mercati digitali

Il DMA al vaglio delle istituzioni Ue: i dubbi degli analisti, le resistenze delle Big Tech

Nel dibattito sul Digital Markets Act (DMA), appena approvato dal Parlamento europeo e ora in fase di negoziato con gli Stati membri, pesa la posizione delle big tech, ma anche in Europa non tutto fila liscio. Obbiettivi del regolamento, nodi da sciogliere

Pubblicato il 21 Mar 2022

Enrico Quaranta

Magistrato - già Capo di Gabinetto AGCM

ue-usa

Il Digital Markets Act (DMA), unitamente al Digital Services Act (DSA) costituisce uno degli strumenti della legislazione dell’UE ritenuti essenziali nella regolamentazione dei servizi digitali.

La procedura legislativa che lo riguarda – partita dalla proposta iniziale della Commissione Europea del dicembre 2020 – dopo dodici mesi è approdata al Parlamento Europeo, che – con 642 voti a favore, 8 contrari e 46 estensioni – ne ha approvato la versione editata.

DSA e DMA: l’impatto delle future regole nel sistema europeo, italiano e internazionale

Sono pertanto in fase di avvio i negoziati con gli Stati membri per varare il testo definitivo delle norme che serviranno a regolamentare le attività consentite da parte delle grandi piattaforme digitali, allo scopo di garantire mercati competitivi ed equi anche per le aziende di minori dimensioni.

Ma il dibattito tra le istituzioni europee è tutt’altro che in discesa e i nodi da sciogliere sono molti.

Gli obiettivi del DMA

La proposta della Commissione europea afferma come sia intendimento proprio del DMA verificare se alcune aziende tecnologiche sfruttino abusivamente le loro dimensioni e la posizione radicata sul mercato per controllarne l’accesso da parte di altri operatori, a danno della competizione e dei consumatori.

Sul presupposto che questi comportamenti anticoncorrenziali potrebbero portare a “risultati inefficienti nel settore digitale in termini di prezzi più elevati, qualità inferiore, nonché meno scelta e innovazione a scapito dei consumatori europei”, la Commissione ha chiarito che il fine delle regole introdotte dal DMA, è appunto quello di disciplinare il funzionamento dei servizi digitali ritenuti “a rischio” prevedendo nuovi obblighi e responsabilità per le società che operano nella fornitura dei servizi.

Il sistema prevede, quindi, una tipizzazione ex ante delle condotte vietate e quelle obbligatorie che va ad aggiungersi e non a sostituirsi alle normative nazionali antitrust che potranno essere uguali o più rigorose, e “mira a completare l’applicazione del diritto della concorrenza, lasciando impregiudicati gli articoli 101 e 102 TFUE”.

La scelta di ricorrere ad una nuova disciplina trova la sua giustificazione nella lentezza che ha spesso caratterizzato le indagini condotte ai sensi degli articoli 101 e 102 TFEU, rendendo manifesta la relativa inettitudine a limitare i rischi alla concorrenza derivanti dalle condotte illecite adottate dalla società oggetto di indagine.

Dall’altro, nella consapevolezza che le vigenti norme antitrust risultano inadeguate nel caso in cui non si tratta di occuparsi di inibire e sanzionare un comportamento anticoncorrenziale specifico, quanto di risolvere problemi strutturali di un dato mercato capaci di recare pregiudizio alla concorrenza.[1]

Nel caso in cui, a seguito degli accertamenti, sia riscontrata una violazione del regolamento, secondo il testo del DMA licenziato la Commissione avrebbe il potere di infliggere alla società che gestisce i servizi digitali sanzioni di tipo amministrativo “non inferiori al 4% e non superiori al 20%” del suo fatturato mondiale totale nell’esercizio precedente”.

Si tratta, in definitiva, come già precisato, di una normativa che va dichiaratamente a integrare il quadro normativo già in essere, a tutela sia degli utenti finali che degli utenti commerciali che vanno ad usufruire dei servizi digitali fondamentali.

