ai confini del marketing

Influencer e pubblicità, dov’è il confine? Consigli utili per post a prova di normativa

Quando si parla di influencer, il confine tra condivisione e pubblicità è molto labile. Però non è vero che l’influencer marketing sia il far west: seppur sprovvisto di una normativa ad hoc, si regge su diversi principi, provenienti da discipline differenti. Vediamoli per capire come creare post del tutto leciti

Pubblicato il 07 Mar 2022

Giulietta Minucci

Associate, De Berti Jacchia

Camilla Pozzi

studio De Berti Jacchia

influencer4

Post, foto, video ed in generale i contenuti generati dagli influencer hanno spesso posto dubbi di liceità, dal momento che la finalità pubblicitaria non è sempre riconoscibile dai followers.

Non sussiste infatti – ad oggi – una disposizione normativa ad hoc volta a regolare il fenomeno dell’influencer marketing né il rapporto tra influencer e aziende. L’assenza di una positivizzazione normativa fa sì che spesso i messaggi veicolati dagli influencer appaiano, non come campagne promozionali o pubblicità, ma come una condivisione disinteressata e spontanea della propria vita quotidiana.

Influencer marketing, tra pubblicità occulta e diritto dei marchi: i paletti dell’Antitrust

Il confine tra condivisione e pubblicità è infatti molto labile. Il caso emblematico Philipp Plein V. Ferrari come vedremo, pone all’evidenza la commistione tra (i) condivisione della vita quotidiana e (ii) campagna promozionale.

L’influencer marketing, seppur sprovvisto di una normativa ad hoc, si regge su di una molteplicità di principi, i quali provengono da discipline differenti: dalla tutela del consumatore alla tutela della proprietà intellettuale e al diritto d’autore, passando per la normativa antitrust sino ad arrivare al Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Influencer marketing e contraffazione sui social network

È fatto ormai noto che le imprese ambiscono ad operare su tutte le maggiori piattaforme al fine di intercettare potenziali prospect e con l’aumentare delle possibilità aumentano anche gli illeciti: infatti, la mancanza di una specifica regolamentazione crea terreno fertile per le pratiche illecite di concorrenza sleale e violazione di diritti di proprietà intellettuale.

Le fattispecie confusorie, il cui intento è quello di trarre in inganno il consumatore sull’origine dei prodotti grazie all’utilizzo di nomi e segni distintivi altrui, si associano alla contraffazione di marchio la cui tutela è previsa nel codice della proprietà industriale (art.20 CPI) e la cui disciplina sancisce la possibilità di vietare a terzi l’utilizzo di un marchio uguale o simile al proprio, riservandone l’utilizzo esclusivo al suo legittimo proprietario.

I segni distintivi ai quali si fa riferimento consistono in qualsiasi elemento idoneo ad individuare un prodotto e distinguerlo da altri provenienti da un diverso imprenditore, così che non possa sorgere confusione sull’origine dei prodotti stessi.

Il caso Ferrari vs Philipp Plein

A questo proposito, tra le altre, non si può non menzionare la querelle tra il noto stilista di moda Philipp Plein e la celebre casa automobilistica Ferrari. Lo stilista ha utilizzato sui social media un’auto Ferrari come sfondo per le sue nuove creazioni (sneakers particolarmente appariscenti) e la semplice polemica tra i due lussuosi brand con posizionamenti molto precisi, si è trasformata in una complessa questione.

Da un lato, Plein difende i propri contenuti sostenendo trattarsi del proprio profilo privato e dall’altro Ferrari, che lamenta un utilizzo non autorizzato dei propri segni distintivi in un contesto non propriamente in linea con l’immagine del brand automobilistico.

L’outcome? L’avvio di un procedimento cautelare che ha visto il Tribunale di Genova condannare Philipp Plein per l’uso dei marchi Ferrari e dei suoi modelli di autovetture in alcuni post pubblicati su Instagram e ne ha ordinato la rimozione.

La ratio? Vero è che per gli influencer la rappresentazione della propria vita è elemento essenziale, al pari dell’ostentazione di beni di consumo dei quali si circondano, ma altrettanto vero è che l’eventuale uso di marchi di terzi può ritenersi lecito, solo se autorizzato dal titolare o se sostanzialmente inevitabile, perché visibile sui “prodotti normalmente usati dal soggetto rappresentato per compiere l’azione pubblicata” (Ordinanza del 4 febbraio 2020). Diversamente, l’utilizzo di un marchio di terzi deve considerarsi abusivo quando “le immagini riprodotte dall’influencer non possano trovare altro significato – in capo ai fruitori dei social media – che quello commerciale e pubblicitario”.

Normativa a tutela del consumatore

La tutela dei consumatori è principio cardine dell’ordinamento comunitario e interno e tra gli istituti di centrale importanza vi è proprio la tutela dalle pratiche ingannevoli. Nessuna esenzione vige, infatti, per le condotte attuate sui social network.

Il Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005) riconosce al consumatore – ossia la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta – garanzia di chiarezza e trasparenza circa il contenuto pubblicitario delle comunicazioni.

In particolare, la ratio della normativa è proprio finalizzata a rendere i consumatori consapevoli, inter alia, della natura del contenuto con cui si interfacciano, e quindi, anche qualora il contenuto celi un messaggio pubblicitario.

Quando un influencer occulta la veste promozionale di un proprio post, volendo conferire a questo una natura informativa o comunque neutrale, idonea a ridurre la soglia di attenzione del consumatore, attua una pratica commerciale scorretta. Detto comportamento è idoneo a configurare una violazione degli articoli 22 e 23 del Codice del Consumo.

Quando può parlarsi di pratica commerciale scorretta?

