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Guerra dei dazi Usa: la Cina al centro del nuovo ordine globale



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L’imposizione di nuovi dazi reciproci tra USA e Cina sta rimodellando le catene di approvvigionamento tecnologico globali. Pechino accelera verso l’autosufficienza mentre gli Stati Uniti tentano di contenere l’avanzata cinese nell’innovazione

Pubblicato il 9 apr 2025

Gabriele Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio

Nicola Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio



guerra dei dazi usa-cina (1)

La prima settimana di aprile ha segnato ufficialmente l’inizio della guerra tariffaria tra Stati Uniti e Cina.

L’escalation della guerra dei dazi Cina-Usa

Dopo dichiarazioni formali e minacce più o meno velate, il 2 aprile il Presidente Trump ha firmato un ampio ordine esecutivo che impone tariffe doganali a tutte le importazioni cinesi per affrontare ciò che la sua amministrazione ha definito squilibri commerciali persistenti, presumibilmente causati da pratiche commerciali sleali. Tra i Paesi più colpiti vi è la Cina. Sommando la nuova aliquota del 34% a quelle precedenti, il valore complessivo dei dazi è salito al 65%, oltre alla rimozione dell’esenzione tariffaria per i piccoli pacchi provenienti da Pechino.

La Cina, primo Stato a reagire in ritorsione, ha risposto aggiungendo una tariffa di reciprocità del 34% alle merci che importa dagli Stati Uniti. Ma non è tutto. Pechino ha anche vietato l’esportazione di sedici elementi di terre rare alle aziende statunitensi e ha inserito undici aziende americane nella sua “lista delle entità inaffidabili”, vietando di fatto ad esse di fare affari in Cina o con essa. Pechino ha anche avviato un’indagine anti-monopolio sulla multinazionale chimica DuPont e ha bloccato le importazioni di prodotti a base di pollo statunitensi, tra cui zampe di pollo, per le quali è improbabile che gli agricoltori americani trovino valide alternative da vendere in patria.

Evoluzione del confronto strategico nella guerra tariffaria Cina Stati Uniti

L’8 aprile, poi, Trump ha firmato un ulteriore ordine esecutivo che aumenta l’aliquota tariffaria reciproca sulla Cina dal 34% all’84%, portando l’aliquota finale al 104%. L’aliquota aggiuntiva del 50% è stata implementata dopo che Pechino non ha abrogato il dazio del 34% applicato alle merci statunitensi entro l’8 aprile, come richiesto dal Presidente americano. Il dazio del 104%, insieme alle aliquote tariffarie reciproche applicate ad altri Paesi, è entrato in vigore mercoledì 9 aprile.

Lo stesso giorno, il Ministero delle Finanze cinese (MOF) ha aumentato i dazi sulle merci statunitensi all’84%, con decorrenza dal 10 aprile.

Un portavoce del Ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che se Washington insisterà su una guerra tariffaria, Pechino “combatterà fino alla fine”.

Un nuovo libro bianco del governo cinese sulle relazioni economiche bilaterali afferma che le divergenze potrebbero essere risolte attraverso un “dialogo paritario”, sebbene non sia stato annunciato nulla di concreto.

A seguito dell’aumento reciproco dei dazi, il 9 aprile le azioni asiatiche (ed europee) sono crollate e la svendita dei titoli del Tesoro statunitensi si è intensificata durante la notte. Le aziende statunitensi hanno iniziato ad annunciare come i dazi potrebbero influire sui prezzi e sui tempi di consegna. Reuters ha riferito che il fornitore di componenti per aerei Howmet ha dichiarato un evento di forza maggiore e ha avvisato i clienti che sta valutando l’interruzione delle spedizioni. Aziende come il produttore di camion Peterbilt, il produttore di apparecchiature per il petrolio e il gas DynaEnergetics e l’azienda di automazione industriale Honeywell hanno tutte annunciato supplementi tariffari.

La nuova guerra tariffaria si inserisce in un confronto sempre più aspro tra Stati Uniti e Cina, iniziato nel corso del primo mandato presidenziale di Trump, ulteriormente intensificato da Biden.

Xi Jinping, Segretario generale del PCC, non si fa però cogliere impreparato. Da tempo si è organizzato per questo momento. Ciò che molti esperti a Washington non capiscono – o non vogliono comprendere – è proprio questo.

