Sebbene oggi l’influencer marketing non abbia una disciplina giuridica specifica, è pacifica l’applicazione di alcuni principi generali sia in materia di pubblicità ingannevole che in materia di marchi. Inoltre, vi sono importanti prescrizioni in ambito autodisciplinare allo scopo di tutelare la capacità di autodeterminazione del consumatore e di consentirne la libera formazione della volontà nel contesto delle comunicazioni commerciali.
Se, infatti, anni fa, quando cominciavamo ad occuparci di business digitale si diceva che il web rappresentava “the zero moment of truth” – il luogo in cui verificare la bontà di un prodotto e saggiare la veridicità di un’informazione, anche attraverso le opinioni degli utenti – oggi tra fake news, false recensioni ed influencer marketing l’utente di fatto si muove in una selva oscura in cui la sua fiducia è un valore oggetto di costante minaccia e mercificazione.
Per questo, anche l’Agcm ha cambiato approccio, passando dalla moral suasion all’apertura di indagini per pubblicità occulta.
Super-diffusori di fake news, la stretta sui social. Ma come affrontare la questione?
La disciplina pubblicitaria
Gli artt. 22 e 23 del Codice del Consumo disciplinano rispettivamente l’omissione dell’indicazione della natura commerciale della comunicazione e l’utilizzo di contenuti redazionali che non consentano al consumatore di identificare la stessa, insomma la cosiddetta “pubblicità occulta”.
Nel contesto autodisciplinare, l’art. 7 del codice di autodisciplina dello IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria) dispone un obbligo di riconoscibilità della comunicazione commerciale tramite l’utilizzo di “idonei accorgimenti” atti a distinguerla.
Tali idonei accorgimenti sono specificati nella “Digital Chart” pubblicata dallo IAP nel 2016, poi riconosciuta anche dall’AGCM nell’ambito dell’accordo quadro che essa ha stipulato nel 2018 con lo IAP, che distingue in particolare due casi.
Qualora vi sia un effettivo rapporto giuridico patrimoniale tra titolare del brand e influencer, quest’ultimo deve aggiungere nei propri commenti/post una delle seguenti diciture: “Pubblicità/Advertising”, “Promosso da brand/Promoted by brand”,“Sponsorizzato da brand/Sponsored by brand”, “In collaborazione con brand/In partnership with brand” o uno dei seguenti hashtag entro i primi tre hashtag del post: “#Pubblicità/#Advertising, #Sponsorizzatodabrand/#Sponsoredbybrand, “#ad unitamente a #brand”.
Nella diversa ipotesi in cui il rapporto tra influencer e brand si limiti a un occasionale invio a titolo gratuito di prodotti di modico valore da parte del brand all’influencer, così che questi li possa menzionare nei suoi post, sarà solamente necessaria l’apposizione di un disclaimer ben leggibile come “prodotto inviato da … (brand)”.
Soggetti e provvedimenti
Post e commenti degli influencer sono spesso sotto i riflettori del comitato di controllo dello IAP, che agisce d’ufficio o su segnalazione dei consumatori: le decisioni riguardano sostanzialmente sempre l’identificabilità della natura commerciale della comunicazione effettuata dall’influencer.
In caso di mancata identificabilità e di conseguente violazione del predetto art. 7 del codice di autodisciplina, il comitato commina delle ingiunzioni di desistenza nei confronti del produttore/distributore del prodotto o del servizio oggetto dell’endorsement eventualmente impugnabili avanti il Giurì della pubblicità – altro organo dello IAP, che può essere adito dalle imprese in sede di opposizione alle ingiunzioni di desistenza o direttamente dal comitato.
È interessante l’evoluzione delle decisioni adottate nell’ambito in esame dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM): se in passato si limitava ad emettere pronunce di moral suasion, il cui fine era esortare imprese e influencer ad adottare accorgimenti analoghi a quelli della Digital Chart, più di recente l’Autorità ha cambiato rotta e aperto indagini per pubblicità occulta.
