intelligenza artificiale

IA nei Paesi emergenti: non tradiamo le loro legittime aspettative



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Mentre l’Occidente teme i rischi dell’IA, i paesi in via di sviluppo la vedono come un’opportunità di crescita, nonostante i rischi di emarginazione e le barriere linguistiche. Iniziative in India, Africa e nei paesi arabi dimostrano che l’adattamento linguistico dell’IA favorisce l’inclusione e lo sviluppo locale, promuovendo la diversificazione

Pubblicato il 19 apr 2024

Mario Di Giulio

Professore a contratto di Law of Developing Countries, Università Campus Bio-Medico Avvocato, Partner Studio Legale Pavia e Ansaldo



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Mentre in Occidente ci arrovelliamo – anche a ragione – sui rischi che l’intelligenza artificiale pone, in altri luoghi del mondo, la stessa è vista sotto un duplice profilo: il primo quale opportunità e il secondo è il rischio di rimanerne tagliati fuori.

Del resto, anche per l’AI vale il paradigma per cui chi è abituato a un consolidato benessere teme le novità per la paura che possano comprometterlo, mentre chi ha poco da perdere guarda al nuovo sempre come un’opportunità.

In questo ChatGPT ha avuto senz’altro il merito di rendere “toccabile con mano” quel che fino a poco prima sapevamo esistesse ma in qualche modo richiedeva da parte di alcuni più un atto fideistico che una concreta consapevolezza.

Intelligenza artificiale e crescita economica

Come con l’avvento dell’industrializzazione in molti temettero la distruzione di posti di lavoro che le macchine avrebbero causato, così con l’intelligenza artificiale il tema si ripropone, ma con diverse declinazioni tra Nord e Sud del mondo.

Se infatti in Occidente siamo più preoccupati per i posti di lavoro che si perderanno, nei paesi in via di sviluppo si guardano alle nuove opportunità che l’intelligenza artificiale può creare. Ciò in parte è dato dal fatto che coloro che sono impiegati nei lavori che richiedono meno capacità attitudinali (si pensi ai lavoratori edili, lavapiatti, lavoratori agricoli) non dovrebbero esserne interessati, ma anche per la considerazione che con l’intelligenza artificiale potrebbero essere superate quelle difficoltà di ordine pratico che la carenza di adeguate risorse umane pone nel creare attività organizzate.

Si pensi ad esempio a chi voglia promuovere la propria attività economica e non sia in grado di coinvolgere grafici ed esperti di marketing: non pochi tool consentono ora di svolgere il lavoro in autonomia, con risultati di diversa qualità ma spesso comunque valida. Lo stesso ragionamento può essere applicate a innumerevoli realtà.

Il rischio di rimanere emarginati

Se molte sono le luci, non mancano neanche le ombre che della luce sono figlie.

Uno dei rischi più sentiti da parte dei paesi meno sviluppati è quello di rimanere tagliati fuori dalle potenzialità dell’intelligenza artificiale.

Tali rischi sono concreti e partono dal fatto che l’intelligenza artificiale è dominata dalle Big Tech che in questi anni hanno raccolto masse di dati impressionanti e condizionato dall’utilizzo delle lingue considerato che la maggiore parte dei sistemi è basata su large language model. A ciò si aggiunga anche la irrilevanza delle situazioni specifiche che conducono a trascurare quel che numericamente non è significativo, impedendo la creazione di modelli e limitando la proficuità economica che spesso è molla dello sviluppo (basti pensare alla medicina dove la ricerca difficilmente si attiva per contrastare le malattie rare sia per la difficoltà di condurre ricerche proficue per penuria di dati sia per il mancato ritorno economico che la scoperta può garantire).

Ciò non toglie che molti siano i paesi che stanno reagendo al rischio di rimanere emarginati.

