l’intervento

Influencer marketing, Pastorella (Azione): “le regole ci sono, ora riconoscimento della professione”



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La discussione sull’impatto economico e normativo degli influencer e dei content creator in Italia evidenzia un settore in forte crescita, con un giro d’affari significativo. Eventi recenti e dati dell’ONIM rivelano la necessità di un quadro normativo chiaro e di un riconoscimento professionale, nonostante le divergenze politiche e le sfide regolamentari esistenti

Pubblicato il 14 feb 2024

Giulia Pastorella

Deputata della Repubblica italiana, vicepresidente di Azione e Consigliera comunale a Milano



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L’Influencer Marketing si sta affermando sempre più come un settore economico chiave, capace di generare non solo valore per le aziende, ma anche nuove opportunità lavorative e professioni emergenti.

Questa realtà, tuttavia, non è priva di sfide e complessità che richiedono una regolamentazione accurata e un costante monitoraggio. Questa nuova economia creativa è difatti anche sotto l’occhio critico della politica, che deve bilanciare la necessità di garantire un contesto sicuro e trasparente con quella di favorire la libera espressione e l’autonomia dei creatori di contenuti.

Un delicato equilibrio da trovare, che pone al centro del dibattito il riconoscimento giuslavoristico degli influencer. Un futuro all’insegna dell’ascolto e del dialogo tra tutte le parti coinvolte sembra essere la strada più promettente verso una regolamentazione efficace dell’Influencer Marketing.

Influencer Marketing: i risultati del Brand & Marketer Report 2023

“Il vero modello da seguire non sono gli influencer che fanno soldi a palate indossando degli abiti o mostrando delle borse, facendo da eco al design” ha urlato qualche mese fa la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni dal palco di Atreju. Ma siamo veramente sicuri che fare l’influencer (o il Content Creator) sia soltanto fare opportunistico free riding che non dà alcun valore all’economia?

Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing (ONIM) l’influencer marketing produce un giro di affari di 348 milioni di euro mentre l’intero comparto, quello della creator economy muove oltre 1 miliardo di euro concentrato nei settori Fashion & Beauty, Gaming e Travel & Lifestyle, (Brand & Marketer Report 2023). Insomma non spiccioli.

Questo valore però non contraddice la premessa iniziale: gli influencer danno valore all’economia? Per rispondere a questa domanda ci viene nuovamente incontro il già citato Brand & Marketer Report 2023, secondo cui soltanto il 7,6% delle società (brand, centri media o agenzie) che ha avviato progetti di influencer marketing si è detto insoddisfatto dei risultati raggiunti e oltre la metà prevede investimenti in aumento su questo tipo di iniziative.

Ma allora, di questi influencer ha senso iniziare a parlarne seriamente.

La Creator Economy sotto la lente della politica

Queste premesse hanno reso urgente un approccio strutturato al tema della creation economy. Il rischio, infatti, è sempre quello di ritrovarsi schiacciati dai fatti di cronaca, come l’affaire Ferragni-Balocco o il suicidio della ristoratrice avvenuto nel lodigiano, che inevitabilmente schiacciano la discussione soltanto su alcune dimensioni, come quella della beneficenza, dell’anonimato o del linguaggio d’odio in rete.

A questo è servito l’evento “Professione Creator: un quadro normativo e socio-economico per l’Italia”, iniziativa che ho avuto il piacere di promuovere insieme ad AssoInfluencer, la prima associazione di categoria del settore.

Forse il tempismo legato ai fatti di cronaca ha favorito un’ottima risposta all’evento, che ha visto confrontarsi in un primo panel parlamentare deputati da tutti gli schieramenti politici. Maggioranza (rappresentata da Mollicone, Centemero e Cattaneo) e opposizione (con Gribaudo, Barzotti e la sottoscritta) pur con accenti diversi hanno concordato sull’importanza del settore, sui rischi delle zone grigie normative e sulla necessità di non ripartire da zero ovvero di verificare quali siano le leggi già applicabili a questa nuova professione senza necessariamente avviare nuovi lunghi e complessi iter legislativi ad hoc.

Le regole ci sono già, bisogna farle valere

Perché le regole, in effetti, già esistono. Dalla Digital Chart dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria del 2016 fino alle più recenti linee guida Agcom di cui ha parlato il Commissario Massimo Capitanio, definendole “una forma di tutela e di riconoscimento di queste nuove professionalità” che si rifanno al Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi; ai Creator da Agcom viene chiesta “una sempre maggiore responsabilità dei contenuti che pubblicano e, al tempo stesso, trasparenza quando si tratta di pubblicità e sponsorizzazioni”. Auspicio, questo, condiviso anche dal Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori Massimiliano Dona, che nel suo intervento si è inoltre espresso piuttosto negativamente sul cosiddetto Ddl Beneficenza recentemente emanato dal Governo; a detta sua, infatti, la norma varata in seguito al caso Ferragni risulta essere piuttosto inutile in quanto insiste su fattispecie già previste dal Codice di Consumo e da altri principi generali presenti nell’ordinamento giuridico italiano.