La definizione di gatekeeper

Come premesso, il DMA propone norme a tutela della concorrenza nel mercato digitale dirette ad abbattere le barriere all’ingresso del mercato digitale e a redistribuire le rendite[2].

La disciplina in corso di approvazione prevede un procedimento in due fasi: 1) la prima, d’individuazione del provider of a core platform service che possa essere qualificato gatekeeper; 2) la seconda, di applicazione a questi soggetti della disciplina prevista.

In linea preliminare va ricordato che il progetto di legge, come da ultimo emendato, annovera fra i core platform services:

  • i servizi di intermediazione online (come Amazon, che fornisce una piattaforma che ha il ruolo di intermediario tra i venditori e i consumatori);
  • i social network;
  • i motori di ricerca;
  • i sistemi operativi;
  • i servizi online di pubblicità;
  • i cloud computing;
  • i servizi di condivisione video.
  • i browser web, gli assistenti virtuali e le smart TV, in quanto parimenti potenzialmente in grado di realizzare condotte anticoncorrenziali.

Tali servizi e le piattaforme online svolgono da tempo un ruolo importante nell’economia europea, che è divenuto finanche più rilevante in un contesto temporale caratterizzato prima dalla pandemia ed ora da venti di guerra che funestano alcune aree dell’est.

Le difficoltà di spostamento, le restrizioni globali conseguenti al Covid, hanno finito per ampliare il ricorso dei consumatori ai motori di ricerca ed alle piattaforme d’intermediazione per soddisfare ogni tipo di bisogno.

Per altro verso hanno indotto un aumento dell’utilizzo dei servizi di social network e di condivisione per fronteggiare le esigenze proprie della socialità.

Inoltre, hanno portato un diverso approccio nel mondo del lavoro, con un ricorso a modalità di erogazione della prestazione lavorativa a distanza che ha affiancato – quando addirittura non l’abbia soppiantata, come in alcuni periodi particolarmente complessi per il contrasto alla diffusione del virus – la cosiddetta prestazione lavorativa in presenza.

In altre parole, le piattaforme on line hanno garantito indubbi benefici agli utenti ed ai consumatori finali in tutta Europa, consentendo loro facilità di interconnessione e di scambi, anche transfrontalieri, aprendo nuove opportunità sociali e commerciali.

Può quindi a ben ragione concludersi che i cd. “core platform services” appena citati costituiscano servizi di base utili a sodisfare esigenze primarie dei clienti ed a fornire gli strumenti per il raggiungimento degli obiettivi desiderati.

Come è stato affermato di recente è questo il loro “valore”, che è riconosciuto dagli utenti per ciò solo disposti ad acquistare i servizi che offrono.[3]

I criteri di natura quantitativa

Ciò posto, ai fini della definizione dei provider of a core platform service quali gatekeeper, il DMA si è soffermato su criteri di natura quantitativa.

Nella sua formulazione iniziale, il regolamento prevedeva che la qualifica di gatekeeper potesse essere ascritta, in via presuntiva, in capo ad operatori che superassero alcune soglie e, nello specifico:

1) fatturato annuale nello Spazio Economico Europea pari o superiore a € 6.5 miliardi negli ultimi 3 esercizi oppure capitalizzazione di mercato in media pari ad almeno € 65 miliardi nell’ultimo esercizio finanziario, unitamente alla fornitura di un “core platform service” in almeno 3 Stati Membri.

2) controllo di un canale di intermediazione tra utenti business e consumatori finali, presunta nel caso di “core platform service” con più di 45 milioni di utenti attivi al mese stabiliti nell’UE e più di 10000 utenti business attivi su base annuale stabiliti nella UE nell’ultimo esercizio finanziario.

