L’interoperabilità è un principio basilare dell’architettura di Internet: permette ai servizi di comunicare attraverso protocolli e interfacce standard, per consentire sia alle organizzazioni che ai singoli utenti di condividere contenuti e documenti in modo trasparente. Senza interoperabilità si limitano la capacità di scelta degli utenti e la libera concorrenza.
Interoperabilità dei sistemi tra promesse e realtà: lo stato dell’arte
Purtroppo, l’evoluzione del mercato e la poca attenzione dedicata dai politici alle tecnologie, e in particolar modo a quelle con un impatto sui contenuti, hanno fatto in modo che la maggior parte dei servizi sul desktop, e in particolare quelli legati alla produttività individuale, fossero appannaggio di pochi fornitori. Fornitori che in questo modo sono riusciti a crescere al punto da poter sviluppare strategie in grado di limitare la capacità di scelta da parte delle organizzazioni e degli utenti.
Queste aziende, e in modo particolare Google e Microsoft, sviluppano soluzioni proprietarie che proteggono la propria posizione quasi monopolistica sul mercato, garantendo un certo livello di interoperabilità con i propri prodotti ma limitandolo rispetto a quelli delle terze parti. Allo stesso tempo, usano in modo magistrale la comunicazione per fare credere all’opinione pubblica che i loro software siano i migliori per le esigenze del mercato (e quindi anche per le esigenze delle organizzazioni e dei singoli utenti).
Una situazione che ha diversi effetti funesti per il mercato, e in particolare per l’Europa, visto che entrambe le aziende – a cui si aggiunge Amazon per i servizi cloud – hanno sede negli Stati Uniti: queste aziende non contribuiscono all’evoluzione del settore hi-tech nel nostro continente, controllano l’evoluzione dell’innovazione in funzione delle proprie strategie commerciali (che non coincidono quasi mai con le esigenze del mercato) e limitano le opportunità di sviluppo delle aziende europee in quanto eliminano – di fatto – la possibilità di competere per la fornitura dei servizi sul desktop e nel cloud.
In realtà, il modello di interoperabilità del web, basato su un rispetto condiviso degli standard aperti – difesi dal W3C contro ogni tentativo di sabotaggio, come nel caso di Internet Explorer 6 – da cui deriva un’ampia disponibilità di software, dimostra che il principio di interoperabilità funziona, e che i servizi interoperabili sono altrettanto validi e sicuri rispetto a quelli chiusi, mentre creano un numero significativamente maggiore di attori di mercato e nicchie di prodotti e servizi per aziende di tutte le dimensioni.
Purtroppo, però, la comunicazione sviluppata ad arte dalle grandi aziende per sostenere la validità le soluzioni proprietarie è riuscita a creare dei falsi miti sul principio di interoperabilità, che riguardano la sicurezza, l’innovazione e le regole di moderazione dei contenuti.
I falsi miti sull’interoperabilità
In primo luogo, non c’è alcuna prova che i protocolli aperti e le piattaforme distribuite siano meno sicuri del software chiuso e dei servizi centralizzati. In realtà, è quasi sempre il contrario. L’apertura aiuta lo scrutinio collettivo e la pronta risoluzione dei problemi non appena essi vengono scoperti.
In secondo luogo, la standardizzazione dei protocolli e delle interfacce per l’interoperabilità non ostacola l’innovazione, al contrario, crea nuove opportunità in quanto permette a nuovi operatori di entrare in nuovi mercati, e rappresenta un incentivo per tutti gli operatori a innovare e fornire nuove funzionalità.
Infine, i molteplici approcci alla moderazione dei contenuti adottati dalle aziende attive nei diversi mercati europei offrono un maggior numero di opportunità per la conversazione pubblica e la diversità culturale, senza che questo riduca l’obbligo – da parte di tutti i fornitori di servizi – di rispettare tutte le regole esistenti e future sulla responsabilità e la rimozione dei contenuti.
Interoperabilità: come garantire un mercato più equo
Gli obiettivi del Parlamento Europeo e dei governi nazionali dei Paesi UE dovrebbero essere quelli di favorire l’apertura dei mercati e creare una situazione in cui tutti i vendor siano in grado di competere sulla base dei propri punti di forza e non su quella di posizioni determinate dalle quote di mercato. Per raggiungere questi obiettivi, l’interoperabilità diventa un principio architettonico indispensabile e deve essere garantita per tutte le piattaforme, per tutti i servizi di base e per tutti i documenti.
Quindi, sarebbe opportuno che gli utenti avessero la possibilità di scegliere i software per la produttività e per la comunicazione senza essere “indirizzati” in modo quasi subliminale da applicazioni e servizi predefiniti dal fornitore o della piattaforma – come nel caso degli smartphone Android o iOS – o del sistema operativo – come nel caso dei PC Windows e macOS.
Le aziende che sviluppano questi software e che li rendono la scelta predefinita sulle rispettive piattaforme – Apple, Google e Microsoft – affermano di farlo per semplificare il compito degli utenti, che in questo modo ottengono un ambiente di produttività fortemente integrato dove non devono preoccuparsi della tecnologia ma solo del proprio lavoro.
Queste aziende sanno benissimo che il 95% delle persone non cambiano mai le impostazioni di default né del PC né dello smartphone, sulla base di un fenomeno psicologico noto come “default bias”, per cui non mettono quasi mai in dubbio le scelte del produttore. Lo stesso avviene per l’attivazione delle versioni di prova dei software, comunque presenti – soprattutto sui PC – anche se non richieste, che spesso nascondono contratti con clausole di tacito rinnovo che portano l’utente all’interno di un “walled garden” da cui è sempre più difficile uscire.
Tra l’altro, le applicazioni preinstallate – che sono quasi sempre state sviluppate per l’utenza statunitense e non per quella europea – spesso non rispettano le norme europee sulla privacy perché sono strutturate in modo tale da esportare i dati verso server distribuiti in altri continenti senza che l’utente ne sia consapevole (tanto che alcune sentenze della Corte Europea le dichiarano incompatibili con il GDPR), oltre a uccidere la concorrenza e soffocare l’innovazione.
Se l’obiettivo del Parlamento Europeo – e quello dei governi dei singoli Stati – è quello di aumentare l’apertura del mercato, dando potere ai consumatori e creando le condizioni per cui essi possano fruire appieno dei propri diritti di cittadinanza – anche digitale – è indispensabile che le leggi siano scritte, e applicate, in modo da creare una situazione equa, in cui le aziende competono in base al valore offerto dalle proprie tecnologie e dai propri servizi, che gli utenti scelgono secondo le proprie esigenze, senza alcun condizionamento (occulto o palese).
Conclusioni
L’interoperabilità è fondamentale per il successo dei prodotti e dei mercati del futuro, così come lo è stata per il successo e la crescita di quelli del passato. Gli utenti hanno il diritto di conoscerla per comprendere appieno i suoi vantaggi, senza che questo avvenga attraverso l’intermediazione di aziende che hanno degli evidenti obiettivi commerciali legati alla limitazione dell’interoperabilità stessa, come – per esempio – nel caso dei documenti pseudo-standard di Microsoft Office costruiti per legare gli utenti all’utilizzo della suite Microsoft.
Per questo motivo, ci aspettiamo un comportamento responsabile da parte dei politici, e una serie di decisioni che permettano di ristabilire quell’equilibrio sul mercato che permetta agli utenti – i cittadini europei che pagano i loro stipendi – di godere dei loro diritti, compresa la libertà di scelta delle tecnologie.