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Materiali bio-based per lo spazio e la terra: le potenzialità di kombucha e nanocellulosa batterica



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Le ricerche su Kombucha e Nanocellulosa Batterica (BNC) aprono nuove prospettive per materiali bio-based, adatti all’uso spaziale e terrestre. Questi processi generativi, sostenibili e a basso impatto energetico promettono applicazioni in alimentazione, tessile, cosmetica e medicina, promuovendo una nuova era di bioeconomia e manifattura sostenibile

Pubblicato il 15 lug 2024

Massimo Bracale

Organizzatore Innovation Village

Annamaria Capodanno

Organizzatore Innovation Village



kombucha

Recenti ricerche e sperimentazioni stanno aprendo a nuove frontiere di applicazioni dei materiali bio-based, che si sviluppano da processi batterici e naturali, emulando ciò che da sempre avviene in natura, senza utilizzo sostanziale di materie prime.

Un nuovo e interessante ambito si sta aprendo a partire da alcune ricerche ESA e ASI, sul Kombucha e la Nanocellulosa Batterica (BNC); due prodotti diversi, ma che in realtà fanno parte dello stesso processo: il tè fermentato – Kombucha – rappresenta il “lievito” di base che – addizionato a zuccheri e altri componenti naturali – spinge i batteri alla creazione di un biofilm di nanocellulosa.

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Il ruolo del kombucha e della nanocellulosa batterica nelle missioni spaziali

Non a caso, l’ESA – in riferimento alla nanocellulosa batterica – parla diffusamente di biofilm prodotto dal Kombucha. L’interesse oltre che per le caratteristiche proprie dei materiali, è dato dal processo, che è di tipo generativo, non richiede materie prime (anche gli zuccheri possono essere ricavati da scarti di frutta e vegetali) non produce rifiuti ed emissioni.

Queste caratteristiche intersecano pienamente le esigenze della “vita nello spazio”, ipotizzando lunghe permanenze in stazioni spaziali o viaggi spaziali di lunga durata, senza volersi spingere in futuribili colonizzazioni.

Sostenibilità e riciclabilità: il futuro dei materiali nello Spazio

Certamente un punto critico è l’approvvigionamento di materie prime e alimentari, che – per quanto possibile – debbono essere prodotte nello spazio, per poi essere riciclate in nuovi prodotti; i processi “produttivi” di tipo generativo, a base biologica, tendenzialmente soddisfano tale requisito: crescono e non sono prodotti da materie prime, sono biologici e riciclabili, richiedono bassa energia. L’interesse sul Kombucha scaturisce quindi dalla perfetta rispondenza a questi requisiti, ma anche delle caratteristiche dei prodotti ottenibili dal processo: alimentari (probiotici) il Kombucha, utilizzabili per la protezione e la pulizia del corpo, il biofilm di nanocellulosa.

Un nuovo approccio alla circolarità

Siamo quindi di fronte ad un approccio nuovo alla circolarità, che esce fuori anche dal semplice concetto del riciclo, sperimentata in un ambiente ostile, quello dello spazio, in cui la circolarità è un vincolo obbligato.

Riportati sulla terra, si tratta di processi a bassissimo impatto anche in termini energetici, di consumo idrico e altro. Proprio per questi motivi molti ritengono che, nei prossimi anni, questi processi andranno a rappresentare una delle strade maestre della sostenibilità.

Al di là del processo e delle sue caratteristiche, la ricerca – di cui si è discusso recentemente a maggio a Innovation Village nel corso dell’ormai tradizionale appuntamento della Bio-based Alliance, alleanza che accorpa ricercatori docenti e imprenditori, sono le caratteristiche peculiari dei prodotti ad interessare la ricerca.