3) una posizione di dominanza duratura, presunta in ipotesi di possesso dei requisiti 1) e 2) durante gli ultimi 3 esercizi.[4]

Successivamente, il testo del DMA è stato modificato prevedendo che siano soggette al regolamento le aziende che fatturano annualmente, nello Spazio economico europeo (SEE) 8 miliardi di euro, con una capitalizzazione di mercato di 80 miliardi di euro. Inoltre, le imprese dovrebbero fornire un “core platform service” in almeno tre paesi dell’UE, avere almeno 45 milioni di utenti finali mensili ed oltre 10.000 utenti commerciali.

Il primo dato che può trarsi dalle modifiche al testo appena riportate è che esse – in ragione dell’aumento delle soglie quantitative di riferimento – porteranno una restrizione dell’ambito applicativo della normativa.

Ad ogni modo, nella consapevolezza della diffusività globale ed utilità percepita dei servizi offerti dai cosiddetti gatekeeper, nel progetto di legge si legge la chiara preoccupazione che essi possano adottare comportamenti ostativi ad una concorrenza equa ed aperta.

Nel testo si afferma, in particolare che “tutte queste caratteristiche, combinate con un comportamento sleale da parte dei fornitori di tali servizi, possono avere l’effetto di compromettere sostanzialmente la contendibilità dei servizi principali della piattaforma, nonché di incidere sull’equità del rapporto commerciale tra i fornitori di tali servizi e i loro utenti commerciali e gli utenti finali, determinando in pratica una diminuzione rapida e potenzialmente di vasta portata della scelta degli utenti commerciali e degli utenti finali, e quindi può conferire al prestatore di tali servizi la posizione di un cosiddetto gatekeeper”.

Afferma inoltre il testo del DMA “è probabile, che la combinazione di queste caratteristiche dei gatekeeper porti in molti casi a gravi squilibri nel potere contrattuale e, di conseguenza, a pratiche e condizioni sleali per gli utenti aziendali e per gli utenti finali dei servizi di piattaforma principali forniti dai gatekeeper, a discapito dei prezzi, della qualità, della privacy e degli standard di sicurezza, della concorrenza leale, della scelta e dell’innovazione al riguardo”.

In definitiva, saranno sono considerati “gatekeeper” gli operatori aventi i requisiti dimensionali richiamati ed una conseguente posizione di dominanza, pur se relativa ad una singola attività digitale (motore di ricerca, social networking, etc).

In ogni modo, per quanto previsto allo stato dal regolamento, l’attribuzione di tale qualifica – comunque valida per un periodo di tempo limitato e soggetta a periodiche verifiche – avverrà in contradditorio con gli interessati e i terzi, giacché i criteri quantitativi indicati avranno, in merito, solo il rango proprio di una presunzione relativa.

Ai fornitori di servizi l’onere di dimostrare che, nonostante il superamento elle soglie quantitative, a causa delle circostanze eccezionali in cui opera il “core platform service” non soddisfano i requisiti oggettivi per qualificarsi come gatekeeper, presentando argomenti di prova sufficientemente convincenti.

Condotte vietate ai gatekeeper

Le imprese che saranno incluse nella nozione di gatekeeper saranno soggette a talune restrizioni e divieti. [5]

In attesa dell’approvazione del testo definitivo della legge, si discute di possibili condotte loro vietate, allo stato individuate:

  • nel leveraging, inteso quale sfruttamento della propria posizione dominante sul mercato, con applicazione di commissioni elevate o la limitazione dell’accesso ai servizi ed ai prodotti online;
  • nell’imposizione di termini e condizioni volte ad escludere l’accesso a funzionalità o servizi della piattaforma;
  • nel self-preferencing quale condotta volta a favorire sulla piattaforma i propri prodotti e servizi;
  • nel preferencing di terze parti, in termini di indebito favoritismo di un prodotto offerta da un operatore a danno di uno o più società concorrenti;
  • nel diniego di accesso ai dati raccolti dall’utenza (ove il consumatore abbia acconsentito alla loro condivisione);
  • in pratiche ingiustificate di vincolo (tying) e aggregazione (bundling), come la vendita o l’offerta congiunta di beni/servizi distinti senza un’adeguata giustificazione;
  • nell’imposizione di termini e condizioni poco chiari o irragionevoli agli utenti commerciali o agli utenti finali;
  • nella limitazione o nell’indebito rifiuto della portabilità dei dati, o del riutilizzo dei propri dati personali attraverso servizi diversi, al fine di impedire all’utente di abbandonare la piattaforma o disincentivarlo a farlo;
  • nell’indebito rifiuto di adottare soluzioni di interoperabilità (cioè la capacità di un sistema, prodotto o servizio di comunicare e funzionare con altri sistemi, prodotti o servizi) rendendo molto difficoltoso o, addirittura, impossibile per le imprese e gli utenti finali cambiare piattaforma.

Le acquisizioni killer

Nell’analizzare la disciplina del DMA, particolare dibattito ha suscitato il tema delle cosiddette “acquisizioni killer”.

Si ritiene che tali acquisizioni possano avere effetti anticoncorrenziali, ove avvengano da parte delle grandi società digitali ed abbiano, quali destinatarie, potenziali concorrenti in fase di avvio delle loro attività.

A fronte di tale posizione, si colloca la tesi di quanti rilevano che tali acquisizioni non vengono limitate dal DMA bensì regolate atteso che – nel testo attuale – è previsto che nel caso in cui si accerti una non conformità dell’operazione alle previsioni del regolamento, la Commissione europea abbia il potere di limitare i gatekeeper e prevenire i danni al mercato interno, e in particolare alle PMI.

Si prevede, in particolare, che “la Commissione dovrebbe indagare e valutare se siano giustificati ulteriori rimedi comportamentali o, se del caso, strutturali, al fine di garantire che il gatekeeper non possa vanificare gli obiettivi del presente regolamento violando sistematicamente uno o più degli obblighi previsti nel presente regolamento. La Commissione dovrebbe pertanto, in tali casi di inosservanza sistematica, avere il potere di imporre qualsiasi rimedio, comportamentale o strutturale, necessario per garantire l’effettiva osservanza del presente regolamento. La Commissione potrebbe vietare ai gatekeeper di impegnarsi in acquisizioni (comprese le “acquisizioni-killer”) nelle aree rilevanti per il presente regolamento […] per un periodo di tempo limitato ove ciò sia necessario e proporzionato per rimediare ai danni causati da violazioni ripetute o per prevenire ulteriori danni” al mercato interno.

I gatekeeper, proprio al fine di evitare che possa crearsi una concentrazione di imprese ai sensi di quanto definito dal Regolamento comunitario sulle concentrazioni, n. 139/2004, hanno l’obbligo di informare la Commissione Europea di qualunque prevista possibile concentrazione.[6]

Per attribuire efficacia al valore di tale regolamentazione, alla Commissione europea sono stati delegati poteri sanzionatori, pur nel rispetto del ruolo ricoperto dalle singole autorità nazionali, garanti della concorrenza.

Nel testo licenziato è stato previsto, in particolare, di autorizzare la Commissione a imporre “rimedi strutturali o comportamentali” laddove i gatekeeper abbiano dimostrato una sistematica violazione della disciplina.

Più specificamente:

1) la Commissione potrà limitare la capacità dei gatekeeper di effettuare acquisizioni in aree rilevanti per il DMA;

2) i gatekeeper sono inoltre tenuti a informare la Commissione di qualsiasi concentrazione prevista;

3) la violazione delle regole da parte di un gatekeeper, consentirà alla Commissione d’imporre ammende “non inferiori al 4% e non superiori al 20%” del suo fatturato mondiale totale nell’esercizio finanziario precedente. [7][8]

Le critiche degli analisti al DMA

Si afferma, nei primi commenti[9] sul testo del regolamento, che il DMA presenti una lacuna nel non considerare adeguatamente i modelli di business, laddove si possono individuare almeno tre principali gruppi di piattaforme:

  • finanziate con la pubblicità (Google, Facebook, Bing, Pinterest, Twitter, Snapchat);
  • di transazione o di matchmaking (Uber, Airbnb, Amazon, DoubleClick);
  • dell’ecosistema operativo, cioè operanti sistemi e app store (iOS, Appstore, Android, Google Play Store, Microsoft Windows, AWS, Microsoft Azure ecc.).

