L’Unione Europea prova a nuotare controcorrente dichiarando di essere disposta a portare avanti un progetto comunitario di web tax qualora l’OCSE non riuscisse a giungere ad una composizione degli interessi entro i prossimi sei mesi. E’ quanto affermato dal Commissario Europeo per l’Economia Paolo Gentiloni, intervenuto da Bruxelles in sede di Audizione alla Camera in Commissioni riunite Finanze e Politiche Ue lo scorso 17 novembre 2020.
Digital tax e Recovery Fund
Il Commissario Europeo ha evidenziato come il contesto attuale si presenti quale occasione unica per effettuare quel salto di qualità richiesto all’Unione Europea per raccogliere le risorse necessarie per finanziare i programmi di recovery e quindi essere in condizione di ripagare nel prossimo trentennio il debito contratto per il recovery fund.
Tra i passaggi cruciali attuali, oltre alle decisioni già assunte a Bruxelles di sospensione dei dazi e dell’Iva sui dispositivi medici e di protezione individuale, oltre che di esonero da Iva dei vaccini almeno fino a quando l’OMS non dichiarerà la fine pandemia, in prima linea si presenterebbe proprio la web tax, che avrebbe visto rafforzate le sue ragioni di introduzione in un modo enorme nelle ultime settimane e mesi.
Ciò in quanto i giganti del web sarebbero indiscutibilmente usciti vincitori della pandemia, avendo incrementato le proprie attività e profitti in maniera smisurata. Web tax che tuttavia continuerebbe a convivere con un sistema di tassazione basato sul criterio ormai del tutto desueto della presenza fisica delle sedi.
Nonostante il gioco d’anticipo della Francia che annuncia il prelievo fiscale già entro fine anno (anche se l’obiettivo finale resta una digital tax europea entro il 2021), l’orientamento generale Ue punta a un’intesa globale a livello OCSE sulla materia, in mancanza della quale entro il primo semestre del 2021 la Commissione Europea presenterà una proposta UE.
Conclude Gentiloni osservando che se la soluzione globale sarebbe la più sensata, al contempo la proliferazione di singole web tax nazionali sarebbe certamente la più irragionevole, sottolineando l’esistenza di una forte motivazione per arrivare ad una proposta di digital tax europea.
Il programma Next Generation EU
Le dichiarazioni del Commissario Europeo per l’Economia sono del resto in linea con quanto di recente aveva già dichiarato il ministro tedesco delle Finanze e Presidente di turno dell’Ecofin Olaf Scholz, individuando nel prelievo digitale un fondamentale strumento per raccogliere nuove risorse proprie per l’Unione Europea a fronte della necessità di finanziare i crediti a sostegno degli aiuti diretti agli Stati membri per far fronte all’emergenza Covid-19.
Nel contempo, Scholz ha altresì ricordato come la tassazione delle aziende del settore digitale sia anche parte del programma europeo Next Generation EU. Il 10 novembre 2020, in sede di Consiglio, il Parlamento europeo e gli Stati membri hanno infatti raggiunto un accordo sul prossimo bilancio a lungo termine dell’Unione Europea e su Next Generation EU. Trattasi di un accordo storico che guarda alla realizzazione di programmi specifici nel quadro del bilancio a lungo termine per il periodo 2021-2027, prospettiva in cui rientrano anche la regolazione della carbon tax e della tassa sulle transazioni finanziarie, oltre che uno strumento di efficacia contingente per stimolare la ripresa e ricostruire l’Europa dopo la pandemia di COVID-19.
L’Europa fissa quindi una dead line all’OCSE che pare rivolgersi agli interlocutori dissidenti e, in particolare, al maggiore interlocutore controinteressato, gli Stati Uniti, che adducendo la causa Covid lo scorso giugno hanno abbandonato il tavolo di discussione in merito all’introduzione di un prelievo digitale a livello internazionale.
Il cambio di amministrazione Usa
Rispetto al ruolo degli Stati Uniti non è del resto difficile immaginare che, anche laddove i lavori fossero continuati, la posizione di Trump non avrebbe consentito di trovarsi ad un punto diverso rispetto a quello in cui ci si trova ora.
E’ ben nota, infatti, la linea fortemente contraria del Presidente USA uscente rispetto all’introduzione di un’imposizione che impatta maggiormente sui principali player statunitensi del web, spinta sino alla minaccia di avviare una vera e propria guerra commerciale nei confronti dell’Italia e dei paesi che già avevano introdotto forme di prelievo digitali a livello nazionale.