Le caratteristic he peculiari del kombucha

Il kombucha, tè fermentato tradizionale in alcune aree cinesi, è una bevanda probiotica; da diversi anni vengono promossi alimenti probiotici come componenti utili all’interno di una corretta ed equilibrata alimentazione. “Probiotico” fa riferimento ad un alimento formato principalmente da batteri e lieviti simili ai microorganismi presenti all’interno del nostro organismo in grado di riequilibrare e favorire i processi metabolici. Il tema di una corretta alimentazione non riguarda solo noi sulla Terra ma è fortemente investigato per quanto riguarda gli astronauti che vivono in condizioni estreme per un certo periodo di tempo.

Le prime missioni spaziali hanno rivelato un problema sorprendente: la digestione in condizioni di microgravità è molto diversa da quella sulla Terra. Gli astronauti si sono scontrati con la fastidiosa produzione di gas nello stomaco e la NASA, negli anni ’60, ha intrapreso uno sforzo straordinario per sviluppare una dieta ipocalorica speciale che potesse garantire la salute degli astronauti nello spazio. Fin dai tempi dei Samurai erano conosciute le proprietà benefiche del Kombucha, una bevanda ottenuta dalla fermentazione del tè nero.  (Ziemlewska, A et al 2023; Candra A. et al, 2023).

La capacità del kombucha di produrre ossigeno

Recentemente il Kombucha è di grande interesse per le agenzie spaziali sia come bevanda nutriente dalle proprietà alimentari, sia per la capacità dei microorganismi presenti all’interno della miscela in grado di produrre ossigeno. Questa capacità darebbe la possibilità agli astronauti di utilizzare un’altra fonte di ossigeno durante le loro missioni.

Rispetto alla seconda parte del processo, la produzione di BNC, uno studio dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) ha dimostrato che i microrganismi presenti nel kombucha sono resistenti all’ambiente spaziale, poiché si proteggono dai raggi cosmici creando un biofilm di nanocellulosa e, molto probabilmente, sopravvivrebbero a un lungo viaggio non protetto nello spazio.

In molti esseri viventi, i tessuti si rigenerano, come la pelle umana o i biofilm batterici, moltiplicandosi costantemente attraverso un processo di divisione cellulare. Il modo in cui queste cellule smettono di dividersi finché non hanno riparato il danno al DNA è ancora un mistero, ma i ricercatori sospettano che un gene specifico, il gene sulA, possa avere un ruolo in questo processo. Il gene sulA agisce come un segnale stradale per le cellule. Impedisce alle cellule di dividersi finché non hanno riparato il DNA, come un semaforo rosso impedisce alle auto di muoversi. È una parte cruciale del sistema di sicurezza di una cellula, che assicura che qualsiasi danno sia riparato prima che le cellule continuino a moltiplicarsi.

Le sperimentazioni condotte sulla Terra e l’impatto nelle missioni spaziali

Le sperimentazioni condotte sulla Terra hanno permesso di dimostrare che i batteri ed i lieviti presenti nel kombucha sono particolarmente resistenti a diverse condizioni ambientali; infatti, quando vengono sottoposti a condizioni difficili per la loro sopravvivenza, sono in grado di proteggersi creando un biofilm protettivo. Per questo, gli scienziati hanno deciso di verificare la resistenza di questi batteri all’ambiente spaziale. Li hanno spediti sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) dove, grazie alla piattaforma Expose, da anni gli astronauti conducono esperimenti sulla sopravvivenza di microbi e batteri in ambiente spaziale non protetto. I batteri del kombucha sono stati esposti alle radiazioni cosmiche dello spazio, senza protezione, per circa 18 mesi e il risultato di questo esperimento è stato piuttosto interessante. Gli scienziati hanno osservato come gli organismi ripristinano il loro DNA e la divisione cellulare anche dopo essere stati danneggiati dalle radiazioni cosmiche!