I casi Alitalia e Barilla
Due casi in particolare sono saliti alla ribalta delle cronache nazionali, entrambi conclusi con l’approvazione da parte dell’AGCM degli impegni proposti dagli interessati e senza l’accertamento di violazioni .
Il primo (Provvedimento 27787/19) ha riguardato l’endorsement di Alitalia da parte di diverse celebrità del mondo dello spettacolo (Alessia Marcuzzi, Cristina Chiabotto eccetera) che, sui loro profili social, hanno pubblicato fotografie e video di sé mentre indossavano indumenti con il marchio di Alitalia in bella vista.
Il secondo (Provvedimento 28167/2020) è stato particolarmente interessante in quanto è stato il primo a riguardare i microinfluencer, ossia soggetti che vantano un numero limitato di followers (dai 1.000 ai 20.000 circa) ma riescono ad ispirare maggior fiducia e generare maggior coinvolgimento nella loro community in virtù della loro focalizzazione su uno specifico ambito tematico.
Nello specifico, Barilla ha assoldato numerosi microinfluencer specializzati nel contesto culinario affinché pubblicassero post e ricette relativi alla preparazione di dolci a base della nuova crema della sua linea Pan di Stelle.
Le best practice di AGCM e le linee guida aziendali
Vi è un aspetto interessante in queste decisioni dell’AGCM: esse forniscono vere e proprie linee guida per chi voglia avvalersi di questi strumenti di marketing. All’esito del procedimento citato l’AGCM ha ribadito una serie di best practice per le società committenti e per gli influencer.
E segnatamente, per le società committenti, l’emanazione da parte di figure apicali di linee guida aziendali per l’influencer marketing; la regolamentazione precisa dei rapporti contrattuali con i professionisti; la previsione di meccanismi di deterrenza e sanzionatori a carico di questi ultimi in caso di violazione delle direttive ricevute; la responsabilizzazione delle agenzie rispetto all’attività di vigilanza sull’operato degli influencer.
Per gli influencer, l’impegno a comunicare in modo trasparente la finalità promozionale della comunicazione con l’implementazione degli opportuni disclaimer, a seconda che il rapporto con la committente sia regolato da un contratto a titolo oneroso o sia occasionale e gratuito.
In tempi di pandemia, il provvedimento dell’AGCM n. 28360/2020, emesso a conclusione di un’indagine aperta per possibile pratica commerciale scorretta consistente nella pubblicazione da parte di un’influencer di post promozionali relativi a integratori, prodotti detergenti e cosmetici di cui si vantavano capacità antivirali e di contrasto al COVID-19, si è concluso con l’accettazione da parte dell’ACGM dei seguenti impegni proposti dall’influencer:
- eliminazione di qualsiasi riferimento al Covid-19 e di qualsiasi altro riferimento alla pandemia in corso;
- eliminazione di qualsiasi riferimento a proprietà protettive o curative proprie dei presidi medico-chirurgici;
- controllo preventivo sulla veridicità delle informazioni fornite dalle aziende produttrici circa le caratteristiche e le qualità dei prodotti;
- pubblicazione di contenuti digitali per la sensibilizzazione del pubblico circa i rischi associati all’acquisto online di prodotti cosmetici;
- devoluzione di una percentuale dei ricavi ottenuti tramite il sito collegato a fini di solidarietà sociale;
- rimborso ai consumatori delle spese sostenute per l’acquisto di prodotti presunti antivirali.
Il caso BAT Italia
Ultimo caso in ordine di tempo – il comunicato stampa della notizia è del 31 maggio 2021: l’AGCM ha aperto l’indagine PS12009 nei confronti di BAT Italia s.p.a. e di tre noti influencer (Stefano De Martino, Cecilia Rodriguez e Stefano Sala).
La peculiarità di quest’ultimo caso consiste nel fatto che i tre influencer in questione hanno esortato i propri follower a postare contenuti corredati da tag e hashtag relativi alla promozione di Glo Hyper, dispositivo “heat not burn” di nuova generazione per il consumo di tabacco, al fine di accrescerne esponenzialmente la visibilità e rendere virale la campagna pubblicitaria.