Per anni, Xi ha sottolineato la necessità per la Cina di ridurre la sua dipendenza dal commercio estero e perseguire la ” doppia circolazione “, in cui la domanda e l’offerta sono entrambe generate in patria. Per anni, egli ha messo in atto una strategia di filiera che costringe gli Stati Uniti e altre economie a dipendere da Pechino per quanto riguarda gli input critici. Per anni, Xi ha affinato questo approccio attraverso la coercizione economica mirata alle nazioni partner dipendenti dal commercio e dagli investimenti cinesi. Il suo tour nel Sud-Est asiatico è più di una semplice diplomazia di routine: è una mossa strategica nell’ambito del più ampio orientamento geopolitico di Pechino verso il Sud del mondo.

La guerra commerciale, tuttavia, arriva in un momento in cui l’economia cinese sta lottando per riprendere slancio dopo quattro anni di crescita anemica, crollo dei prezzi immobiliari, elevata disoccupazione giovanile e pressioni deflazionistiche. Negli ultimi cinque anni, il PCC ha trascurato i deboli consumi interni, portando avanti uno statalismo che ha finito per paralizzare il settore privato. Per questo, Pechino ha esportato la sua sovracapacità produttiva, inondando il mondo di beni e alimentando un nazionalismo fanatico che ha destabilizzato gli alleati americani sia in Asia che in Europa.

Tuttavia, se riusciranno a colpire in modo diffuso aziende e consumatori, i dazi di Trump potranno anche rivelarsi una cattiva notizia per l’economia globale, poiché qualsiasi flessione della domanda cinese avrà effetti a catena in tutto il mondo.

Ripensare la globalizzazione nella guerra dei dazi Cina-Usa

“L’America può e deve fare di meglio della semplice reazione e del rifiuto della Globalizzazione 1.0.”, avvertono Robert D. Atkinson e Stephen Ezell dell’Information Technology & Innovation Foundation. “L’autarchia è un vicolo cieco improduttivo che indebolirà l’America nella sua competizione esistenziale con la Cina”, scrivono i due esperti, secondo i quali l’amministrazione Trump dovrebbe elaborare un quadro per la “globalizzazione 2.0” che dia priorità agli interessi degli Stati Uniti, concentrandosi su settori avanzati, alleanze strategiche, un’applicazione rigorosa delle regole commerciali e politiche più efficaci a sostegno dei lavoratori e delle comunità abbandonate.

Meccanismi e impatti dei dazi nella guerra Cina-Usa

Il 2 aprile 2025, il presidente Donald Trump ha emesso un ordine esecutivo (Reciprocal Tariffs Executive Order o Executive Order) che impone una tariffa reciproca di base del 10% su quasi tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, in vigore dal 5 aprile, e una tariffa reciproca aggiuntiva su 57 paesi, in vigore dal 9 aprile.

Sette dei primi dieci partner commerciali statunitensi sono tra i 57 paesi che affrontano una tariffa reciproca aggiuntiva: 34% per la Cina (inclusa la tariffa di base e la tariffa aggiuntiva), 20% per l’Unione Europea, 46% per il Vietnam, 32% per Taiwan, 24% per il Giappone, 27% per l’India e 26% per la Corea del Sud. A parte le esenzioni per i dazi imposti ai sensi delle azioni della Sezione 232 e per alcuni prodotti enumerati, le tariffe sono additive e ciò assume un particolare significato per il commercio tra Stati Uniti e Cina.

La Cina si trova ad affrontare una delle tariffe più elevate, con Trump che inizialmente ha imposto un dazio aggiuntivo del 34%, portandolo all’84% l’8 aprile. Questo si aggiunge al dazio del 20% già esistente, introdotto in due tornate all’inizio di quest’anno, portando l’aliquota tariffaria totale sui prodotti cinesi al 104%.

La tariffa universale del 10% è entrata in vigore il 5 aprile, mentre la tariffa aggiuntiva del 104% sulla Cina, insieme alle tariffe reciproche sugli altri partner commerciali, è stata implementata il 9 aprile.

Oltre all’aumento dell’aliquota tariffaria fissa, l’ordine esecutivo ha anche aumentato l’aliquota doganale e le tariffe sulle spedizioni de minimis (piccoli pacchi destinati al consumo individuale di valore inferiore a 800 dollari USA). L’aliquota su questi pacchi era stata originariamente aumentata al 30% del loro valore, ovvero a un’aliquota fissa di 25 dollari USA (che sarebbe salita a 50 dollari USA dal 1° giugno), quando Trump ha rimosso l’esenzione de minimis sui pacchi provenienti dalla Cina continentale e da Hong Kong il 2 aprile. Le tariffe, in vigore dal 2 maggio, saranno ora le seguenti:

  • Un dazio ad valorem del 90 percento (in aumento rispetto al 30 percento); oppure
  • Una tassa fissa di 75 dollari USA per articolo postale a partire dal 2 maggio (in aumento rispetto ai precedenti 25 dollari USA), che salirà a 150 dollari USA per articolo a partire dal 1° giugno (in aumento rispetto ai precedenti 50 dollari USA).