Il kombucha sulla luna

Quindi, sebbene gli astronauti non abbiano mai portato il kombucha sulla luna, nelle successive missioni del programma Artemis ci sarà sicuramente la possibilità di valutare questa sostanza in condizioni così estreme. “Spero che in futuro i nostri campioni [di kombucha] verranno attaccati alla stazione Lunar Gateway”, ha detto Nicole Caplin, “o eventualmente utilizzati sulla superficie della Luna e oltre”.

Possibili applicazioni terrestri dei materiali bio-based

Altro utilizzo di interesse, dimostrato in alcune ricerche fatte dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli in collaborazione con il laboratorio BIOlogic, apre ad altri campi di applicazione nello spazio in particolare per la cura della pelle, elemento importante nella vita nello spazio, proprio per le radiazioni cui è sottoposta la pelle umane nell’ambiente.

Siamo quindi in un settore interessante, sia per il contributo che i nuovi processi possono dare all’esplorazione spaziale, sia per l’utilizzo sulla terra, in termini di processo iper-sostenibile e di prodotti.

Le molteplici applicazioni della nanocellulosa batterica

Va al proposito richiamato proprio il materiale, la nanocellulosa batterica, che include un piccolo mondo di applicazioni:

  • Nel food, in cui oltre la bevanda probiotica Kombucha, la stessa nanocellulosa può essere utilizzata come substrato di altri prodotti alimentari, in particolare per le diete, dato che si tratta di una materia edibile ma che non viene assorbita dall’organismo;
  • Nel settore tessile, come possibile sostituto alla pelle animale;
  • Nella cosmetica, in particolare su maschere e patch cosmetici;
  • In medicina, dato che si tratta di un materiale anallergico e inerte che rappresenta un ottimo substrato per colture cellulari, utilizzabile anche per scaffold biomimetici;
  • In prodotti medicali, come ad esempio cerotti e bende per ustioni, data la capacità igrometrica del materiale;
  • In futuro anche per la produzione di pelle in laboratorio; alcune sperimentazioni sembrerebbero dimostrare che il materiale si adatta perfettamente allo sviluppo di pelle in laboratorio, a partire da cellule animali.

Innovazioni dalla biologia sintetica e biofucine

Qui, ma anche su altre linee e sperimentazioni, si apre il grande tema di come lo sviluppo delle tecnologie digitali e informatiche possano contribuire a questa nuova filosofia di produzione e non si possono non vedere gli sviluppi che sta avendo un nuovissimo settore disciplinare, la biologia sintetica: varie Università stanno aprendo a corsi specifici sul tema; tra queste l’Università Federico II di Napoli, che ha avviato da un paio di anni, un gruppo di lavoro e un nuovo dottorato sulla tematica. Ma di che si tratta?

La biologia sintetica – tecnologia fondante delle Biofucine – emerge negli anni 2000, quando un piccolo gruppo di ingeneri, fisici ed informatici riconobbero l’opportunità di applicare principi di ingegneria ad entità biologiche per creare funzioni complesse. In altre parole, fu riconosciuta la capacità delle cellule (batteri o mammifero) di funzionare come dei computer: integrando l’informazione proveniente da numerosi segnali esterni (input) queste elaborano una precisa risposta (output). L’implicazione fondamentale è che le cellule possono essere “istruite” ad integrare nuovi input per generare un output desiderato, o possono essere modificate per attivare un output diverso in risposta agli stessi input.  

La rivoluzione degli organismi ingegnerizzati

L’esplosione della biologia sintetica nell’ultimo decennio ha avuto ripercussioni nel tessuto economico mondiale, con applicazioni nel settore industriale, agricolo, farmaceutico, biomedico e astrofisico. Ne sono derivate numerose start up e aziende (alcune anche quotate in borsa, es. Ginko Bioworks) che producono organismi ingegnerizzati a diverso scopo, che hanno attratto investimenti di miliardi di dollari (a livello globale si prevede una crescita del mercato della biologia sintetica da 9.5 billions del 2021 a 30.7 billions nel 2021 con un CAGR -Compound Annual Growth Rate – del 26.5%). 