Si afferma che ai diversi modelli di business si legano di economie di scala, tipo e la direzione degli effetti di rete (network effects), potenziale di multihoming e potenziale di disintermediazione differenti.

Il gatekeeper, invero, è un’azienda che controlla l’accesso presso un gruppo piuttosto ampio di utenti, tale da influire sulla concorrenza. Sicché la chiave per designazione di un gatekeeper è quindi data dall’esistenza o meno di ostacoli al multihoming e dalla possibilità o meno per gli utenti di bypassare direttamente la piattaforma.

Tali ostacoli possono essere o determinati dal servizio (es. costi di transizione, barriere tecniche) oppure indotti dal comportamento dell’azienda.

Per altro verso è evidente come l’analisi delle possibilità di disintermediazione e multihoming differiscono fra le attività finanziate dalla pubblicità, attività di transazione-match-making e i sistemi operativi-app store.

Si sostiene, quindi, che l’approccio basato sui modelli di business evidenzia come sia difficile formulare regole che siano indipendenti dal modello e applicabili in modo efficace a tutti i differenti business.

In sostanza punti critici della proposta si rinvengono:

  • nella definizione di gatekeeper con criteri oggettivi rigidi ovvero con criteri qualitative discrezionali;
  • nella definizione delle regole e degli obblighi imposti col DMA appaiono più una trasposizione dei casi e delle sentenze in materia di concorrenza delle grandi piattaforme più che un sistema normativo unitario; senza tener conto, comunque, che un approccio fondato sui diversi modelli di business forse sarebbe più efficace.

Le posizioni critiche e le resistenze delle piattaforme digitali sul DMA

Critiche al testo del DMA sono poi pervenute anche dagli stessi Paesi dai quali provengono i più potenti gatekeeper, indotte proprio dalle resistenze di tali operatori.

È indubitabile che si sia partiti da un accordo transatlantico generale ad oggetto la necessità di regolamentare la grande tecnologia con normative ex ante, dirette a contrastare il predominio dei giganti della tecnologia.  Ciò sul presupposto, condiviso dalla stessa Commissione, della inadeguatezza o lentezza degli interventi a posteriori nei riguardi di condotte abusive delle grandi piattaforme.

Tuttavia, nel dibattito sul regolamento e sulla sua approvazione da parte degli Stati membri, pesa proprio la posizione dei big tech della tecnologia, che potrebbero subire costi di conformità che la Commissione europea ha stimato in 1,41 milioni di euro all’anno, per piattaforma.

Al di là del tema di tali oneri diretti, è stato evidenziato il rischio che i big tech subiscano altri costi per così dire indiretti, derivanti da alcune disposizioni del DMA;

a) quelle che richiedono ai servizi dei motori di ricerca di rivelare ai concorrenti come classificano le risposte a una determinata domanda;

b) quelle che impongono a gatepekeers di condividere informazioni proprietarie e competenze essenziali per il loro successo competitivo.

Ciò detto, la posizione sul DMA che si è affermata in Europa trova una sua esplicitazione nelle parole del relatore del progetto di legge Andreas Schwab.

Questi ha dichiarato: “L’adozione odierna del mandato negoziale DMA invia un segnale forte: il Parlamento europeo si oppone alle pratiche commerciali sleali utilizzate dai giganti digitali. Faremo in modo che i mercati digitali siano aperti e competitivi. Questo è un bene per i consumatori, un bene per le imprese e un bene per l’innovazione digitale. Il nostro messaggio è chiaro: l’Ue farà rispettare le regole dell’economia sociale di mercato anche nella sfera digitale, e questo significa che i legislatori dettano le regole della concorrenza, non i giganti digitali”.

