensare che il governo può arrivare a imporre ‘la sostituzione di apparati e prodotti che risultino gravemente inadeguati sul piano della sicurezza’”[4].
Le iniziative dei governi italiani sono andate nella direzione di estendere il campo di applicazione del golden power, senza curare l’aspetto più rilevante degli indirizzi europei, ossia la delimitazione precisa dei casi di intervento, la predisposizione di un monitoraggio dell’impatto degli interventi e la collaborazione infraeuropea e con la Commissione. Questo ultimo, infatti, è l’esigenza che il Regolamento esprime in modo inequivocabile per evitare che le norme nazionali violino una delle libertà fondative dell’Unione, ossia la libera circolazione dei capitali[5].
Ma il golden power serve o no?
La Relazione presentata nel 2019 sull’esercizio dei golden power, contiene la descrizione delle attività eserciate nel quinquennio 2014-2019.
Nel complesso sono giunte 116 notifiche, in numero crescente negli ultii due anni.
La ripartizione per settori indica che 64 sono le notifiche nel settore della difesa e 52 in energia, trasporti e comunicazioni. Tra quelle relative alla difesa molte riguardano Leonardo, società sotto controllo pubblico, di cui l’azionista conosce morte e miracoli, via consiglio di amministrazione. Infatti le notifiche si concludono regolarmente conun non luogo a procedere: sembrano notifiche utile a fare “numero”. Anche nel settore energetico non mancano società sotto controllo pubblico come Terna, ed anche qui si assiste al non luogo a procedere che sembra trovare analoga spiegazione. Dal 2016 al 2018 la Relazione espone anche i risultati dell’attività: troviamo in tutto due sanzioni, un veto e 10 prescrizioni. Il resto sono prevalentemente non luogo a procedere o eclusioni dall’area di intervento. Tra le due sanzioni spicca per rilevanza quella contro Vivendi-Tim per vizio di forma (mancata comunicazione) nella contestata vicenda della quota di controllo acquisita da Vivendi (società europea) su Tim. E ancora, nella attuale complicatissima vicenda dell’eventuale opa del fondo americano KKR su Tim nel momento del possibile scorporo della rete, che cosa direbbe il gruppo di coordinamento che, secondo il decreto del 18 marzo deve valutare le notifiche? Un gruppo che sarà “composto dai rappresentati della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delo sviluppo economico, del inistero dell’economia e delle finanze, del Ministero dell’interno, del Ministero della difesa, del Ministero per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, dal Ministero per l’innovazione e la transizione digitale, ove previsto, nonché da rappresentanti dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale”[6].
Alla luce di questi risultati, sarebbe stato necessario e utile che il nuovo decreto dichiarasse quali più ambiziosi obiettivi si propone l’allargamento dei poteri e dell’orizzonte temporale del golden power stabilito dal decreto del 18 marzo.
La lettura della Relazione rivela quindi una sostanziale irrilevanza dell’esercizio dei poteri speciali che rientrano nella dizione golden power. Si tratta di una non trascurabile contraddizione con quanto deliberato il 18 marzo, dove si estendono i poteri speciali del governo in nuovi settori e si accentua i senza una adeguata motivazione il potere di interdizione sugli investimenti nel 5G.
L’esito di questo processo di accentuazione dell’interventismo dello Stato sarà, a nostro giudizio, non tanto un aumento della sicurezza del Paese, ma una ulteriore burocratizzazione dei processi autorizzativi già farraginosi e un rallentamento e forse anche una riduzione degli investimenti nel 5G, terreno cruciale sul quale l’Italia è già in ritardo.
Note
[1] GSMAssociation, The Mobile Economy Europe 2021.
[2] Camera dei Deputati, Analisi Tecnico Normativa, https://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/html/analisitecniche/16PDL0057910.html.
Il documento citato è riferito, anostro giudizio, alla condanna dell’Italia da parte della Corte avvenuta nel novembre 2009, ma sul sito della Camera non si trovano i metadati del documento.
[3] Cfr. Vieri Cecchetti, L’istituto dei golden powers nella corporate governance delle società, tesi anno accademico 2019-2020, LUISS, Cattedra di diritto commerciale.
[4] Giulio Napolitano, L’irresistibile ascesa del golden power e la rinascita dello Stato doganiere, Giornale di diritto amministrativo, 5 2019 p. 549.
[5] Greco e Vitali Associati, Modifiche alla disciplina del c.d. “golden power”: uno struento di tutela contro le “scalate ostili”, aprile 2020.
[6] Comma 5 art 26 della bozza del decreto pubblicata dal Corriere della Sera (a proposito di trasparenza, non sarebbe bene che le bozze dei provvedimenti deliberati fossero pubblicati sul sito della Presidenza del Consiglio?).