l'analisi

La Cina punta a un nuovo ordine tecnologico mondiale: le sfide per l’Occidente

La Cina sta pianificando uno sviluppo per i prossimi 15 anni che la porti a un livello generale di benessere comparabile con quello di paesi come l’Italia. Una sfida ambiziosa, ma questo non significa che il nostro Paese e l’Europa abbiano tempo a disposizione per prendere le contromisure. Ecco

Pubblicato il 24 Mar 2021

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

Photo by Zachary Keimig on Unsplash

La Cina ha da poco approvato il suo quattordicesimo piano quinquennale dal quale emerge con evidenza come Xi Jinping abbia intenzione di forzare la marcia: l’obiettivo è di porre il Paese al centro della scena mondiale, in un nuovo ordine tecnologico, economico e finanziario internazionale non più a guida americana. Sebbene la strada non sia certo in discesa, e i problemi interni per Pechino siano complessi almeno quanto quelli sul fronte internazionale, la Ue e l’Occidente non possono più stare a guardare: serve, anche a livello nazionale, una maggiore ambizione e uno sguardo puntato sul lungo periodo.

Vediamo come si delinea l’agenda di Xi Jinping e quali sono le principali sfide.

L’agenda di Xi Jinping

Nel nuovo piano 2021-2025, le cui linee sono state varate a fine ottobre e che viene approvato nella versione definitiva nella seconda settimana di marzo dal Congresso Nazionale del Popolo, due concetti si ripetono con insistenza: la “Circolazione duale” e la “Visione 2035”.

Il primo, introdotto nella prima fase della pandemia da Xi Jinping, inquadra la crisi della globalizzazione nell’ambito della devastazione portata dalla pandemia e del conflitto commerciale aperto dagli Stati Uniti. La circolazione duale punta sulla domanda interna e non più, come prima avveniva, sulla domanda estera; intende allargare la supply chain interna, riducendo la dipendenza dall’estero; vuole mobilitare i fattori di produzione, e in particolare la scienza, le risorse finanziarie e il lavoro, cercando di allentare l’hukou, ossia il sistema dei diritti di cittadinanza limitati per coloro che sono residenti fuori dalle grandi città.

Il secondo concetto, “Visione 2035” pone il sentiero di sviluppo a lungo termine nella direzione di una maggiore autosufficienza tecnologica e del superamento della condizione di “paese in via di sviluppo”, per giungere ad un livello di reddito pro-capite moderatamente sviluppato, come Spagna e Italia (intorno ai 30.000 dollari pro-capite). Si tratta di una sfida molto ambiziosa, dal momento che il reddito pro-capite cinese supera appena i 10.000 dollari nel 2019 (Banca Mondiale)

Va segnalato, tuttavia, che per la prima volta il piano quinquennale non pone, nella sua versione proposta al Congresso, espliciti obiettivi di crescita del prodotto interno lordo, lasciando così mano libera al Partito.

Non vi è, invece, traccia di una maggiore libertà concessa ai contadini sulla vendita o l’affitto della terra, che consentirebbe di ridurre il divario di reddito città-campagna, né vi sono impegni precisi sulla decarbonizzazione nella produzione energetica, nonostante le dichiarazioni di Xi Jinping di puntare ad una carbon neutrality entro il 2060.

Il punto di maggiore impatto sulle relazioni con USA ed Europa è quello della ricerca e dell’innovazione. Qui si gioca la sfida competitiva tra Cina e paesi occidentali. Le prime mosse dell’amministrazione Biden mostrano la consapevolezza che ormai il confronto con la Cina è inevitabile e che esso va affrontato dai paesi democratici con una comune strategia.

Obiettivi e azioni del piano

Il quadro di prospettiva offerto dal Piano quinquennale a livello internazionale è delineato nell’intervento di Xi Jinping a Davos: quattro obiettivi a livello mondiale e quattro azioni.