Viceversa, negli USA le big tech hanno chiesto direttamente all’amministrazione Biden di fare pressione su Bruxelles. Ne è conseguita una missiva indirizzata a Bruxelles firmata da Arun Venkataraman, segretario al commercio Usa, con cui si chiede all’Ue di adottare parametri di selezione non discriminatori nei confronti delle aziende americane, assicurando fra l’altro che nell’ambito del DMA siano ricomprese anche rivali europei e stranieri delle società Usa.

Ma anche in Europa non tutto fila liscio.

Vi sono infatti le proteste che arrivano dal Cispe (l’associazione europea che riunisce le società del cloud computing tra cui l’italiana Aruba).

Secondo i firmatari della lettera, con cui l’associazione ha chiesto alla vicepresidente Ue di aggiungere aziende con “posizioni dominanti nella produttività e nel software aziendale” alla legge sui mercati digitali” i fornitori di software aziendali starebbero abusando delle licenze software per bloccare i clienti nella propria infrastruttura cloud, “Più di 2.500 Ceo in Europa e circa 700 delle più grandi imprese e istituzioni europee, numerosi deputati, esperti di concorrenza e innovatori europei hanno proposto emendamenti e sollevato preoccupazioni riguardo la mancanza di rimedi contro l’abuso di gatekeeper che hanno monopoli nel settore software durante le discussioni del Dma” si aggiunge nella nota, concludendosi come sia “ essenziale che il DMA includa rimedi chiari per fermare le pratiche sleali da parte dei gatekeeper del software. Piccoli chiarimenti sono tutto ciò che è necessario per chiudere questa lacuna critica” concludono i rappresentati dall’associazione europea del cloud computing”.

Appare abbastanza chiaro che il dibattito all’interno dei negoziati interistituzionali tra Commissione europea, Consiglio Ue e Parlamento europeo sul DMA è tutt’altro che privo di nodi da sciogliere.

