La nuova Direttiva in materia di diritto d’autore e diritti connessi in ambito digitale è stata accompagnata dal legislatore dell’Unione, da adeguate garanzie che assicurano il rispetto del diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti dei servizi di condivisione di contenuti online, nonché il giusto equilibrio tra tale diritto, da un lato, e il diritto di proprietà intellettuale, dall’altro.
È questa una delle motivazioni che hanno spinto la Corte di Giustizia europea a respingere il ricorso presentato dalla Polonia per l’annullamento dell’articolo 17 della direttiva 2019/790.
La direttiva Copyright e il ricorso della Polonia
La nuova Direttiva in materia di diritto d’autore e diritti connessi in ambito digitale è stata adottata nel 2019, con lo scopo di aggiornare il quadro normativo comunitario di fonte all’innovazione tecnologica intercorsa negli anni e all’incredibile sviluppo del mercato dei contenuti online.
La normativa comunitaria, che ha avuto un iter molto combattuto e controverso con opposti schieramenti che hanno dato battaglia in sede europea, è stata recepita in Italia nel novembre del 2021.
Tra le questioni più dibattute in sede internazionale e poi in parte anche nella fase di recepimento, si colloca l’articolo 17. La norma stabilisce il principio in base al quale i fornitori di servizi di condivisione di contenuti online sono direttamente responsabili quando materiali protetti (opere, ecc.) sono caricati illegalmente dagli utenti dei loro servizi.
Queste piattaforme possono tuttavia essere esonerate da tale responsabilità. A tal fine esse sono tenute, in particolare, conformemente alle disposizioni dell’articolo 17, a sorvegliare attivamente i contenuti caricati dagli utenti, per prevenire la messa in rete di materiali protetti che i titolari dei diritti non desiderano rendere accessibili sui medesimi servizi.
In occasione dell’adozione della normativa comunitaria, che ricordiamo vide anche un lungo confronto tra diversi Stati membri, la Polonia ha proposto dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso di annullamento dell’articolo 17 della direttiva 2019/790.
Articolo 17 e libertà di espressione e d’informazione
Nello specifico, il ricorso chiedeva di eliminare l’articolo 17, paragrafo 4, lettera b), e l’articolo 17, paragrafo 4, lettera c), in fine (ossia, nella parte che include le parole: «e aver compiuto i massimi sforzi per impedirne il caricamento in futuro conformemente alla lettera b)») della direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE.
Secondo la ricorrente, la formulazione dell’articolo citato viola la libertà di espressione e d’informazione garantita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In particolare, il Governo polacco sostiene che l’applicazione delle citate disposizioni dell’articolo 17 rende necessario, per non incorrere in responsabilità, che i prestatori effettuino una verifica automatica preventiva (filtraggio) dei contenuti condivisi online dagli utenti e, di conseguenza, che introducano i meccanismi di controllo preventivo. Un meccanismo che pregiudica l’essenza del diritto alla libertà di espressione e di informazione e non soddisfa i requisiti di proporzionalità e di necessità di limitazioni di tale diritto.
La sentenza della Corte di Giustizia
La sentenza della Corte di Giustizia ha invece respinto il ricorso. Secondo la Corte anzitutto va rilevato che, per beneficiare dell’esonero da responsabilità ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2019/790, i fornitori di servizi di condivisione di contenuti online sono de facto tenuti a svolgere un controllo preventivo dei contenuti che gli utenti intendono caricare sulle loro piattaforme, a condizione che essi abbiano ricevuto, dai titolari dei diritti, le informazioni pertinenti e necessarie a tal fine.
