supply chain sotto attacco

Guerra dei dazi: ecco la minaccia Trump sull’economia globale



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I nuovi dazi USA destabilizzano mercati e catene produttive integrate. Mentre il settore tech affronta carenze di personale, Europa e UK cercano strategie per proteggere le supply chain

Pubblicato il 14 feb 2025

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione



Trump vuole rimodellare la scienza americana: ecco le conseguenze per tutti
Foto Tomas Ragina

Scott Lincicome, vice presidente per l’economia e il commercio del Cato Institute, think tank che promuove il libero commercio, osserva che “se il presidente può con un colpo di penna e senza una buona ragione sconvolgere completamente una catena di fornitura nordamericana costruita in oltre 30 anni, perché mai un governo straniero dovrebbe essere disposto a spendere il capitale politico necessario per stipulare un accordo commerciale?” e ha aggiunto: “ la nube di incertezza che gli Stati Uniti stanno gettando sul commercio internazionale gioverà alla Cina, che gran parte di repubblicani e democratici considerano un avversario economico”[1].

L’azzardo dei dazi e gli effetti sulle supply chain

L’idea che le imposte siano pagate dagli altri con i dazi sembra un ritorno al mercantilismo del XVIII secolo, quando la ricchezza delle nazioni si credeva dovuta all’afflusso dall’estero di mezzi di pagamento (all’epoca oro e argento). Donald Trump butta a mare due secoli di liberalizzazione del commercio mondiale che ha portato risultati senza precedenti in termini di crescita e di riduzione della povertà.

Bloomberg non si ferma a registrare le “concessioni” fatte a Trump dal leader canadese Justin Trudeau e dalla presidente messicana Claudia Sheinbaum per ottenere una pausa per trattare con Trump e possibilmente abolire le nuove tariffe. La credibilità economica e politica della nuova amministrazione americana va comunque a farsi benedire prima ancora di cominciare la partita. Dopo il fiasco clamoroso del progetto Stargate, che in 4 giorni ha fatto registrare a Nvidia la più colossale perdita in borsa della storia di una singola azienda proprio nel settore dell’intelligenza artificiale, la politica dei dazi americana si riduce a un gioco di soldatini. Il livello di integrazione dell’economia americana con quella del Messico e del Canada è colossale, e metterlo a repentaglio per delle partite di Risiko giocate sulla pelle della gente, interferisce con il funzionamento degli scambi, sulla quotazione delle valute, della borsa e sulle aspettative di inflazione.

Il Cato Institute ricorda all’amministrazione americana che sta giocando con il fuoco: ”Il governo federale sta precipitando verso una crisi fiscale. Il debito accumulato sta raggiungendo massimi storici, i tassi di prestito stanno aumentando e l’aumento dell’inflazione è un rischio importante. Il presidente Trump e il Congresso devono concentrarsi sul controllo della spesa e del deficit”.[2]

La figura 1 indica come due importanti indici di borsa negli Stati Uniti (S&P500) e in Canada (S&P TSX), si siano mossi il giorno 3 febbraio per effetto delle dichiarazioni di Trump e della presidente del Messico Sheinbaum: improvvise oscillazioni di oltre due punti percentuali, consentono, ai bene informati, facili guadagni. Nella figura 2,le aspettative di inflazione negli Stati Uniti con orizzonte due anni indicano che il giorno 3 febbraio la conversazione Trump-Sheinbaum, ha l’effetto di abbassare l’impennata precedente determinata dall’annuncio delle tariffe.

Figura 1. Indici di borsa USA e Canada prima e dopo l’annuncio della tregua sulle tariffe di Canada e Messico (Trump/Sheinbaum Conversation). Fonte Bloomberg. Opinion

Nonostante l’abbassamento, tuttavia, le aspettative si stabilizzano ad un livello elevato, superiore al 3%. Ciò ha effetti sui tassi di interesse dei titoli del debito pubblico che il governo dovrà emettere.

I rischi per l’Europa

Per l’Europa il rischio delle tariffe americane rimane elevato. L’Europa non può schierare soldatini o giurare che non esporterà fentanyl ed è soprattutto con alcuni paesi europei, con il Giappone e le altre tigri asiatiche, che la bilancia commerciale americana è fortemente in disavanzo.