In questo senso l’indagine si focalizza sull’identificabilità della finalità commerciale non tanto delle pubblicazioni a monte, atteso che il rapporto commerciale tra la società e gli influencer appare potersi evincere nei post degli influencer, quanto più dei post a valle dei loro followers, che -consapevolmente o inconsapevolmente – non riportano gli hashtag e i disclaimer sopra menzionati e non consentono pertanto di riconoscere la natura commerciale della campagna.
La rete e il sovvertimento della gerarchia delle fonti
Citando “The Game” di Baricco accade che la rete abbia – soprattutto prima che il Covid ricordasse a tutti l’importanza del sapere scientifico – sovvertito la gerarchia delle fonti, contrapponendo alle autorità, ai vecchi sacerdoti ed esperti, insomma alle élites del secolo passato, nuovi riferimenti e nuove fonti, sulla base del numero di visualizzazioni e di like tributati sui social network. La disintermediazione tipica del web e della rivoluzione digitale si riflette anche in questo: grazie alle piattaforme social da molti anni si è imposto il fenomeno degli influencer, nuovi esperti di lifestyle, creatori di tendenze, comunicatori su larga scala, in grado esprimere opinioni e dare consigli su ogni aspetto della vita quotidiana, coinvolgendo in maniera fresca e diretta gli utenti nella stessa. E ben presto si è scoperto che questi soggetti erano un formidabile sistema per determinare le scelte d’acquisto dei consumatori che guardano a questi soggetti come ad una guida. Da qui la necessità di rendere trasparente un eventuale rapporto di committenza con le aziende a cui sono riferibili i prodotti oggetto di un post.
Influencer e diritti IP
L’eventuale natura occulta o ingannevole della comunicazione commerciale degli influencer non esaurisce i profili giuridici che rilevano nell’attività degli influencer: in questo senso la condotta più diffusa consiste nell’agganciamento a un marchio celebre, nel tentativo di far riscuotere maggior successo alla propria campagna pubblicitaria.
Una recente pronuncia del Tribunale di Genova ha avuto come oggetto la condotta dell’influencer tedesco Philipp Plein, che in un post su Instagram ha esposto le calzature oggetto della promozione sul cofano di una Ferrari, accanto al marchio ben visibile della celebre casa automobilistica italiana.
Dopo che l’influencer ha ridicolizzato pubblicamente le lettere di diffida con le quali Ferrari gli ha contestato il tarnishing del proprio marchio e intimato di cessare ogni utilizzo dello stesso, con l’ordinanza n. 15949 del 4 febbraio 2020 il Tribunale, ritenendo che “l’immagine citata semplicemente mette in mostra le calzature marchiate (…) esposizione che non può spiegarsi se non con la finalità di promuovere la vendita delle calzature create dal (…) (titolare del profilo Instagram) mediante l’associazione con l’autovettura di lusso ivi riprodotta”, ha condannato l’influencer in questione alla rimozione di tutti i post relativi alla vicenda ed inibito al medesimo qualsiasi utilizzo del marchio in questione, comminando una penale di 20.000 euro per ogni futura violazione.
L’agganciamento da parte degli influencer a marchi celebri è inoltre menzionato anche dal recentissimo “Social Media Discussion Paper” pubblicato dall’EUIPO a luglio, nella diversa prospettiva della promozione di prodotti contraffatti.
In questo senso, l’EUIPO ha sottolineato che, in alcuni casi, determinati influencer hanno attivamente incoraggiato i loro follower ad acquistare copie economiche di prodotti di lusso, accompagnando le loro recensioni con determinati hashtag per incrementare le visualizzazioni dei loro post.
Questo trend, sempre secondo l’EUIPO, ha determinato una sottostima degli effetti negativi della contraffazione e ha offerto un’immagine distorta dei prodotti contraffatti come innocui alla moda. Nel tentativo di contrastare questo fenomeno, nel novembre 2020 Amazon ha promosso un’azione giudiziaria negli USA nei confronti di due influencer, asserendo che queste ultime si sarebbero accordate con una dozzina di rivenditori terzi per pubblicizzare, promuovere e facilitare la vendita di prodotti di lusso contraffatti su Amazon.