Peraltro, per poter effettuare un tale controllo preventivo queste piattaforme devono, a seconda del numero di file caricati e del tipo di materiale protetto di cui trattasi, utilizzare strumenti automatici di riconoscimento e filtraggio. Secondo la Corte, un siffatto controllo e un siffatto filtraggio preventivi sono atti ad apportare una restrizione ad un importante mezzo di diffusione di contenuti online. In tali condizioni, il regime specifico di responsabilità introdotto dalla direttiva per i fornitori di servizi di condivisione di contenuti online comporta una limitazione dell’esercizio del diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti di tali servizi di condivisione. Per quanto riguarda, poi, la giustificazione di tale limitazione e, in particolare, la proporzionalità di quest’ultima rispetto all’obiettivo legittimo perseguito dall’articolo 17 della direttiva 2019/790, consistente nella tutela dei diritti di proprietà intellettuale, la Corte rileva, in primo luogo, che il legislatore dell’Unione, al fine di prevenire il rischio che, in particolare, l’uso di strumenti di riconoscimento e filtraggio automatico comporta per il diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti dei servizi di condivisione di contenuti online, ha posto un limite chiaro e preciso alle misure che possono essere adottate o richieste nell’attuazione degli obblighi previsti a tale disposizione, escludendo, in particolare, le misure che filtrano e bloccano i contenuti leciti all’atto del caricamento.
In tale contesto la Corte ricorda che un sistema di filtraggio che rischi di non distinguere adeguatamente tra un contenuto illecito e un contenuto lecito, sicché il suo impiego potrebbe avere come risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito, sarebbe incompatibile con il diritto alla libertà di espressione e d’informazione e non rispetterebbe il giusto equilibrio tra quest’ultimo e il diritto di proprietà intellettuale. In secondo luogo, l’articolo 17 della direttiva 2019/790 dispone che gli utenti di tali servizi sono autorizzati dal diritto nazionale a caricare i contenuti generati dagli stessi ai fini, ad esempio, di parodia o pastiche e che essi sono informati, dai fornitori di detti servizi, della possibilità di utilizzare opere e altri materiali protetti conformemente alle eccezioni o limitazioni al diritto d’autore e ai diritti connessi previste dal diritto dell’Unione. In terzo luogo, ai sensi di tale articolo 17, la responsabilità a carico dei fornitori dei medesimi servizi di garantire che non siano disponibili determinati contenuti può sorgere solo a condizione che i titolari dei diritti interessati forniscano loro le informazioni pertinenti e necessarie in merito a tali contenuti. In quarto luogo, detto articolo 17 precisa che la sua applicazione non comporta alcun obbligo generale di sorveglianza, il che implica che i fornitori di servizi di condivisione di contenuti online non possono essere tenuti a prevenire il caricamento e la messa a disposizione del pubblico di contenuti la constatazione della cui illeceità richiederebbe, da parte loro, una valutazione autonoma del contenuto alla luce delle informazioni fornite dai titolari dei diritti nonché di eventuali eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. In quinto luogo, il medesimo articolo 17 introduce varie garanzie procedurali che tutelano il diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti di tali servizi qualora i fornitori di detti servizi disabilitino comunque, per errore o senza alcun fondamento, contenuti leciti.
Conclusioni
La Corte ne deduce pertanto che l’obbligo per i fornitori di servizi di condivisione di contenuti online di controllare i contenuti che gli utenti intendono caricare sulle loro piattaforme prima della loro diffusione al pubblico, derivante dal regime specifico di responsabilità introdotto dalla direttiva, è stato accompagnato, dal legislatore dell’Unione, da adeguate garanzie per assicurare il rispetto del diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti di tali servizi, nonché il giusto equilibrio tra tale diritto, da un lato, e il diritto di proprietà intellettuale, dall’altro. Ciononostante, gli Stati membri sono tenuti, in occasione della trasposizione dell’articolo 17 della direttiva nel loro ordinamento interno, a fondarsi su un’interpretazione di tale disposizione atta a garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali cosa che, ad esempio, è stata puntualmente rispettata nel recepimento italiano che, come anche previsto dal mandato del Parlamento, ha tenuto conto delle necessità di garantire questo equilibrio.
Con la sentenza della Corte di Giustizia si chiude una nuova fase legata all’implementazione della Direttiva che sicuramente vedrà altri interventi giudiziari in futuro, di fronte ad una complessa e continua evoluzione tecnologica in atto.