Trump ha definito il dazio iniziale del 34% come “tasso scontato”, affermando che è la metà del 67% che la Cina presumibilmente “addebita” agli Stati Uniti. Dopo che la Cina ha reagito imponendo un dazio del 34% sui prodotti statunitensi, Trump ha annunciato che avrebbe aumentato il dazio sulla Cina di un altro 50% a meno che non ritirasse l’aumento dei dazi entro l’8 aprile. Il governo cinese si è rifiutato di farlo e, in seguito all’imposizione del 104%, ha ulteriormente aumentato il dazio all’84%.

Gli ordini tariffari fanno seguito al memorandum esecutivo intitolato “Commercio reciproco e tariffe” del 13 febbraio 2025 in cui Trump annunciava l’introduzione di un “Piano equo e reciproco” per ridurre l’ampio deficit commerciale di beni e affrontare il commercio ingiusto e sbilanciato con i partner commerciali.

I dazi reciproci sono l’ultimo di una serie crescente di misure commerciali adottate dall’amministrazione Trump contro i principali partner commerciali, tra cui i dazi sulle importazioni globali di acciaio, alluminio e automobili.

Sono previsti ulteriori dazi nel prossimo futuro. Un alto funzionario dell’amministrazione ha dichiarato a Reuters che si stanno valutando dazi aggiuntivi su semiconduttori, prodotti farmaceutici e, potenzialmente, minerali essenziali.

Il team di Trump ha ampiamente difeso i dazi, sebbene Elon Musk abbia pubblicamente criticato il consigliere commerciale del Presidente americano. Malgrado anche i legislatori repubblicani abbiano per lo più difeso i dazi, alcuni hanno espresso scetticismo dopo un’audizione al Senato del rappresentante commerciale di Trump, Jamieson Greer.

La risposta cinese

“Pechino si è recata nel suo bunker ben fornito e ha iniziato a dare il via ai primi passi di una strategia di ritorsione”, scrive Melanie Hart, direttrice senior del Global China Hub dell’Atlantic Council. La Cina ha reagito con una tariffa di reciprocità del 34% alle merci che importa dagli Stati Uniti. Ha anche inserito undici aziende americane nella sua “list of unreliable entities”, vietando ad esse di fare affari in Cina. Inoltre, è stata avviata un’indagine anti-monopolio sulla multinazionale chimica DuPont e sono state bloccate le importazioni statunitensi di prodotti a base di pollo.

Il controllo delle terre rare come arma nella guerradei dazi Cina-Usa

Ma la mossa più potente è stata l’imposizione dei controlli sulle esportazioni di 7 elementi (samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio) di terre rare (REE) per colpire i settori militari e industriali degli Stati Uniti; misura che si aggiunge alle ulteriori limitazioni sul germanio e gallio implementate lo scorso anno.

L’8 aprile, durante la consueta conferenza stampa, il portavoce del Ministero degli Esteri, Lin Jian, ha dichiarato che “la Cina deplora e respinge” la proposta di un ulteriore dazio del 50% e che gli Stati Uniti stanno attuando una “boicottaggio economico”. Ha inoltre affermato che se gli Stati Uniti sono “determinati a combattere una guerra tariffaria e commerciale, la risposta della Cina continuerà fino alla fine”.

Il 9 aprile, poi, Pechino ha annunciato nuove barriere commerciali sui prodotti statunitensi in risposta ai dazi elevati imposti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, intensificando una guerra commerciale globale che ha colpito duramente i mercati e aumentato le probabilità di una recessione. In particolare, la Cina ha annunciato un aumento dei dazi sulle importazioni dagli Stati Uniti dal 34% all’84%, poco dopo l’entrata in vigore dei dazi punitivi del 104% sulle importazioni cinesi imposti da Trump.

Nel suo annuncio , il Ministero delle Finanze (MOF) ha definito l’aumento dei dazi di Trump “un errore su un altro errore” che “viola gravemente i legittimi diritti e interessi della Cina e danneggia seriamente il sistema commerciale multilaterale basato su regole”. La nuova tariffa entrerà in vigore il 10 aprile.