  1. https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/digital-markets-act-come-si-sta-disegnando-il-futuro-delleconomia-digitale-europea/; Digital Markets Act, così l’Europa limita il potere delle big tech
  2. Per un approfondimento sul tema, v. The Digital Markets Act – Institutional Design and Suggestions for Improvement TILEC Discussion Paper No. 2021-04, Giorgio Monti, Tilburg Law and Economics Center (TILEC). L’Autore conclude il paper con interessanti modifiche al DMA, nell’ottica di rendere più efficace l’intervento normativo.
  3. Si afferma nel testo La centralità di detti servizi è ormai appurata e le piattaforme online, in particolare, “svolgono un ruolo sempre più importante nell’economia”, si legge nel testo approvato, “in particolare nel mercato interno, fornendo agli utenti commerciali gateway per raggiungere gli utenti finali in tutta l’Unione e oltre, agevolando gli scambi transfrontalieri e aprendo opportunità commerciali completamente nuove a un gran numero di imprese nell’Unione a vantaggio dei consumatori dell’Unione” I c.d. core platform services, inoltre, “presentano una serie di caratteristiche che possono essere sfruttate dai loro fornitori. Queste caratteristiche dei core platforms services includono, tra l’altro, economie di scala estreme, che spesso derivano da costi marginali quasi nulli per aggiungere utenti aziendali o utenti finali”. Detti servizi, inoltre, hanno la capacità di legare un legame molto forte tra gli utenti aziendali e gli utenti finali, grazie alle molteplici funzioni che gli stessi offrono, creando un “grado significativo di dipendenza sia degli utenti aziendali che degli utenti finali, effetti di lock-in, mancanza di multi-homing per lo stesso scopo da parte degli utenti finali, integrazione verticale e vantaggi basati sui dati”. “Tutte queste caratteristiche”, si legge “combinate con un comportamento sleale da parte dei fornitori di tali servizi, possono avere l’effetto di compromettere sostanzialmente la contendibilità dei servizi principali della piattaforma, nonché di incidere sull’equità del rapporto commerciale tra i fornitori di tali servizi e i loro utenti commerciali e gli utenti finali, determinando in pratica una diminuzione rapida e potenzialmente di vasta portata della scelta degli utenti commerciali e degli utenti finali, e quindi può conferire al prestatore di tali servizi la posizione di un cosiddetto gatekeeper”.“È probabileafferma il testo del DMAche la combinazione di queste caratteristiche dei gatekeeper porti in molti casi a gravi squilibri nel potere contrattuale e, di conseguenza, a pratiche e condizioni sleali per gli utenti aziendali e per gli utenti finali dei servizi di piattaforma principali forniti dai gatekeeper, a discapito dei prezzi, della qualità, della privacy e degli standard di sicurezza, della concorrenza leale, della scelta e dell’innovazione al riguardo”.Per tale ragione, si rende necessario, mediante le regole introdotte dal DMA, regolare il funzionamento dei servizi digitali identificati come “a rischio”, adattando il sistema previgente in materia antitrust e prevedendo nuovi obblighi e responsabilità per le società che operano nella fornitura di servizi ormai del tutto strategici.I servizi, invece, che “agiscono a titolo non commerciale, come i progetti di collaborazione,” si ritiene che “non dovrebbero essere considerati servizi fondamentali ai fini dell’applicazione del regolamento di cui si discute.
  4. https://www.gop.it/doc_pubblicazioni/890_0b53p0mgl3_eng.pdf, Nuove regole UE per Big Tech Più responsabilità e regole antitrust speciali
  5. Questi includono, ad esempio: divieti di discriminazione a favore dei propri servizi, obblighi di garantire l’interoperabilità con la propria piattaforma ad altre piattaforme concorrenti obblighi di condividere, nel rispetto delle norme sulla privacy, i dati che vengono forniti o generati attraverso le interazioni degli utenti commerciali e dei loro clienti sulla piattaforma dei gatekeeper. Con sanzioni fino al 10% del fatturato. Non solo: la violazione sistematica delle norme potrà portare all’applicazione di rimedi di natura straordinaria quali l’obbligo di cessione di parte degli asset aziendali o delle proprietà aziendali (splitting)”. https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/digital-markets-act-come-si-sta-disegnando-il-futuro-delleconomia-digitale-europea/ Digital Markets Act, così l’Europa limita il potere delle big tech in Agenda Digitale
  6. https://www.cybersecurity360.it/legal/digital-markets-act-dma-il-parlamento-ue-approva-principali-modifiche-e-sanzioni/; Digital Markets Act (DMA), il Parlamento UE approva: principali modifiche e sanzioni “Per garantire l’efficacia della revisione dello status di gatekeeper nonché la possibilità di adeguare l’elenco dei servizi di piattaforma di base forniti da un gatekeeper, i gatekeeper dovrebbero informare la Commissione di tutte le loro acquisizioni previste e concluse di altri fornitori di servizi di base servizi di piattaforma o qualsiasi altro servizio fornito nel settore digitale. […]. La Commissione dovrebbe informare le autorità nazionali competenti di tali notifiche”
