Da qualche tempo a questa parte il mercato dell’usato è diventato particolarmente attraente e di tendenza, in quanto chi vende e acquista usato adotta un comportamento sostenibile, da cui traggono beneficio non solo venditore e compratore, ma anche l’ambiente e quindi la società nel suo complesso. Anche settori particolari come l’alta moda sono ormai interessati da fenomeni come l’usato, il recycling e l’upcycling, e non è da meno anche un settore industriale ad alta tecnologia come quello del software.
Cruciale, tuttavia, ai fini dell’effettivo sviluppo di un solido mercato dell’usato è l’affidabilità dei prodotti e della transazione, affinché chi decide di acquistare un bene di questo tipo abbia accesso ad informazioni complete e verificabili, che consentano di orientarsi fra le diverse offerte ed evitare le facili truffe.
Cessione software tra società, quanto è legittimo chiedere un prezzo per il trasferimento
Nel caso del software usato è noto, fin dalla storica decisione della Corte di giustizia europea nel caso UsedSoft GmbH c. Oracle International Corp. del 3 luglio 2012 (C-128/11), che la rivendita di una licenza di software può, a determinate condizioni, essere lecita, sulla base del principio di esaurimento del diritto d’autore e del diritto del marchio. Sulla base dell’art. 17 della legge sul diritto d’autore (l. 633/41) e sulla base dell’art. 5 del codice della proprietà industriale (d.lgs. 30/2005) il titolare del diritto d’autore e del diritto di marchio non possono infatti opporsi alla successiva circolazione del bene protetto, una volta che questo sia stato immesso in commercio nel territorio italiano o di uno Stato membro dello Spazio economico europeo (SEE) da parte del titolare dell’esclusiva o con il suo consenso.
In altre parole, ed in linea generale, se il titolare dei diritti ha messo in commercio in Italia (o in altro Stato del SEE) il bene protetto, oppure ha acconsentito a che un terzo effettuasse tale commercializzazione, il bene in questione può essere oggetto di ulteriori rivendite da parte del primo acquirente, senza che sia necessario richiedere un consenso al titolare dei diritti ovvero pagare allo stesso un qualsiasi tipo di compenso.
Il software e il principio dell’esaurimento
Per lungo tempo si è ritenuto che questo principio non fosse applicabile al software, in quanto si tratta di un bene digitale (e quindi intangibile), che per di più non è oggetto di compravendita ma piuttosto di contratti di licenza, che nel passato espressamente vietavano la sublicenza o la successiva cessione del software stesso. Nel caso UsedSoft la Corte di giustizia ha tuttavia ritenuto che lo scaricamento di copie elettroniche di un programma per elaboratore da internet rientri nella nozione di distribuzione, cui debba essere quindi applicato il principio dell’esaurimento, sulla base di un’interpretazione letterale dell’art. 4 co. 2 della direttiva 2009/24 sui programmi per elaboratore, e considerato anche che dal punto di vista economico la licenza perpetua di un programma per elaboratore è assimilabile alla vendita dello stesso, e che poi la vendita di un programma per elaboratore su CD-Rom o DVD è a sua volta analoga allo scaricamento tramite download. Ne consegue che i diritti esclusivi sul software si esauriscono a seguito della prima vendita della copia di un programma per elaboratore nello spazio SEE da parte del titolare esclusivo o con il suo consenso, indipendentemente dalla questione se la vendita riguardi una copia tangibile o intangibile del programma stesso.
Quando il software è illecito, non usato
A seguito di questa decisione della Corte di giustizia si sono affermati sul mercato diversi operatori che si occupano di software usato, per esempio recuperando software dismesso da grandi aziende che procedono con regolarità alla revisione dei sistemi IT, e collocandolo poi presso acquirenti che non sono interessati ad avere le versioni più aggiornate del software disponibili sul mercato. Insieme a questi operatori esistono tuttavia numerosi altri soggetti che affermano di occuparsi di software usato, e invece in realtà trattano software illecito, in quanto non conforme ai principi dell’esaurimento comunitario. La questione non è di poco conto, dal momento che l’onere di dimostrare la conformità del software usato ricade sull’acquirente successivo, ovvero sul distributore, come affermato prima dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (la stessa decisione UsedSoft, nonché la decisione del 12 ottobre 2016, caso Ranks c. Microsoft, C-166/15), successivamente dalle Corti federali tedesche (Bundesgerichtshof, decisione del 17 Luglio 2013, caso “UsedSoft II”; Bundesgerichtshof, decisione 15 marzo 2015, caso “GreenIT”), e recentemente anche dai Tribunali nazionali (Trib. Cagliari, ord. 14 marzo 2019; Trib. Roma, ord. 13 agosto 2021).
Come evitare sanzioni: le prove da ottenere
Ciò appare del resto conforme alle regole generali del nostro ordinamento, secondo le quali l’onere della prova della provenienza comunitaria dei beni deve gravare sulla parte che intende ricavare da detta circostanza l’esenzione dalle conseguenze giuridiche normalmente collegate alla violazione delle disposizioni sui diritti di proprietà intellettuale. Quali sono dunque le prove che è necessario ottenere per non correre il rischio che l’acquisto di software usato si riveli privo di basi, esponendo al rischio della cancellazione del software, oltre che a sanzioni civili (come l’inibitoria ed il risarcimento del danno), e potenzialmente anche penali (per esempio, quelle connesse all’incauto acquisto)? La prima prova concerne la circostanza che la prima vendita sia effettivamente avvenuta nello spazio SEE da parte del titolare dei diritti ovvero con il suo consenso.
Ricostruire tutta la catena delle transazioni
È quindi necessario ricostruire tutta la catena delle transazioni risalendo fino alla prima vendita, ed accertandosi che questa sia avvenuta da parte del titolare dei diritti o comunque da parte di un soggetto autorizzato. In altre parole, non ci si potrà accontentare di una fattura di acquisto da parte di un rivenditore localizzato nello spazio SEE, a meno che quest’ultimo non sia in grado di esibire anche le prove del suo acquisto (o della catena di acquisti fino a giungere a quello) da parte del primo licenziatario, prove che dimostrino che la licenza è stata effettivamente concessa nello spazio SEE. Questa condizione, che è sufficiente per l’esaurimento del diritto di marchio, non basta tuttavia per l’esaurimento dei diritti d’autore sul software.
Come riconosciuto dalla giurisprudenza comunitaria, per questo tipo di esaurimento è anche necessario, in primo luogo, verificare e dimostrare che la licenza per il software sia stata concessa in cambio del pagamento di una somma destinata a consentire al titolare dei diritti di ottenere una remunerazione corrispondente al valore economico della copia della sua opera (con esclusione quindi delle copie omaggio e simili).
Durata della sottoscrizione
In secondo luogo, si deve dare evidenza che la licenza del software fosse perpetua, perché l’esaurimento non si verifica nel caso di sottoscrizioni di durata temporanea.
Evitare la violazione del diritto esclusivo di riproduzione
Da ultimo, bisognerà dimostrare che l’acquirente originario che cede la licenza perpetua abbia reso inutilizzabili le proprie copie del programma per elaboratore al momento della sua rivendita, e ciò evidentemente al fine di evitare la violazione del diritto esclusivo di riproduzione del software. Intuitivamente, la vendita deve riguardare quella copia del software, e quella sola, di cui un soggetto si priva a favore di un altro; se il cessionario del software in realtà ne trattiene una copia non ci si trova più nel perimetro della lecita cessione di un software usato, ma invece in quello della illecita riproduzione del medesimo software, vietata dalla legge e sanzionata a vari livelli (civile, penale ed amministrativo).