Obiettivi:

  • coordinamento degli sforzi per uscire dalla recessione determinata dalla pandemia;
  • coesistenza pacifica e mutuo rispetto (questa voce è centrale nella strategia internazionale cinese, significa implicitamente non interferenza in questioni “interne” come Tibet, Xinjiang, Taiwan, Hong Kong);
  • riduzione della distanza tra Nord e Sud del mondo;
  • cooperazione globale sui temi della salute e dell’ambiente.

Risposte:

  • rafforzare il multilateralismo e dare ruolo maggiore al G20 per guidare il multilateralismo;
  • rafforzare le regole e le istituzioni multilaterali, come l’ONU;
  • confidare nella strategia della consultazione e della cooperazione, abbandonando la logica del confronto o dello scontro;
  • dare forza e riformare le istituzioni internazionali, come la World Health Organization, gli Accordi di Parigi sul clima e gli Obiettivi dello sviluppo sostenibile posti dall’ONU.

Difficile non concordare con questi obiettivi e con queste risposte, soprattutto nel momento in cui il maggiore guastatore che li boicottava a livello internazionale e nel proprio paese, Donald Trump, è uscito di scena.

Naturalmente, sollevano obiezioni le pretese cinesi di considerare questioni interne indiscutibili quelle relative agli Uiguri del Xinjiang, alla colonizzazione del Tibet, alla restrizione dei diritti politici ad Hong Kong, alla minaccia di annessione di Taiwan.

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La rule of law a Pechino

“Il 25 novembre 2020 il gruppo-guida dei membri del Partito nel governo della Repubblica Popolare (State Council) ha tenuto una riunione di studio del pensiero di Xi Jinping sulla ‘rule of law’…e ha annunciato che la rule of law è la linea guida fondamentale del governo della Cina”.

Il tono esplicitamente maoista di questa dichiarazione del governo dimostra che la rule of law è intesa come strumento per rafforzare la presa del Partito sul governo del Paese.

Xi Jinping sembra ispirato, nel seguire questa impostazione, assai più che dalle dottrine marxiste, dalla tradizione “legista” del pensiero politico e militare cinese, che avversava la filosofia confuciana rivolta al rispetto della regola morale e all’affermazione della benevolenza del sovrano. Quella tradizione svolse un ruolo decisivo nella costruzione. Essa propugnava la severità inflessibile delle leggi, la standardizzazione del linguaggio, l’unificazione dei pesi e delle misure, la distruzione del retaggio del pensiero confuciano, la riduzione del ruolo dei “saggi” a meri funzionari esecutivi, l’obliterazione delle tradizioni familiari e del culto degli antenati, a favore di un inquadramento rigido del popolo attraverso le due figure del contadino e del soldato ed il loro “ordinamento” al servizio della potenza del sovrano. Un deciso progetto di centralizzazione del potere.

Xi Jinping intende creare un assetto normativo più stabile e adeguato a un nuovo ruolo mondiale della Cina.

Da un lato, il Paese deve dotarsi di strumenti per gestire un contenzioso civilistico interno che rischia di produrre effetti destabilizzanti dal punto di vista politico e sociale, dall’altro lato, deve disporre delle capacità e dei mezzi per potersi confrontare con le imprese multinazionali.

Sul primo aspetto, quello del contenzioso, scriveva il prof. Xianchu: “La Cina è diventata una delle società più conflittuali del mondo, producendo un gran numero di ‘incidenti di massa’, ossia raduni improvvisati o pianificati con discorsi pubblici, dimostrazioni, rimostranze pubbliche e anche attacchi violenti contro organi di governo fabbriche o altre proprietà, usati come mezzi di protesta contro l’abuso di potere”.[1]

Sul secondo aspetto, quello della regolazione, la lista delle iniziative recenti è piuttosto corposa, ne ricordiamo alcune:

  • Codice Civile (in forza dal primo gennaio 2021, che abolisce le vecchie norme su: matrimonio, responsabilità civile, garanzie, contratti, proprietà);
  • Linee guida del Comitato Centrale del Partito per costruire una società basata sulla “rule of law” (dicembre 2020);
  • Legge sulla crittografia (gennaio 2020) e regolamento sulle transazioni internazionali concernenti contenuti crittografati (novembre 2020);
  • SAMR (Shanghai Administration for Market Regulation) che ha reso più stringenti le verifiche sulle acquisizioni, in particolare nell’area dei microchip, aumentando le sanzioni e i poteri di indagine;
  • CSRC (China Securities Regulatory Commission) che stringe i requisiti per le IPO insistendo sui requisiti di governance e di qualità e trasparenza delle informazioni fornite (dicembre 2020);
  • Proposta di Legge sulla protezione dei dati personali (2020);
  • Legge antimonopolio (proposta novembre 2020);
  • Regolazione provvisoria per l’accesso al piccolo credito online (China Banking and Insurance Regulatory Commission) (gennaio 2021).

Le regole interne vengono rafforzate e definite con maggiore precisione: la tradizionale indeterminatezza che caratterizzava la gestione “tutta politica” delle regole lascia spazio ad una più stringente formalizzazione.

La leva del mercato interno

Gli accenti posti dal presidente Xi Jinping nelle conclusioni di Davos indicano il passaggio nuovo della politica cinese: “La Cina promuoverà l’apertura istituzionale per definire regole, normative, standard e loro gestione, facendo avanzare un ambiente economico basato sui principi di mercato, governato dalla legge secondo standard di livello internazionale e liberare il potenziale del gigantesco mercato cinese e dell’enorme domanda interna”.

Lo sviluppo della domanda interna, che intende sostituire la crescita trainata dalle infrastrutture e dalla domanda estera, viene proposto come una risorsa per la crescita mondiale, con la Cina posizionata in un ruolo da protagonista nel determinare le regole e gli standard e quindi anche le modalità di accesso al grande mercato interno cinese.

Lo spostamento non è di poco conto: il modello di sviluppo del commercio internazionale delineato dal WTO e dai rapporti commerciali basati sugli standard occidentali, deve lasciare spazio ad una governance aperta al contributo della Cina.

Gli attacchi americani a Huawei, Tencent, Tik Tok aleggiano sullo sfondo come ferite aperte che vanno rimosse. Ma attenzione, questo non significa affatto che la Cina sia disposta ad allentare le sue regole; anzi, essa sta promuovendo al suo interno un programma normativo complesso che investe la privacy, la tutela dei dati, i diritti di proprietà, la regolazione antimonopolistica e quella dei servizi finanziari. E poiché, a fronte di queste nuove regole, rimangono le chiusure della Cina nei confronti delle big tech americane, lo scontro maggiore non sarà, su questo terreno, tra Europa e Cina, nonostante l’irrigidimento delle norme sui due fronti, ma continuerà ad essere tra Cina e Stati Uniti.

Il confronto si farà meno duro nelle espressioni, rispetto alla narrazione trumpiana, ma probabilmente più duro nella sostanza, anche perché il confronto con Big Tech è già aperto anche all’interno degli Stati Uniti e nell’Unione Europea e quindi non sarà sopportabile l’ulteriore carico di manovre o infrazioni delle buone regole da parte cinese.

La strategia della Cina passa per una riqualificazione della domanda e dell’offerta: più servizi ad alta tecnologia e più ricerca e innovazione sul piano interno, ma anche più voce in capitolo nel determinare le regole internazionali che investono lo sviluppo e l’applicazione delle nuove tecnologie.

Qui si aprono le maggiori contraddizioni della linea politica di Xi Jinping.

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Un nuovo ordine tecnologico internazionale

Alcuni fatti. La Cina ha il tasso di crescita degli investimenti in R&D maggiore, mentre in valore a parità di potere d’acquisto è seconda solo agli Stati Uniti (371 miliardi di dollari contro 477). Oggi è leader nell’energia nucleare, nei veicoli elettrici, nella generazione solare, fotovoltaica ed eolica, nell’intelligenza artificiale, nella robotica (droni). Negli ultimi 15 anni ha triplicato il suo impatto sulle pubblicazioni scientifiche, ha raggiunto il 43% del valore mondiale delle start-up con valore superiore al milione di dollari.