Quando può parlarsi di pratica commerciale scorretta? Ad esempio, quando (i) l’influencer omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale o ancora, quando (ii) il comportamento dell’influencer induce o è idoneo ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

La violazione delle disposizioni di cui agli articoli 22 e 23 del Codice del Consumo, ove accertata, potrebbe essere oggetto di ingenti sanzioni amministrative pecuniarie.

I paletti dell’Antitrust

In mancanza di una normativa specifica che regoli le attività degli influencer è ripetutamente intervenuta l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato [“AGCM”] quale organo al quale è attribuita competenza generale in materia di tutela del consumatore. L’AGCM da tempo segnala la necessità – nel caso in cui sussista un rapporto di committenza tra il personaggio noto e il marchio evidenziato – di rendere i consumatori consapevoli di trovarsi in presenza di un vero e proprio messaggio pubblicitario, e non di fronte ad una condivisione autonoma e indifferente di un momento di vita del personaggio.

Il caso Alberta Ferretti – Alitalia

Il caso Alberta Ferretti – Alitalia è l’esempio di come, anche per l’AGCM, sia necessario specificare la sussistenza di una eventuale sponsorizzazione all’interno dei contenuti dell’influencer con l’ausilio degli hashtag. Con il provvedimento del 22 maggio 2019, che ha definito la vertenza, l’AGCM ha colto l’occasione per indicare alcune best practices da seguire per proteggere i consumatori dal marketing occulto.

Nel caso Aeffe – Alitalia veniva contestata, nello specifico, la condotta di alcuni influencer, i quali pubblicavano su Instagram diversi post (foto/video) sui quali appariva inquadrato il marchio Alitalia – in posizione centrale e sproporzionato rispetto al contesto – su capi di abbigliamento realizzati e firmati da Alberta Ferretti. Tali indumenti venivano indossati dagli influencer stessi, senza alcun richiamo o indicazione alla natura commerciale dei contenuti postati.

All’interno del provvedimento menzionato (n. 27787), l’AGCM precisa come il marketing occulto sia “particolarmente insidioso poiché idoneo a privare i destinatari delle naturali difese attivate in presenza di un dichiarato intento pubblicitario” (così il provvedimento), confermando la necessità di comunicazioni più trasparenti e chiare per l’utente.

In particolare, le società committenti devono impegnarsi ad adottare specifiche Linee Guida volte a chiarire e fissare le regole di comportamento cui gli influencer devono uniformarsi, le quali andranno a costituire parte integrante di ogni accordo di collaborazione commerciale stipulato con i singoli influencer.

Le regole dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria

Anche l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria [“IAP”] osserva da tempo il fenomeno dell’influencer marketing, dettando specifiche regole da rispettare il cosiddetto Codice di Autodisciplina Pubblicitaria applicabile a tutti i media e alle società che vi hanno aderito.

Allo IAP devono essere riconosciuti:

(i) il suggerimento di una prima definizione di influencer, ossia “soggetti che hanno la capacità di influenzare i consumatori nella scelta di un prodotto o nel giudizio su un brand. Si tratta di soggetti che hanno acquisito particolare prestigio e autorevolezza per l’esperienza e la conoscenza maturata in un certo ambito o settore, come ad esempio noti blogger che hanno online un largo seguito di pubblico”.

(ii) l’emanazione della Digital Chart, oggi integrata all’interno del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale che, fornisce utili indicazioni per il rispetto della normativa pubblicitaria attraverso le nuove forme di comunicazione commerciale (e.g. endorsement tramite celebrity, influencer, blogger). In particolare, la Digital Chart, sebbene non vincolante, costituisce un punto di riferimento cruciale che raccoglie le indicazioni del Codice di Autodisciplina e attribuisce alle stesse un contenuto più “pragmatico”, affinché quest’ultimo venga rispettato anche nella comunicazione online.

Le modalità con cui lo IAP prevede che l’influencer comunichi con il consumatore la finalità promozionale del contenuto sono le medesime che si rinvengono nella prassi decisionale dell’AGCM. Infatti, le linee guida della Digital Chart richiedono espressamente all’influencer l’utilizzo di determinati hashtag quali #adv, #ad, #adverstising, #sponsored o equivalenti, nella parte iniziale del post per chiarire fin da subito il rapporto commerciale esistente tra l’influencer ed il brand che sta promuovendo. Ove l’azienda decida di inviare i suoi prodotti alla celebrity/influencer, e qualora quest’ultimo decidesse di inserire tali prodotti all’interno di un post o un video, non solo l’azienda dovrà essere menzionata bensì si richiede l’inserimento di un disclaimer quale, ad esempio “prodotto inviato da/gifted by/supplied by” o, nel caso di fornitura del bene a titolo gratuito, #prodottofornitoda, #suppliedy seguito dal nome del brand.

Suggerimenti pratici per post conformi

Pertanto, per pubblicare un post senza rischi ed a prova di normativa, l’influencer dovrà necessariamente:

  • inserire sempre l’hashtag #ad, #adv o un hashtag analogo se il tuo contenuto pubblicato è un contenuto promozionale;
  • inserire l’hashtag #giftedby o #suppliedby se il prodotto o il servizio è stato regalato o offerto;
  • taggare i prodotti inserendo il corrispondente profilo (dal quale sarà possibile collegarsi al sito web ufficiale), così da offrire agli utenti un’esperienza di acquisto coerente e affidabile.

Infine, si consiglia di esaminare sempre le condizioni contrattuali presenti sulla piattaforma social utilizzate, in quanto ogni social network ha le proprie regole, anche con riferimento alle modalità attraverso cui promuovere prodotti e servizi.

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