Lo stesso giorno in cui è entrata in vigore la tariffa del 104% di Trump sui prodotti cinesi, il Ministero del Commercio cinese (MOFCOM) ha inserito altre 12 aziende americane nell’elenco dei controlli sulle esportazioni e sei nell’elenco delle entità inaffidabili .

Tra le aziende inserite nella lista di controllo delle esportazioni figurano American Photonics, Novotech, Inc., Echodyne e Firestorm Labs, Inc., tutte produttrici di tecnologie avanzate con potenziali (o esplicite) applicazioni militari. Secondo il Ministero delle Finanze (MOFCOM), queste aziende sono state inserite nella lista “al fine di salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali e adempiere agli obblighi internazionali come la non proliferazione”.

Nel frattempo, tra le sei aziende presenti nell’elenco delle entità inaffidabili figurano Shield AI, Inc., Sierra Nevada Corporation, Cyberlux Corporation e Hudson Technologies Co. Quattro delle sei aziende erano già state inserite nell’elenco di controllo delle esportazioni il 4 aprile.

Le aziende presenti nell’elenco di controllo delle esportazioni non potranno acquistare prodotti a duplice uso dalla Cina, mentre alle aziende presenti nell’elenco delle entità inaffidabili sarà vietato svolgere attività di importazione ed esportazione legate alla Cina e realizzare nuovi investimenti a Pechino.

Al momento in cui scriviamo, gli Stati Uniti non hanno ancora risposto all’ultima contromisura della Cina.

La strategia economica cinese

L’ambizione di Pechino pone la Cina ai vertici dell’ordine internazionale, in grado di sfruttare liberamente i mercati, le risorse e le reti degli altri. L’economia interna ha punti di forza significativi. La concorrenza e l’adozione della tecnologia consente alle aziende industriali cinesi di sbaragliare i rivali occidentali in ogni campo, dai veicoli elettrici ai droni e ai taxi volanti. Sebbene le sue banche abbiano ancora bisogno di accedere ai dollari, ora la Cina effettua la maggior parte dei pagamenti internazionali non bancari in yuan.

Pechino, dunque, è consapevole del proprio potere internazionale e si presenta come un attore più sicuro di sé, più autoritario, con nuove ambizioni globali.

Il 23 ottobre 2020, in occasione del 70° anniversario dell’adesione dei Volontari del Popolo Cinese alla Repubblica Popolare Democratica di Corea per combattere in guerra, Xi affermò “che la nazione cinese non si tirerà mai indietro di fronte alle minacce né si lascerà sottomettere dalla repressione”.

Molti degli Stati democratici hanno ormai la consapevolezza che Xi Jinping abbia innescato una nuova era di competizione tra grandi potenze.

Xi ha aperto una “nuova era” dell’ascesa globale della Cina con una proiezione del potere più sicura di sé ed una visione strategica per l’ordine globale. Nel 19° Congresso del PCC, ha annunciato che Pechino è disposta a condividere le sue esperienze di governo del partito unico con altri Paesi e a sostenere il modello politico cinese. Questi cambiamenti di strategia si profilano all’orizzonte già nel 2012 quando Xi è entrato in carica. Pechino è diventata decisamente più assertiva nel promuovere i suoi interessi politici ed economici, come nel Mar Cinese Meridionale, con la Belt and Road Initiative (BRI), con l’Asian Infrastructure Investment Bank ed altre importanti iniziative. La Cina è anche fortemente impegnata nella promozione delle sue opinioni sull’ordine globale e nel sostenere il modello politico cinese. Per questo, ha dato vita ad una serie di Organismi, investe nei media, promuove gli Istituti Confucio e finanzia migliaia di programmi di scambio.

L’autosufficienza tecnologica nella guerra dei dazi Cina-Usa

Pechino ha sempre voluto, progettato e cercato un vantaggio assoluto sugli Stati Uniti e sugli altri Paesi europei, nonché l’autarchia nelle sue catene di approvvigionamento. Il 14° Piano Quinquennale (2021-26) segna la strada da percorrere, definendo “l’autosufficienza scientifica e tecnologica e l’auto-miglioramento” un “sostegno strategico per lo sviluppo nazionale”.