La Cina intende essere il paese guida dell’intelligenza artificiale nel 2030, con un ruolo trainante su tutta l’economia digitale (big data, fintech).

Le big tech cinesi (Baidu, Alibaba, Tencent – BAT) sono al centro di ecosistemi molto dinamici, assai più impegnate delle corrispondenti americane (Amazon, Facebook, Google, Netflix), con il 42% del totale degli investimenti in venture capital in Cina, contro il 5% delle Big Tech americane negli Stati Uniti..

La crescita delle big tech cinesi, Alibaba, Baidu, JD.com, Meituan, Pinduoduo,Tencent, è la dimostrazione del successo dello sviluppo nei settori avanzati, ma questa crescita pone questioni rilevanti al Partito Comunista: esso intende controllare gli accessi alla rete, i contenuti, i contatti, finanche la dimensione ed il ruolo pervasivo che questi giganti hanno nella società e nell’economia cinese.

Il caso più rilevante è rappresentato da Alibaba, il gruppo fondato da Jack Ma, personalità dinamica e non accondiscendente, che si è alienato il sostegno del Partito, al quale è pure iscritto. In un intervento tenuto il 24 ottobre dello scorso anno, Jack Ma aveva attaccato i regolatori cinesi in campo finanziario accusandoli di muoversi secondo la logica del “banco dei pegni” e non di una finanza moderna, basata sull’intelligenza artificiale ei big data. Lo aveva fatto qualche giorno prima che avesse inizio l’offerta iniziale di acquisto (IPO) più importante della storia delle fintech, quella di Ant, società del gruppo Alibaba, con un valore atteso della raccolta pari a 34 miliardi di dollari. Per quale motivo Jack Ma abbia corso un rischio così alto, rimane un mistero. Secondo molti osservatori, la reazione fulminea e distruttiva dell’autorità di regolazione cinese che ha bloccato l’IPO facendo crollare il valore della controllante Alibaba, è stata scatenata dal suo attacco contro l’arretratezza del regolatore.

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Anche se ciò fosse vero, non c’ è dubbio che sia Alibaba sia Ant sia Tencent erano da tempo sotto osservazione. Alibaba per condotta anticoncorrenziale, Ant e Tencent perché interferiscono con l’attività delle maggiori banche, prevalentemente pubbliche, sottraendo spazio di mercato in particolare nel finanziamento delle PMI, ma anche nelle transazioni per pagamenti, con il 55% gestito da Alipay (Alibaba) e il 38% da WeChat Pay (Tencent).

La giustificazione, in questo caso, è che il regolatore deve impedire “un’espansione disordinata del capitale”. Ma l’esito dell’ intervento all’ultimo momento sarà quello di danneggiare la credibilità del sistema regolatorio e di mettere a repentaglio l’affidabilità cinese riguardo ai diritti di proprietà. Ciò conferma che l’accresciuto potere concentratosi nella mani di Xi Jinping porterà ad una limitazione della proiezione internazionale delle aziende cinesi, che verrà compensata in parte dalla crescita del mercato interno, ma con un appesantimento del loro dinamismo, che sarà meno proiettato ad acquisire competitività e più proiettato ad acquisire i favori del Partito Comunista.

Conclusioni

La Cina sta pianificando uno sviluppo per i prossimi 15 anni che la porti ad un livello generale di benessere comparabile con quello di paesi come l’Italia. Ma questo non significa che il nostro Paese e l’Europa abbiano tempo a disposizione per prendere le contromisure, poiché la velocità della Cina è, in termini di crescita del prodotto interno lordo, un multiplo della nostra e anche di quella europea o americana.

Il dato medio, infatti, cela già oggi l’esistenza di realtà tecnologiche e di capacità innovative di primo piano. La Cina sta investendo in conoscenza e tecnologia in modo determinato, per dotarsi di una filiera più integrata, per ridurre la dipendenza tecnologica dall’estero, per affermare nell’ambito dei settori ad alta tecnologia i propri standard come standard internazionali: la lezione di Huawei, che era solo uno standard di mercato, ma non aveva acquisito l’autorevolezza e la credibilità di standard condiviso è stata capita.