Cosa sono le biofucine

Fra i modelli specifici di intervento in questo campo, si richiama quello delle cosiddette Biofucine, contesti di ricerca, sperimentazione e trasferimento di nuovi processi basati sulla biologia sintetica che possono aprire nuove forme e modalità di produzione.

Le biofucine (biofoundries) sono infrastrutture che supportano l’ingegnerizzazione di sistemi biologici consentendo la rapida industrializzazione dei processi biologici e, al contempo, facilitano la transizione dall’attuale paradigma lineare dell’azienda manifatturiera alla concezione più sostenibile fondata sui principi di bioeconomia dei prodotti e di biologizzazione dei processi industriali.

La trasformazione biologica delle imprese manifatturiere

La biologizzazione della manifattura industriale è un neologismo che è stato introdotto per descrivere il processo di convergenza ed integrazione degli schemi di manifattura tradizionale con le logiche sostenibili dei processi biologici attraverso l’utilizzo dei moderni paradigmi della biologia sintetica quali strumenti abilitanti. In questa accezione la trasformazione biologica delle imprese manifatturiere è vista in analogia al processo di trasformazione digitale delle stesse. In sintesi, la trasformazione biologica è un processo che descrive il crescente utilizzo tecnologico di strumenti derivanti dalle scienze della vita per dare vita a un’economia sostenibile.

Lo scopo delle biofoundries

Lo scopo delle biofoundries è quello di i) accelerare il ciclo per l’ingegnerizzazione dei sistemi biologici, ii) ridurre i costi di R&D e iii) ridurre i tempi di immissione del prodotto sul mercato, attraverso un’azione concertata di diverse discipline: ingegneria, biologia sintetica, biologia molecolare, automazione, intelligenza artificiale, machine learning, bio-informatica.

Le biofoundries hanno un ruolo preminente nel contesto della bioeconomia ed economia circolare, attraverso valorizzazione degli scarti, ingegnerizzazione di organismi per la produzione di materiali, prodotti chimici e biocarburanti. Inoltre, la convergenza di bioinformatica, machine learning e intelligenza artificiale nell’ingegnerizzazione biologica manifatturiera consente di rimpiazzare molto dei supporti hardware alla produzione con digital information intra e inter biofoundry. 

Conclusioni

In sintesi, c’è una possibile rivoluzione in atto che, utilizzando tecnologie biologiche con il supporto dei più recenti sviluppi delle tecnologie ICT e digitali, sembra prefigurare una nuova rivoluzione nel modo di concepire la produzione, emulando i processi della Natura.

Un mondo che per le sue potenzialità meriterebbe una maggiore attenzione e investimenti sulla ricerca e sulle applicazioni.

È questo proprio uno degli obiettivi della bio-based alliance, ovvero aggregare competenze e valorizzare le potenzialità dei nuovi processi bio-based

Bibliografia

  1. Ziemlewska, A.; Zagórska-Dziok, M.; Nizioł-Łukaszewska, Z.; Kielar, P.; Mołoń, M.; Szczepanek, D.; Sowa, I.; Wójciak, M. In Vitro Evaluation of Antioxidant and Protective Potential of Kombucha-Fermented Black Berry Extracts against H2O2-Induced Oxidative Stress in Human Skin Cells and Yeast Model. Int. J. Mol. Sci. 2023, 24, 4388. https://doi.org/10.3390/ijms24054388;
  • Andy Candra, Haile Fentahun Darge, Yohannis Wondwosen Ahmed, Indah Revita Saragi, Sintayehu Leshe Kitaw, Hsieh-Chih Tsai, Eco-benign synthesis of nano‑gold chitosan-bacterial cellulose in spent ground coffee kombucha consortium: Characterization, microbiome community, and biological performance, International Journal of Biological Macromolecules, Volume 253, Part 3,2023,126869, https://doi.org/10.1016/j.ijbiomac.2023.126869.

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