Questa strategia è stata svelata ufficialmente nel 2015 con il piano Made in China 2025, con l’obiettivo di aumentare drasticamente la produzione nazionale in tecnologie avanzate e, nel frattempo, scacciare i concorrenti stranieri. Il piano cinese per incoraggiare “l’innovazione indigena” in settori chiave come semiconduttori e veicoli elettrici, presentato nel 2015, riflette il costante desiderio del Partito Comunista di ridurre la dipendenza dalla tecnologia straniera ben prima delle sanzioni al gigante delle telecomunicazioni ZTE e dei dazi statunitensi del 2018 ed era in gran parte motivato da considerazioni economiche: consentire alle aziende cinesi di competere a livello globale nei settori emergenti e di ridurre i pagamenti a gruppi stranieri attraverso l’importazione di componenti e il pagamento di royalty.

La rinascita della “autosufficienza” con Xi Jinping mostra come la spinta a padroneggiare la tecnologia avanzata abbia assunto un significato geopolitico. Illustra anche le conseguenze indesiderate dei controlli sulle esportazioni e delle restrizioni agli investimenti esteri progettati per tenere la tecnologia fuori dalle mani dei cinesi. Portare la Cina a sviluppare la propria tecnologia all’avanguardia, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’Occidente, è una componente chiave degli ampi piani di Xi per trasformare la sua nazione in “una superpotenza scientifica e tecnologica mondiale”: attuare per primi la quarta rivoluzione industriale della storia è la chiave per rafforzare l’economia e conquistare l’egemonia globale.

Per questo, la Cina ha anche ridotto la sua vulnerabilità dalle strozzature americane, come le sanzioni e i controlli sulle esportazioni. Riuscendo ad aggirare i divieti come quelli sui chip, Pechino, infatti, ha continuato a crescere sempre più sul piano tecnologico. Il successo planetario di DeepSeek è un segnale che il paese può innovare nonostante gli embarghi americani sui semiconduttori.

Da questo punto di vista, l’industria tecnologica cinese è stata astuta, e forse anche preparata, nel riuscire a trovare il modo di aggirare i divieti, sia acquisendo i chip statunitensi vietati tramite mezzi clandestini, sia sviluppando la propria tecnologia di intelligenza artificiale con chip di fascia inferiore che non sono soggetti ad alcuna restrizione.

D’altra parte. “[I controlli sulle esportazioni] sono strumenti intrinsecamente permeabili”, ha detto a Rest of World Barath Harithas, un ricercatore senior del Center for Strategic and International Studies che studia la politica statunitense sui chip.

Oggi Pechino è il leader globale nelle apparecchiature per le telecomunicazioni 5G, così come per i droni commerciali, i dispositivi Internet of Things, i pagamenti mobili, le celle solari e le città intelligenti. E dove non è in testa, la Cina è spesso un concorrente di livello mondiale, ad esempio in intelligenza artificiale (IA), smartphone e veicoli elettrici. Pechino è al primo posto nel mondo per laureati STEM e al secondo per spesa in ricerca e sviluppo (R&S). I suoi centri tecnologici geograficamente concentrati hanno rivoluzionato la catena di approvvigionamento e l’integrazione della produzione. Le politiche tecnologiche del governo, come i programmi Made in China 2025 e Digital Silk Road, dimostrano l’attenzione di Pechino per una strategia tecnologica di lungo respiro.

Pechino rappresenta il 70% della capacità manifatturiera di elettronica di consumo, il 90% della produzione di droni di consumo, mentre nel 2022 aveva acquisito il 35% della capacità mondiale di fabbricazione di circuiti integrati. Si ritiene che a fine 2022 Cina e Taiwan abbiano insieme il 70% della capacità globale di fabbricazione dei circuiti integrati, inclusa praticamente tutta la produzione all’avanguardia, che è vitale per economia digitale, sistemi d’arma avanzati, settore aerospaziale, IA, robotica e altri settori essenziali.

Pechino non solo vuole il controllo del commercio globale, ma con la MCF (Fusione Militare-Civile) sfrutta tecnologie avanzate ed emergenti in campo civile, acquisite anche illegalmente, per una modernizzazione militare che la metta alla pari con gli USA. Per la Casa Bianca, i progressi cinesi nell’intelligenza artificiale rappresentano un rischio significativo poiché il PCC, non vincolato al rispetto delle libertà individuali e dei diritti umani, sfrutta le enormi quantità di dati che raccoglie per perfezionare gli algoritmi di intelligenza artificiale che alimenteranno la prossima generazione di tecnologia in rete. Pechino ha dato priorità agli investimenti nell’IA per la difesa e per la sicurezza nazionale per avere “forze armate di livello mondiale” ed ottenere vantaggi nella futura guerra “intelligente”, in cui essa (insieme ad altre tecnologie emergenti) sarà completamente integrata in operazioni militari con “sistemi e apparecchiature in rete, intelligenti e autonomi”.