Figura 2. Inflazione attesa negli Stati Uniti prima e dopo l’annuncio della tregua sulle tariffe di Canada e Messico (Trump/Sheinbaum Conversation). Fonte Bloomberg. Opinion

Trump potrebbe chiedere all’Europa di ritirare le tasse introdotte per Big Tech, anche se ciò lascerebbe immutate le condizioni per cui oggi gli Stati Uniti segnano un disavanzo commerciale importante con Germania Italia e Irlanda. Sarebbe un favore a Big Tech, un riconoscimento delle benemerenze da loro acquisite schierandosi per il nuovo presidente durante la campagna elettorale.

Intanto, all’annuncio che l’Europa è nel mirino dell’amministrazione americana, le quotazioni dei produttori di auto europei sono cadute tra il 5% e il 6%, con punte per i sub fornitori come Valeo (-8%). Stellantis è tra le più esposte, insieme a Volkswagen, che hanno un’area di ricavi investita dalle tariffe pari rispettivamente a 16 e 8 miliardi di dollari.

La resilienza delle supply chain

La figura 3 mostra quale sia il livello di integrazione delle supply chain nel settore automobilistico americano. Il contenuto di importazioni in Messico di un’auto Messicana esportata negli Stati Uniti è molto elevato e oltre il 74% del suo contenuto è prodotto negli Stati Uniti.

Figura 3. Supply chain di un’auto messicana esportata negli Stati Uniti. Provenienza delle componenti in %.[3]

Figura 4. Contenuto di importazioni di un’auto prodotta in Messico ed esportata negli Stati Uniti.[4]

La supply chain dell’auto nel Nord America è fittamente interconnessa con Canada e Messico: ogni intervento tariffario la disarticola, con aumento di costi, allungamento dei tempi, complicazioni nella gestione delle scorte.

Trump: un ostacolo alla crescita

La pioggia di miliardi sulle fabbriche di semiconduttori decise dall’amministrazione Biden con il Chips Act influisce sulla localizzazione degli investimenti, sospinti da una domanda che nel 2024 è cresciuta del 19%, con attese di un altro incremento a due cifre (+11%) nel 2025. Siamo ormai a 100 processori per abitante.[5] La parte del leone la fanno gli Stati Uniti che, a ottobre su base anuale, registrano + 54%, contro +17% della Cina , +12% dell’Asia-Pacifico, +7% del Giappone e -7% dell’Europa.

Secondo Il Boston Consulting Group, il Chips Act americano (eredità della presidenza Biden) è stato un successo: “Nel decennio successivo all’entrata in vigore del CHIPS (dal 2022 al 2032), si prevede che gli Stati Uniti più che triplicheranno la loro capacità di produzione di semiconduttori, il più alto tasso di crescita al mondo. Il Rapporto prevede inoltre che gli Stati Uniti porteranno la loro quota di produzione di chip avanzati (meno di 10 nm) al 28% della capacità globale entro il 2032 e intercetteranno il 28% delle spese in conto capitale globali totali (capex) dal 2024 al 2032. A titolo di confronto, in assenza del Chips Act, il Rapporto stima che gli Stati Uniti avrebbero catturato solo il 9% del capex globale entro il 2032”.[6] (E’ verosimile che il fuoco d’artificio Stargate di Trump sia stato architettato per offuscare questo intervento dell’amministrazione precedente).

Lo studio di Oxford Economics (OE) commissionato da Semiconductor Industry Association (SIA) pone in evidenza la carenza di risorse umane, che mina la capacità di espansione degli Stati Uniti: “vi è una significativa carenza di lavoratori qualificati e altamente qualificati in tre gruppi occupazionali principali: tecnici, ingegneri e informatici… stimiamo un divario di forza lavoro per i tecnici del 20%… Sia per l’ingegneria che per l’informatica, stimiamo un divario di forza lavoro del 39%”.[7]

La figura 5 riporta le previsioni sulla carenza di personale al 2030, nonostante gli interventi del Chips Act per sostenere lo sviluppo dell’offerta universitaria, oggi messa a repentaglio dalla politica di taglio dei fondi del presidente Trump.