Investimenti in formazione e ricerca da un lato, dall’altro, creazione di regole per poter governare il mercato interno e le sfide poste dalle big tech cinesi e infine gli strumenti per gestire un mercato del lavoro e dei capitali che crescono e che rischiano continuamente di destabilizzare il controllo del Partito sulla società e sull’economia.

È una sfida molto ambiziosa: la Cina non ha tradizione di regolazione nel campo dei diritti di proprietà, della tutela della privacy, del diritto societario. E ha un sistema giudiziario assai rudimentale. Il Codice Civile entrato in vigore in questi giorni è, a giudizio degli studiosi cinesi, il primo codice legislativo del Paese degno di questo nome. Nel trattare questioni complesse come la tutela della concorrenza o della privacy, a fronte di una esperienza consolidata europea e americana, la Cina deve crearsi il know how e potersi richiamare ai precedenti in sede giudiziaria.

Esauriti gli spazi di incremento della produttività dovuti allo spostamento della forza lavoro dalla campagna alla città (ma lo spazio è ancora lontano dall’essere esaurito), la Cina dovrà affrontare due temi: la competizione sull’innovazione e la creazione di un welfare più inclusivo che tuteli gli anziani, una quota della popolazione enormemente crescente nei prossimi anni.

Sul piano interno la Cina ha molta strada da fare e complessi problemi di libertà e di consenso che la società pone. Non è affatto scontato che il sistema sempre più rigido che, passo dopo passo, Xi Jinping sta mettendo in campo, sia in grado di rispondere a queste domande. Vi è il rischio che le questioni della sovranità continentale su Hong Kong e Taiwan, possano servire da collante all’arroccamento del sistema di potere intorno a Xi Jinping. Mentre la guerriglia tecnologica sulla rete continuerà a svilupparsi per saggiare la resilienza degli avversari.

Queste considerazioni non possono consolare i decisori politici europei e occidentali.

Alla domanda se la Cina di Xi Jinping si avvicini o si allontani, è possibile rispondere che essa si avvicina a tutti nel mercato mondiale, che sempre di più la vede primeggiare, e che si allontana, allo stesso tempo, seguendo una propria via e i propri interessi, con una capacità di imporli attraverso un potere economico, tecnologico e di ricerca che prima non aveva. I prodotti cinesi saranno sempre meno “copie”, mentre i servizi cinesi saranno sempre più “domestici” nel senso di addomesticati.

Se la trazione Usa, fino ad oggi, aveva consentito all’Europa di vivacchiare nella sua minuscola dimensione politica all’ombra delle ali dell’aquila dello zio Sam, ora quell’aquila è spennacchiata. Certo, anche il dragone cinese ha i suoi problemi che non sono di facile soluzione, e qui ne abbiamo indicati diversi, ma -a suo modo- li affronta.

L’Unione si muove sul digitale più velocemente dei paesi membri: è un buon segno.

Ma il sacrosanto obiettivo di evitare la babele delle normative sovraniste in materia di digitale, anticipandole con norme europee rischia di appesantire la regolazione complessiva del mercato. Creare un unico mercato interno digitale, ma con un fardello di regolazioni e tassazioni punitivo per l’innovazione e la competizione, sarebbe un risultato peggiore.

Anche sulla ricerca l’Europa ha un ruolo importante, sia sui temi sia sui mezzi messi in campo.

Ma è ai paesi membri che ritorna la palla quando si parla di scuola e di università, ossia delle competenze per produrre innovazione. Qui, dove si gioca il nostro futuro, dobbiamo mobilitare le nostre risorse, politiche, istituzionali, economiche e culturali. Non mancano, ma nessuno sembra interessato a sostenerle per disegnare la società di domani.

  1. Xianchu Zhang, The New Round of Civil Law Codification in China, Università di Bologna Law Review (Vol.1: 1 2016)

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