  7. Si legge nel testo che la Commissione dovrebbe indagare e valutare se siano giustificati ulteriori rimedi comportamentali o, se del caso, strutturali, al fine di garantire che il gatekeeper non possa vanificare gli obiettivi del presente regolamento violando sistematicamente uno o più degli obblighi previsti nel presente regolamento. La Commissione dovrebbe pertanto, in tali casi di inosservanza sistematica, avere il potere di imporre qualsiasi rimedio, comportamentale o strutturale, necessario per garantire l’effettiva osservanza del presente regolamento. La Commissione potrebbe vietare ai gatekeeper di impegnarsi in acquisizioni (comprese le “acquisizioni-killer”) nelle aree rilevanti per il presente regolamento […] per un periodo di tempo limitato ove ciò sia necessario e proporzionato per rimediare ai danni causati da violazioni ripetute o per prevenire ulteriori danni” al mercato interno.Non solo: i gatekeeper hanno l’obbligo, proprio al fine di evitare che possa crearsi una concentrazione di imprese (ai sensi di quanto definito dal Regolamento comunitario sulle concentrazioni, n. 139/2004), di informare la Commissione Europea di qualunque prevista possibile concentrazione: “Per garantire l’efficacia della revisione dello status di gatekeeper nonché la possibilità di adeguare l’elenco dei servizi di piattaforma di base forniti da un gatekeeper, i gatekeeper dovrebbero informare la Commissione di tutte le loro acquisizioni previste e concluse di altri fornitori di servizi di base servizi di piattaforma o qualsiasi altro servizio fornito nel settore digitale. […]. La Commissione dovrebbe informare le autorità nazionali competenti di tali notifiche
  8. “Nel testo approvato si legge ancora “ L’impatto negativo delle pratiche sleali sul mercato interno e la contestabilità particolarmente debole dei core platform services comprese le loro implicazioni sociali ed economiche negative, hanno indotto i legislatori nazionali e le autorità di regolamentazione del settore ad agire. A livello nazionale sono già state adottate alcune soluzioni normative o proposte per far fronte alle pratiche sleali e alla contestabilità dei servizi digitali o quanto meno rispetto ad alcuni di essi. Ciò ha creato il rischio di soluzioni normative divergenti e quindi la frammentazione del mercato interno, aumentando così il rischio di maggiori costi di conformità a causa di diversi insiemi di requisiti normativi nazionali.”Da qui, la scelta di designare la Commissione Europea come principale organo applicativo del regolamento in corso di approvazione. Come si precisa, “ciò non pregiudica la capacità degli Stati membri di imporre obblighi uguali, più rigorosi o diversi agli intermediari al fine di perseguire altri legittimi interessi pubblici, nel rispetto del diritto dell’Unione. Tali interessi pubblici legittimi possono essere, tra l’altro, la protezione dei consumatori, la lotta contro atti di concorrenza sleale e la promozione della libertà e del pluralismo dei media, della libertà di espressione, nonché della diversità culturale o linguistica”.Poiché il DMA “mira a completare l’applicazione del diritto della concorrenza” si precisa, che il regolamento “lascia impregiudicati gli articoli 101 e 102 TFUE, le corrispondenti norme nazionali in materia di concorrenza e altre norme nazionali in materia di concorrenza relative a comportamenti unilaterali che si basano su una valutazione individualizzata delle posizioni e dei comportamenti di mercato, compresi i suoi probabili effetti e la precisa portata del comportamento vietato, e che prevedono la possibilità per le imprese di addurre argomenti di efficienza e di giustificazione oggettiva del comportamento in questione”.Il DMA quindi costituisce normativa che va dichiaratamente a integrare il quadro normativo già in essere, a tutela sia degli utenti finali che degli utenti commerciali comprendendo nei primi anche “gli utenti che sono tradizionalmente considerati utenti aziendali, ma in una data situazione non utilizzano i servizi principali della piattaforma per fornire beni o servizi ad altri utenti finali, come ad esempio le aziende che si affidano al cloud computing servizi per i propri scopi”.Nel caso in cui, a seguito degli accertamenti, sia riscontrata una violazione del regolamento, la Commissione ha, come riportato nel testo, il potere di infliggere alla società che gestisce i servizi digitali sanzioni di tipo amministrativo “non inferiori al 4% e non superiori al 20%” del suo fatturato mondiale totale nell’esercizio precedente”.
  9. V. The European Commission Digital Markets Act: a translation, Cristina Caffarra, Fiona Scott Morton 05 January 2021

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