Su posizioni diverse e più in sintonia con l’Esecutivo si è – comprensibilmente – attestato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnologica Alessio Butti, che ha sostenuto la necessità di una legge ad hoc per regolare il comportamento degli influencer e promuovere un ambiente più sicuro per minori e consumatori.

Personalmente, non condivido. E, come ho già avuto modo di sostenere durante il dibattito tra i parlamentari, che la strada giusta sia far valere le norme esistenti, riempiendo eventuali vuoti cercando di evitare di produrre doppioni (per non dire pasticci) legislativi sulla scia di fatti di cronaca. Il Parlamento francese, per esempio, ha appena dato vita a una normativa che – a mio avviso – va nella giusta direzione.

Ma vediamo ora cosa dicono gli operatori del settore?

Il punto di vista delle piattaforme e dei creatori di contenuti

Dato il desiderio di noi organizzatori del convegno di mettere al tavolo politica e addetti ai lavori, tra i relatori della mattinata sono intervenuti anche Meta e Google, due delle piattaforme più importanti per chi fa creazione di contenuti, (Meta e Google) senza le quali questa professione non potrebbe banalmente esistere, e tre Content Creator: Rick DuFer, Azzykky e Pow3r. Un panel variegato, formato da un filosofo, un divulgatore di contenuti storici, e un gamer, scelto proprio per dimostrare quanto questo mondo sia vario e non riconducibile soltanto a lifestyle, moda e viaggi, come spesso ci si sentiamo raccontare.

La necessità di un riconoscimento giuslavoristico

Tutti loro hanno sollevato la comune necessità di ottenere maggior riconoscimento sia istituzionale che giuslavoristico. In particolare, a oggi non esiste tra i Codici Ateco delle categorie professionali niente che vada bene per il loro lavoro e, di fatto, per l’Agenzia delle Entrate e lo Stato italiano, quello dell’influencer è un lavoro che non esiste. Eppure, è paradossale se torniamo alle premesse iniziali e – soprattutto – lo è ancora di più perché sono ben due anni che esistono gli strumenti per risolvere questo vulnus.

Come ha ricordato l’On. Valentina Barzotti nel suo intervento, “l’articolo 27 della legge 118 del 22 agosto 2022 già prevede una delega che permette al governo di intervenire sul tema” ma il tempo si sta esaurendo e questa scadrà tra circa sei mesi.

A ogni modo la sfida è stata raccolta in chiusura dal Sottosegretario del MIMIT Bitonci, che si è impegnato ad adottare le misure necessarie a permettere al settore, web e social media, di operare in modo maggiormente definito, consapevole e professionale, assicurando – in altri termini – che il Ministero arriverà presto all’individuazione di un Ateco specifico.

La necessità di regole chiare e ascolto

Quello dei creator e degli influencer è un settore professionale che ha bisogno di ascolto e dell’attenzione delle istituzioni per poter crescere e funzionare correttamente. La cosa positiva è che, stando a quanto è emerso, tutti gli attori della filiera e anche le parti politiche interpellate sembrano essere dello stesso avviso e l’approccio costruttivo dimostrato dai partecipanti lascia ben sperare. Per quanto mi riguarda auspico che l’incontro sia l’inizio di un percorso serio e di dialogo tra noi parlamentari e gli stakeholder, capace di sopperire all’atteggiamento impulsivo di un governo che si fa dettare l’agenda dall’ultima notizia sensazionale del giorno portata alla ribalta dai media.

Conclusioni

Il settore non ha bisogno di interventi sconnessi formulati sull’onda dell’emotività, ma di un approccio strutturato. Gli influencer, oltre che creatori di contenuti di valore spesso molto vicini all’utente finale e alle generazioni più giovani, sono attori fondamentali per come si commercia e comunica oggigiorno.  Come ci hanno ricordato loro stessi, sono nelle nostre case e letteralmente nelle nostre mani, ovunque andiamo. Il loro valore, anche per molte aziende italiane di dimensioni contenute, è chiaro a chiunque prenda in esame i dati di mercato e abbia minimamente idea di come funzionano il marketing e la comunicazione. Sminuirli e disprezzarli, non cambierà di certo le cose in meglio.

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