Il settore del digital advertising è caratterizzato da paradossi e squilibri che devono essere sanati da interventi di istituzioni e Governo: dallo strapotere degli OTT che fagocitano i tre quarti del mercato e godono di vantaggi fiscali che mettono all’angolo gli operatori locali alla necessità di tracciare dei confini chiari all’insegna di una maggiore etica digitale che deve diventare una caratteristica di tutta la nostra industria. Ma partiamo dai dati di questo anno che sta per chiudersi: un anno importante e al tempo stesso particolare per il susseguirsi delle numerose traversie che mai come in questo momento hanno coinvolto il settore.
Il 2018 è l’anno di Cambridge Analytica e della disillusione degli utenti nei confronti dei colossi del web; è l’anno di un approccio più incisivo dell’Europa che cerca di ritagliarsi un ruolo di garante, introducendo normative su un mercato che per troppo tempo si è “autoregolamentato”; è l’anno della presa di coscienza collettiva del potere del web e di quello che ne consegue.
Un comparto in crescita ma in mano ai colossi del web
Un anno che ha visto crescere gli investimenti di digital advertising per il decimo consecutivo, raggiungendo nel 2018 quota 3 miliardi di euro (+11% rispetto al 2017). Questo valore rappresenta oltre un terzo degli investimenti pubblicitari italiani nel suo complesso ed è secondo solo alla raccolta del mezzo televisivo. TV e web insieme quest’anno infatti, arriveranno a spartirsi il 77% della raccolta pubblicitaria complessiva. La componente internet, così rilevante per l’intero settore pubblicitario, è controllata però da soli due player: Google e Facebook. Dal report dell’Osservatorio Internet Media del Polimi e presentato durante il nostro IAB Forum 2018 – lo scorso 12-13 novembre al MiCo – emerge come l’internet advertising sia un mercato iper-concentrato, all’interno del quale gli Over The Top (OTT) detengono circa il 75% del mercato (71% nel 2017) e, mai come nell’ultimo anno, sono responsabili di quasi la totalità della crescita del settore.
Sono dati che fanno riflettere sul futuro del nostro comparto, uno dei più innovativi e dinamici comparti dell’intera industria digitale, perché ci mettono di fronte al paradosso che vive la nostra filiera: la pubblicità digitale cresce ininterrottamente da dieci anni, passando dagli 0,8 miliardi di euro del 2008 ai quasi 3 miliardi del 2018, ma la stessa è quasi totalmente in mano ai grandi della rete che guarda caso sono quelli che creano meno valore, sia in termini occupazionali sia di gettito fiscale. Una situazione di mercato che urge un intervento delle Istituzioni e del Governo atto a riequilibrare gli attuali assetti concorrenziali per permettere a tutti gli operatori – editori, concessionarie, agenzie specializzate e ad-tech company – di giocare con le stesse armi.
Gli OTT inoltre possono contare su ingenti risorse finanziarie che derivano in grande parte dall’enorme vantaggio fiscale di cui godono nei Paesi in cui operano, poiché non assoggettati allo stesso sistema fiscale delle aziende locali. Risorse che questi colossi impiegano in sviluppo tecnologico e attività di M&A, togliendo evidentemente alle aziende locali ogni remota possibilità di poter competere sullo stesso piano, limitando le loro capacità di crescita o addirittura di sopravvivenza. L’equità fiscale è uno dei punti cruciali su cui si gioca la crescita dell’intero comparto, un comparto che occupa oltre 285.000 professionisti un indotto di 65 miliardi di euro. Un valore che negli anni ha proseguito a crescere in maniera sostanziale, ma che rischia di arrestarsi proprio per l’attuale iniquità fiscale che pesa esclusivamente sulle nostre imprese.
Il prezzo dell’innovazione
È innegabile inoltre come l’evoluzione tecnologica abbia migliorato diversi aspetti della nostra industria con ripercussioni positive sia sull’adv digitale, sia sulla quotidianità degli utenti, ma a quale prezzo? In nome dell’innovazione si è spesso sacrificato la possibilità di garantire qualità dei processi, dei dati e il rispetto delle regole: aspetti che il nostro settore non può accantonare se vuole proseguire a crescere in maniera sostenibile.
La trasformazione digitale ha un impatto così forte sulla nostra vita – non solo in relazione alla comunicazione, ma più in generale alla dipendenza dalle tecnologie digitali in tutte le attività quotidiane – che si rende necessaria una profonda considerazione. Gli algoritmi avanzati dell’AI consentono alle macchine di scegliere come evolvere, saranno quindi quest’ultime e i robot a decidere come cambiare il proprio modo di “pensare” e “agire”? Chi e come potrà “governare” i processi evolutivi autonomi? Lo sviluppo tecnologico è fondamentale e come associazione non mettiamo in dubbio le sue potenzialità, ma vorremmo che sia un’opportunità guidata. Per fare questo è necessario tracciare dei confini chiari all’insegna di una maggiore etica digitale che deve diventare una caratteristica di tutta la nostra industria.
Nell’ultimo anno abbiamo assistito a una forte spinta sulla maggiore qualità e trasparenza dei servizi della pubblicità digitale. Grandi marchi internazionali – P&G, Adidas e tanti altri – si sono espressi in maniera inequivocabile in questo senso. È importante pertanto promuovere il rispetto delle buone regole da parte di tutti gli operatori, a partire dalle misurazioni oggettive e certificate che devono essere eseguite da soggetti indipendenti. Al Forum abbiamo presentato ufficialmente il nuovo progetto di certificazione della qualità delle inventory pubblicitarie – IAB Quality Index – che ha un duplice obiettivo: consentire alle componenti più qualitative dell’offerta di distinguere e valorizzare i propri bacini e incentivare la domanda (Brand e centri media) a pianificare sui bacini certificati, che garantiscono maggiore qualità e rispetto delle regole.
Le sfide vanno colte e non rinviate
Il contesto in cui operiamo non è dei più semplici, ma come IAB Italia siamo convinti che l’industria digitale si trovi in un momento storico irripetibile e che questa sia l’occasione giusta per cambiare la rotta, accompagnati da proposte e azioni collegiali a livello di sistema. Abbiamo bisogno di queste azioni. È il momento giusto per ripartire tutti insieme e più compatti di prima. Le opportunità che ci si prospettano davanti sono infinite, ma vanno guidate. Lo sviluppo tecnologico ha aperto un mare di possibilità davanti a noi, non si tratta più di andare avanti o indietro, bensì di capire la giusta direzione da intraprendere. È un’opportunità di sviluppo per il nostro comparto, ma va guidata e governata. Perché la tecnologia è sì uno strumento, ma sono le persone a darle un valore. Non si può pensare ad essa come a uno strumento neutro che produce gli stessi effetti, indipendentemente da chi lo impiega. E per tratteggiare questo confine è necessario un’etica digitale. Un concetto che reputo strategico per un futuro sostenibile dell’economia digitale nel suo complesso. È stato infatti al centro dei temi e dei dibattiti delle due giornate della XVI edizione del Forum, che quest’anno ha visto un supporto diretto anche da parte dei membri del neoeletto Advisory Board, Ferruccio de Bortoli, Elisabetta Ripa e Antonio Campo dall’Orto.
Non un dibattito sterile su cosa è giusto fare e cosa no, quanto la ricerca di un’etica propositiva e abilitante a costruire un’industria digitale attenta alla qualità e trasparenza dei propri servizi, che crea valore sociale, economico e occupazionale nel tempo.