Al contrario, il cambio di amministrazione USA parrebbe essere la condizione per una proficua riapertura del tavolo di discussione in ambito OCSE data la maggiore propensione della persona di Biden al confronto ed al rispetto degli accordi internazionali.
Peraltro, se il nuovo ingresso alla Casa Bianca potrebbe lasciare immaginare in termini di riapertura dei lavori, non dà però particolari garanzie né in merito ai tempi in cui ciò potrà concretamente avvenire, né sulla effettiva posizione dell’amministrazione Biden sulla questione.
Nel corso della sua campagna elettorale, Joe Biden ha sempre affermato l’intenzione di voler imporre tasse più elevate a gravare sulle aziende degli Stati Uniti oltre un certo fatturato, ma da ciò non pare potersi di per sé desumere un atteggiamento di favore e di apertura con specifico riferimento alla introduzione di una web tax internazionale.
L’incognita Biden sulla digital tax
Al contrario, dalle informazioni apparse sulla stampa statunitense, i più dubitano che tra le prime mosse di Biden vi sarà lo sblocco dei negoziati in sede OCSE.
Nelle ultime interviste rilasciate da Biden, prima del silenzio che ha avvolto la bolla elettorale, il candidato democratico aveva dichiarato che, in caso di elezione, avrebbe aumentato le tasse solo per gli americani più abbienti, che le analisi del suo piano fiscale hanno tradotto in una rassicurante percentuale inferiore al 2%.
Con riferimento ai colossi del tech, Biden non ha usato mezzi termini quando in un tweet ha affermato che Amazon dovrebbe iniziare a pagare le tasse come qualsiasi impresa americana e che nessuna società, a prescindere dalle dimensioni, dovrebbe trovarsi nella posizione di non pagarle pur facendo miliardi e miliardi di dollari.
Ciò anche per il fatto che il venditore sulla rete se l’è cavata molto meglio della maggior parte delle aziende statunitensi, dato che le misure di contrasto all’epidemia del coronavirus, nel costringere le persone in casa, hanno inevitabilmente spostato la domanda dei consumatori su Internet. Ma l’azienda, ha osservato Biden, continua a subire la pressione politica dei politici di destra e di sinistra.
In tale delicato gioco di politica in cui Biden si appresta ad entrare fattivamente si ritiene che avallare un accordo internazionale che preveda l’imposizione della web tax ai danni delle maggiori multinazionali del tech che si trovano negli USA, non sarebbe strategicamente la prima mossa da mettere in campo, o quantomeno difficilmente nel 2021.
Prospettiva di regolazione europea
Si fa quindi sempre più concreta la prospettiva di una regolazione europea a prescindere da un accordo in ambito Ocse che verosimilmente tarderà ad arrivare.
Del resto, chiaro sentore di questa esigenza è la reazione manifestata dal MEF alle istanze manifestate nelle ultime settimane in ambito parlamentare da parte di diversi schieramenti politici volte ad adottare iniziative di adeguamento del prelievo fiscale della digital tax che tengano conto del mutato quadro economico rispetto all’epoca della sua introduzione.
In particolare, si tratterebbe di escludere le imprese italiane, soprattutto se di modeste dimensioni, del prelievo fiscale limitandolo ai colossi del web e di destinarne in via prioritaria le risorse all’abbattimento della pressione fiscale gravante sulle PMI e sulle attività commerciali che escono maggiormente danneggiate dalla legislazione di urgenza adottata per far fronte all’emergenza epidemiologica.
A fronte di dette istanze il MEF ha reagito riportando la questione ad un livello sovra parlamentare, ricordando la necessità di evitare scontri e reazioni economiche sul piano internazionale dato che gli USA, dove hanno sede molte delle tech companies, hanno da tempo minacciato ritorsioni commerciali nei confronti dell’Italia. Ciò che suggerisce di agire precedentemente sul piano internazionale concordato invece che in via unilaterale rischiando esiti contrari alle premesse. Anche per tali ragioni il MEF ha del resto ricordato come la web tax nazionale abbia necessariamente carattere temporaneo e sarà eliminata non appena saranno individuate regole condivise a livello internazionale per tassare i profitti dove questi siano effettivamente realizzati.