È così in India e alcuni paesi africani, si sviluppano app per tradurre nelle lingue locali numerosi documenti e quindi renderli utilizzabili per lo sviluppo di tool adattati alle esigenze locali. Nello stesso tempo anche i paesi arabi, dotati di ben altra capacità finanziaria stanno svolgendo simili attività per non tagliare fuori l’arabo dall’intelligenza artificiale generativa e se stessi dalle potenzialità che essa offre. In tal senso è utile ricordare che la lingua araba è conosciuta ben oltre i confini della penisola arabica, essendo parlata in ben ventidue paesi, senza considerare quelli in cui essa è parlata in misura minoritaria. Questo facilita l’esistenza e la diversità di testi sui quali l’intelligenza generativa possa fare training e pone i paesi arabi in una posizione migliore rispetto ad altre lingue che seppure diffuse numericamente non hanno sufficienti testi digitali da utilizzarsi per l’intelligenza artificiale (come nel caso dell’indù, parlato da oltre 700 milioni di persone ma del quale esistono “limitati” testi digitali scritti in tale lingua).

L’intelligenza artificiale e le ombre della globalizzazione

Un altro aspetto spesso evidenziato in vari studi, sponsorizzati da organizzazioni internazionali quali la Banca Mondiale, è che l’intelligenza artificiale possa ridurre quelle opportunità di lavoro che la globalizzazione ha creato nei paesi in via di sviluppo attraverso i servizi in outsourcing.

Si pensi ai servizi di call center, ma anche a quelli di contabilizzazione quando alla stessa predisposizione delle prime bozze contrattuali.

Se infatti l’intelligenza artificiale non appare al momento compromettere lavori che richiedono pochissime competenze, se non la forza meccanica, quali quelli di lavapiatti e sgombero ai ristoranti o altri servizi manuali nel campo delle costruzioni, i posti più a rischio sono quelli caratterizzati dalla ripetitività della prestazione all’interno di schemi consolidati come quelli indicati nel paragrafo precedente (call center, sevizi contabili e contrattuali).

Intelligenza artificiale, non solo limiti ma anche opportunità

Non manca però chi vede nel nuovo opportunità dell’intelligenza artificiale in molti campi che spaziano dalla medicina, dove la penuria di medici potrebbe essere in parte superata attraverso l’utilizzo di tool diagnostici (che spesso però hanno il limite di essere stati creati sulla base di dati riferiti a uomini che si trovano nei paesi sviluppati e che quindi non considerando le peculiarità che singole popolazioni possano avere), nell’agricoltura dove sensori e intelligenza artificiale potrebbero aiutare a individuare le colture più adeguate alle condizioni climatiche e dei terreni e identificare per tempo la minaccia dei parassiti, in campo educativo, con la creazione di strumenti che possano agevolare la didattica e l’autodidattica (si pensi alla possibilità di revisione di un testo letterario  e di un esercizio matematico  e alle possibilità non solo di tradurre ma anche di imparare le pronunce).

È da considerare inoltre che le limitazioni che possono derivare dai modelli linguistici non sembrano costituire un ostacolo alle potenzialità che l’intelligenza artificiale può fornire, almeno nell’opinione di alcuni commentatori (vedi da ultimo l’Economist il 25 gennaio 2024). La crescita esponenziale della telefonia cellulare faciliterebbe infatti la raccolta di dati e quand’anche i modelli creati possano essere meno efficienti rispetto a quelli in uso nei paesi occidentali, sarebbero comunque utili per implementare le attività nei vari settori summenzionati.

Conclusioni

Di certo, una diffusione degli strumenti di intelligenza artificiale anche nei paesi in via di sviluppo potrebbe potenziare anche un certo appetito per gli stessi e la relativa progettazione.

Sarebbe così stimolata una creatività decentrata nei singoli paesi, che consentirebbe di uscire da un modello di intelligenza artificiale la cui trazione al momento appare limitata a quella anglosassone e cinese: un obiettivo al quale dobbiamo tutti aspirare.

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