La rivalità tra gli Stati Uniti e la Cina, nel quadro della competizione tecnologica, sembra essersi ancor più intensificata, a causa della ormai nota “guerra dei chip” che simboleggia uno degli aspetti più critici e complessi della governance digitale globale nell’attuale panorama geopolitico collegato all’innovazione.
Mentre entrambi i Paesi cercano di assicurarsi il dominio tecnologico in condizioni di incontrastata leadership planetaria, la cooperazione internazionale potrebbe assumere un ruolo cruciale di mediazione e sintesi corale per definire sinergicamente le politiche di regolamentazione globale, anche nell’ottica di gestire le tensioni esistenti e garantire un progresso tecnologico sostenibile e inclusivo su scala mondiale, dal momento che la realizzazione di obiettivi tecnologici, come quello che mira allo sviluppo dei semiconduttori, afferente alla supply chain chip, riguardano, tra l’altro, la sicurezza nazionale, la prosperità economica e l’influenza geopolitica nel mondo contemporaneo.
L’impatto dei semiconduttori nella quotidianità e nell’industria
L’impatto applicativo dei semiconduttori sulle vite quotidiane è indubbiamente evidente nella concreta prassi: si tratta di materiali, infatti, che si trovano nei computer, negli smartphone, nelle auto elettriche. Proprio per tale ragione, vista la loro straordinaria ubiquità, la loro produzione è diventata un elemento chiave dei rapporti internazionali in grado di orientare l’agenda politica.
Quando si parla di semiconduttori, si identificano asset strategici di importanza primaria per imprese e Stati, estremamente complessi da produrre: esistono, infatti, solo pochi Paesi al mondo che sono in grado di partecipare alle supply chain di questo settore e attorno al quale sta emergendo, appunto, un intenso confronto tra Cina e USA, sebbene come nuova variabile dalle incerte implicazioni configurabili all’orizzonte, stia di recente emergendo un maggiore protagonismo dell’Europa rispetto alla sfida dualistica tra le due storiche potenze tecnologiche, da cui potrebbe dipendere la ridefinizione di nuovi equilibri geopolitici mondiali.
Le politiche USA sui semiconduttori
Sul versante statunitense, il tema dei semiconduttori ha riassunto un’attenzione centrale nel dibattito pubblico anche alla luce delle prossime elezioni presidenziali USA, come si evince da un recente approfondimento del New York Times che, al riguardo, descrive come, allo stato attuale, la strategia dell’amministrazione Biden sia orientata a stimolare gli investimenti da realizzare nel settore, tentando di convincere anche le aziende straniere a intensificare la produzione di chip negli Stati Uniti, trovando anche altri Paesi terzi partners per perfezionare l’efficienza della relativa catena produttiva.
Ciò, peraltro, parrebbe confermare come l‘industria americana dei semiconduttori sembra trovarsi alle prese con problemi attuali di stagnazione recessiva, quali costi più elevati e un’importante crisi di manodopera: motivo per cui le mire geopolitiche statunitensi vogliono espandersi al di là dei confini nazionali, per assicurare che gli investimenti nel territorio americano siano più sostenibili nel tempo, anche nell’ottica di conseguire ulteriori obiettivi strategici correlati, come ad esempio, il dominio sulle tecnologie Green, e il primato nella produzione di batterie per veicoli elettrici, pannelli solari e turbine eoliche.
Il Chips and Science Act
Già nell’agosto 2022, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il “CHIPS and Science Act”, una legge che prevede l’erogazione di sussidi e agevolazioni fiscali per aiutare a rilanciare la catena di approvvigionamento produttivo di semiconduttori avanzati sul suolo americano, promuovendo un ampio programma di investimenti in ricerca e sviluppo da realizzare in una prospettiva temporale estesa ad un periodo dilatato di cinque anni.
Le restrizioni disposte dal Governo Usa e le ripercussioni sulle industrie
In attuazione della citata riforma, a poca distanza dall’approvazione della legge, l’amministrazione Biden, ha disposto ampie restrizioni all’esportazione in Cina di chip per indebolirne la capacità di produrre la medesima classe di circuiti integrati, nonostante, in realtà, la Casa Bianca, giustifichi tali scelte adducendo l’urgente necessità di limitare la capacità della Cina di produrre chip all’avanguardia che possano alimentare lo sviluppo di armi e altre tecnologie strategicamente importanti.
L’attuale quadro regolatorio predisposto in materia con l’intento di stimolare la produzione di semiconduttori localizzati negli Stati Uniti, compresi i produttori di chip taiwanesi e coreani, mira, pertanto, a limitare il programma di semiconduttori di Pechino, con ulteriori restrizioni sulle aziende cinesi e, in generale, su tutte le altre organizzazioni collegate al governo, grazie a un controllo burocratico senza precedenti dei flussi di capitale di rischio e dei finanziamenti azionari americani verso la Cina.