Figura 5. Chi manca? Stima del gap di lavoratori per il settore dei semiconduttori al 2030. (Fonte: SIA-OE op cit)

La più grande minaccia all’integrità della supply chain, è la carenza di capacità professionali, che non è limitata al settore di semiconduttori, ma si estende all’intero segmento delle tecnologie avanzate (si pensi all’AI) con numeri ancor più elevati per l’intera economia americana, dove il gap sale a 1,4 milioni di “vuoti da colmare”, ossia oltre un terzo del totale dei nuovi posti di lavoro creati.[8]

Tra le raccomandazioni dello studio SIA-OE, merita richiamare una delle più significative, che contrasta totalmente con le politiche trumpiane: “Nei college e nelle università degli Stati Uniti, oltre il 50% dei laureati in ingegneria magistrale e oltre il 60% dei laureati in ingegneria con dottorato sono cittadini stranieri. Circa l’80% dei laureati in ingegneria magistrale e il 25% dei laureati stranieri in discipline STEM con dottorato di ricerca presso istituzioni statunitensi non rimane negli Stati Uniti dopo la laurea, per scelta o a causa della politica di immigrazione statunitense.
Quote così elevate implicano che percorsi più facili per la residenza permanente negli Stati Uniti danno impulso immediato al bacino di talenti disponibile per l’industria dei semiconduttori e altri settori tecnologici di importanza strategica”.

Europe, RISE up!

Abbiamo visto come l’Europa arranchi nei semiconduttori, con una domanda che non cresce e che lascia forti dubbi sulla efficacia del Chips Act europeo. La supply chain, nell’interpretazione europea, è una legge per combattere lo sfruttamento e le discriminazioni nelle aziende[9]. Una visione nobile, come spesso accade per le normative europee, ma che non riguarda la fragilità delle supply chain reali.

Le maggiori preoccupazioni sulla loro fragilità per gli operatori intervistati da Reuters riguardano, in primo luogo la guerra in Ucraina, e poi a seguire: i prezzi dell’energia, l’inflazione, la carenza di manodopera, l’instabilità geopolitica, i prezzi e la disponibilità delle subforniture, l’incremento delle tariffe e degli ostacoli al commercio[10]. Sono tutte preoccupazioni che le politiche isolazioniste di Trump alimentano in queste settimane.

Nel Regno Unito il governo ha ripreso, dopo la pandemia, la sua azione per difendere la resilienza delle supply chain, minacciate dalle interruzioni e dai rallentamenti degli scambi verificatisi nel 2020. Si tratta di uno strumento utile anche a rispondere all’isolazionismo americano e alla guerra commerciale e tariffaria che sta innescando. L’iniziativa ha stimolato le aziende a curare la resilienza delle proprie supply chain, in vista di garantire una capacità di risposta di fronte a interruzioni o alterazioni significative dei canali di fornitura tradizionali. “All’interno dell’impegno del governo per migliorare la resilienza delle supply chain, il Dipartimento degli Affari e del Commercio (DBT), ha sviluppato un Quadro per la resilienza, basato su 5 aree…:

  1. diversificazione – identificare una fonte di fornitura alternativa per creare flessibilità nella catena di fornitura;
  2. partnership internazionali – collaborare con partner internazionali per identificare sfide comuni, abbattere le barriere al commercio e rafforzare la resilienza delle catene di fornitura e dei sistemi internazionali;
  3. scorta e capacità di picco – identificare se può essere utile detenere scorte e riserve strategiche di componenti o beni e valutare se la capacità di picco può essere inclusa nei contratti;
  4. onshoring – identificare se aumentare o espandere la capacità interna potrebbe essere utile per ridurre i rischi;
  5. gestione della domanda – identificare se può essere utile gestire la domanda di componenti o beni, considerando sostituti e alternative, innovazione e circolarità.”[11]

In un mondo razionale e non preda di sovranismi, tutti i punti elencati potrebbero essere attivati all’interno di un accordo tra Regno Unito ed Europa, da estendere agli altri partner commerciali interessati. L’iniziativa potrebbe contribuire a predisporre gli strumenti idonei a dare una risposta a tariffe aggressive minacciate o introdotte da parte dell’amministrazione americana o da altri (Russia, Cina etc).