La Cina, inoltre, ha rapidamente ampliato la sua impronta digitale globale. Nella fiorente economia digitale nazionale del Paese, le aziende cinesi di tecnologia dell’informazione e della comunicazione (TIC) forniscono servizi al maggior numero di utenti Internet in tutto il mondo, stimato nella sola Cina in circa 1 miliardo di persone. Dall’inizio del secolo, queste aziende hanno ampliato la loro presenza globale, la loro quota di mercato nelle costruzioni e nei servizi ed hanno costruito l’infrastruttura backbone (dorsale informatica) utilizzata da miliardi di utenti Internet in tutto il mondo. Le aziende ICT cinesi sono diventate ancora più importanti attraverso la Digital Silk Road, la componente digitale della Belt and Road Initiative, il piano multimiliardario di Pechino per migliorare la propria connettività ed aumentare gli scambi con i Paesi partner. Tali aziende hanno investito in cavi ottici transfrontalieri e in altre linee di comunicazione, in progetti di cavi ottici sottomarini transcontinentali e in comunicazioni spaziali (satellitari), data centers, reti 5G, piattaforme di e-commerce, intelligenza artificiale e servizi di cloud computing, oltre all’architettura digitale che alimenta e sostiene le città intelligenti. Il Mercator Institute stima che la Cina abbia concesso 7 miliardi di dollari in prestiti ed investimenti in cavi e reti di telecomunicazioni, oltre 10 miliardi di dollari in sistemi di e-commerce e pagamenti mobili e altro ancora in ricerca e data centers.

Integrando proprie tecnologie nell’infrastruttura digitale locale, Pechino prepara il terreno per costruire nuove dipendenze commerciali a lungo termine. Inoltre, la strategia della Cina è sempre guidata dal desiderio di ottenere i dati degli utenti locali.

Pechino come alternativa agli Stati Uniti nell’economia globale?

Al Forum di Boao ad Hainan, i funzionari cinesi hanno raddoppiato gli sforzi sulla “resilienza economica”, promuovendosi come un punto di riferimento per tutta l’Asia. Nel sud-est asiatico, Xi cercherà di rafforzare le posizioni manifatturiere cinesi con impegni da parte di paesi che si allineeranno anche con la spinta di Pechino contro Trump. Ecco perché andrà di persona, scrive l’esperta di Cina Shannon Brandao. “In sintesi, il fanatismo tariffario di Trump spiana la strada all’élite cinese per procedere come ritiene opportuno: negli accordi infrastrutturali latinoamericani, nella cooperazione militare africana, nelle piattaforme tecnologiche europee, nei forum diplomatici delle Nazioni Unite e negli sforzi di soccorso in seguito al disastro in Myanmar”.

D’altra parte, “all’interno del mondo in via di sviluppo, è emersa in Asia una rete di cooperazione economica particolarmente importante, incentrata sulla Cina”, afferma il professore Cheng Yawen, tra i più importanti esperti cinesi di relazioni internazionali.

Nell’ultimo decennio, la Cina è diventata la più grande economia reale del mondo (in termini di produzione e commercio di beni e servizi) e la seconda economia in assoluto, nonché il principale partner commerciale della maggior parte dei Paesi del mondo. Nel 2021, la quota globale del settore manifatturiero cinese era quasi del 30%. “In quanto paese che produce la maggior parte dei beni materiali al mondo, la Cina si trova in una posizione simile a quella degli Stati Uniti nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (al suo apice, nel 1953, gli Stati Uniti rappresentavano circa il 28% della produzione industriale globale)”, aggiunge Cheng Yawen.

“A differenza di Trump, la Cina non sta facendo saltare la globalizzazione”, precisa la Brandao. “E potrebbe non farlo mai, soprattutto se riuscisse a riorganizzare la rete commerciale globale per inserirsi come fonte energetica primaria”, vale a dire come un’alternativa al protezionismo di Trump. “Xi scommette che in questo nuovo mondo il predominio nasce dalla presenza, non dallo spettacolo: mentre l’America sferza l’aria con i dazi, la Cina può legare la periferia al suo centro, trasformando le crisi in contratti e gli stati di nervosismo in clienti”.

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