Non a caso, quando il Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio USA ha annunciato radicali ulteriori restrizioni, la battaglia per il “dominio dei chip” è entrata in una nuova fase perché – invece di bloccare semplicemente la capacità della Cina di acquisire chip avanzati – sono state vietate anche le vendite di apparecchiature per la produzione di semiconduttori (SME), al fine di limitare così ogni possibilità di produrre i propri dispositivi all’avanguardia.
È evidente, però, che simili decisioni avranno delle notevoli ripercussioni su una vasta gamma di settori industriali: la carenza di chip, infatti, potrebbe causare interruzioni nella produzione di veicoli, poiché i semiconduttori sono essenziali per i sistemi di gestione del motore, o, peggio, potrebbero aumentare i costi dei componenti elettronici.
La risposta della Cina: il piano Made in China 2025
La Cina, consapevole dell’importanza strategica dei semiconduttori, sta perseguendo una politica aggressiva di sviluppo del settore, con l’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza tecnologica.
Il governo cinese ha, infatti, lanciato il piano “Made in China 2025”, che qualifica i semiconduttori come settore prioritario, prevedendo un ampio utilizzo di sussidi governativi, nell’ottica di incentivare la mobilitazione di imprese statali per raggiungere e poi superare le capacità tecnologiche occidentali nelle industrie avanzate (tra cui l’industria delle auto elettriche e altri veicoli a nuova energia, la tecnologia informatica e le telecomunicazioni di nuova generazione, nonché la robotica avanzata e l’intelligenza artificiale). Si tratta di settori centrali per la cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” riferibile all’integrazione di big data, cloud computing e altre tecnologie emergenti nelle catene di fornitura manifatturiere globali.
Le strategie europee: l’European Chips Act
Per tale ragione, è possibile considerare l’industria dei chip il principale traino propulsivo della globalizzazione, sebbene i desideri espansionistici di supremazia dettati da logiche di geopolitica sembra abbiano cominciato a innalzare confini dove non c’erano.
Anche la risposta europea non è tardata ad arrivare: infatti riconoscendo l’importanza dei semiconduttori, le istituzioni euro-unitarie hanno lanciato il cd. “European Chips Act”, un ambizioso piano da quasi 50 miliardi di euro per ridurre la dipendenza tecnologica dai giganti asiatici.
L’obiettivo, infatti, è portare la quota europea nella produzione globale di semiconduttori dal 10% attuale al 20% entro il 2030.
L’European Chips Act prevede, inoltre, investimenti significativi in ricerca e sviluppo, nonché la creazione di un cd. “Mega fab” in grado di produrre chip da due nanometri sul territorio europeo, la revisione delle regole in materia di aiuti di Stato e l’adozione di appositi meccanismi di sicurezza dell’approvvigionamento, puntando sulla formazione e sullo sviluppo del capitale umano per colmare il gap di competenze nel settore.
La strategia europea rappresenta, quindi, un tentativo ambizioso di affermare la rilevanza tecnologica del “vecchio continente”, pur a fronte di sfide significative ed estremamente complesse da prendere in considerazione, poichè si pone la necessità di competere con performanti economie di scala, tenuto conto dell’esperienza consolidata raggiunta da esperti produttori asiatici.
Il ruolo dell’Italia nella produzione globale di semiconduttori
L’Italia, nel frattempo, pur non essendo attualmente annoverata tra i leader mondiali nella produzione di semiconduttori, sta cercando di ritagliarsi un ruolo significativo, producendo circa il 2% dei chip a livello mondiale, con un fatturato di circa 5 miliardi di euro annui, anche grazie alla presenza di aziende di rilievo, come STMicroelectronics.
I punti di forza dell’Italia includono una solida base di ricerca e innovazione, con il Politecnico di Milano che si posiziona al 15° posto tra le università europee per pubblicazioni nel settore dei semiconduttori, e nicchie di eccellenza in settori, come la microelettronica per l’automotive e l’industria.
Si potrebbe fare di più? Certamente, non è un caso che l’Italia e l’Europa, continuino a rappresentare, in fondo, il fanalino di coda a causa di un continuo ritardo in investimenti e innovazioni come “tallone d’Achille” destinato a non sparire, rispetto a differenti scelte strategiche che, altrove, mireranno sempre più in alto.
Competizione o cooperazione? Il futuro della geopolitica dei chip
Sicuramente, la direzione futura della guerra dei chip dipenderà da vari fattori, tra cui il concreto orientamento di efficaci politiche governative, le dinamiche di mercato e le strategie delle aziende tecnologiche.
Mentre l’antagonismo tra Stati Uniti e Cina è destinato a persistere, almeno in linea teorica esistono opportunità per realizzare un equilibrio tra competizione e cooperazione, che potrebbe portare a un futuro tecnologico più stabile e – si spera – più prospero per tutti i Paesi e cittadini nel mondo.