Il Regno Unito ha una economia fortemente basata sui servizi finanziari che sono il settore più internazionalizzato e richiedono una complessa e robusta filiera di supporto. E’ quindi comprensibile che quel paese abbia posto attenzione per primo alla resilienza delle sue supply chain. Ma anche il Regno Unito non ha fatto molto di più che attivare l’attenzione delle aziende e delle amministrazioni pubbliche. L’Europa, la cui politica industriale guarda all’estero ossia soprattutto agli Stati Uniti e alla Cina e dall’altro, al proprio interno, soprattutto a Francia e Germania, non ha percepito ancora l’importanza di lavorare speditamente sulla resilienza delle supply chain. Essa potrebbe concordare con il Regno Unito una politica di comune promozione della resilienza, lavorando proprio sulla riduzione delle tariffe, allargando la zona di libero scambio.

Questa sarebbe anche una prima efficace risposta al bullismo tariffario di Trump, e definirebbe un quadro di riferimento continentale per le risposte alle tariffe aggressive altrui.

L’indagine della Banca Mondiale indica che le aziende europee reagiscono, in ordine sparso, ai rischi di fragilità delle supply chain. Ma occorre un quadro di insieme se si vogliono definire non iniziative a livello micro, ma politiche a livello continentale, le uniche che verrebbero prese in considerazione dall’amministrazione americana.

La Banca ha predisposto una partnership, chiamata Resilient and Inclusive Supply-Chain Enhancement (RISE), per creare conoscenza e diffondere la capacità di sviluppare supply chain di servizi e prodotti sostenibili, dal punto di vista dell’energia pulita[12]. Occorre avviare a livello europeo e nazionale una analisi dello stato delle supply chain strategiche, oltre la sostenibilità. Occorre capire se, dopo i bruschi scossoni della pandemia, la nostra struttura produttiva è in grado di reggere e in che modo, agli shock che possono derivare dalla diffusione delle politiche protezioniste. Quando esse prendono piede, soprattutto se il paese che inizia il pericoloso gioco è la prima potenza economica, è impossibile fermare la catena delle ritorsioni.

Note


[1]) Alan Rappeport, Trump Tariffs Threaten to Upend Global Economic Order, The New York Times, February 2, 2025.

[2]) Chris Edwards, Republicans Should Aim for Canada-Size Cuts, Cato at Liberty, Cato Institute, February 4, 2025.

[3]) Alonso de Gortari, Disentangling Global Value Chains, National Bureau of Economic Research Working Paper no. 25868, May 2019, p. 13.

[4]) Julieta Contreras, Restricting Imports of Mexican Vehicles Will Harm US Manufacturers, RealTime Economics (blog), Peterson Institute for International Economics, 4 dicembre 2024.

[5]) Semiconductor Industry Association, Global Semiconductor Sales Increase 22.1% Year-to-Year in October; Annual Sales Projected to Increase 19.0% in 2024, Thursday, Dec 05, 2024.

[6]) Boston Consulting Group, – Semiconductor Industry Association, Emerging Resilience in the Semiconductor Supply Chain, May 2024.

[7]) SIA- OE, Chipping Away. Assessing and Addressing the Labor Market Gap Facing the U.S. Semiconductor Industry, July 2023.

[8]) SIA-OE, op cit.

[9]) Stefanie Albiez, Michael Kleinpoppen, EU Supply Chain Law – Where Do We Go From Here?

SEEBURGER blog, 20 June 2024.

[10]) Alex Hadwick, The state of European supply chains 2023. How inflation, uncertainty, and changing global economic and energy outlooks will shape European supply chain, Reuters Events, JLL, March 2, 2023.

[11]) Department for International trade, Department for Business &Trade, Guidance DBT supply chains resilience framework, 16 November 2022.

[12]) World Bank, Resilient and Inclusive Supply-Chain Enhancement (RISE), May 21, 2024.

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