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La libertà dei media nel mondo digitale: EMFA è l’inizio di un percorso

La proposta di regolamento Ue European Media Freedom Act (EMFA), se verrà approvata, potrebbe generare un progresso nel sistema europeo dei media e a favore del pluralismo dell’informazione. Ecco come intende costruire un “modello europeo”

Pubblicato il 29 Mar 2023

Augusto Preta

Founder e CEO ITMedia Consulting – Direttore International Institute of Communications

European Media Freedom Act (EMFA)

L’European Media Freedom Act (EMFA) si inquadra in un percorso legislativo particolarmente innovativo ed ambizioso, volto alla costruzione di un “modello europeo” per la disciplina dei media in ambiente digitale. Affronta il delicato tema della libertà e dell’indipendenza dei media.

Ecco perché la proposta di regolamento, se approvata, potrebbe rappresentare un grande passo in avanti nel sistema europeo dei media e per il pluralismo dell’informazione.

European Media Freedom Act

European Media Freedom Act

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La frammentazione della regolamentazione sui media

Sebbene la libertà e il pluralismo siano corollari del diritto fondamentale alla libertà di espressione, né i “media” né il “pluralismo” hanno definizioni  coerenti in tutta l’UE.

Il principio del pluralismo dei media è stato finora affrontato quasi esclusivamente a livello nazionale, creando una frammentazione a livello di singoli ordinamenti giuridici. Inoltre la varietà di approcci prevede combinazioni di regolamentazione pubblica, autoregolamentazione, norme nazionali, sovranazionali e subnazionali. Alcune di esse riguardano direttamente la libertà dei media. Invece altre si occupano di altri settori come le telecomunicazioni, la regolamentazione delle piattaforme, il diritto d’autore o persino la protezione dei dati.

In questo contesto, l’economia digitale delle piattaforme ha rimodellato il modo in cui i contenuti vengono creati, distribuiti e consumati. In particolare, quando il web viene utilizzato per condividere e/o distribuire video, si può osservare una certa varietà di approcci definitori. Alcuni servizi vengono qualificati come “piattaforme di condivisione video”, mentre in altri contesti vengono semplicemente definiti “piattaforme digitali”. O ancora, altri servizi che contengono sempre più spesso contenuti audiovisivi condivisi dagli utenti, si definiscono “piattaforme di social media”.

Poiché la direttiva AVMS non disciplina l’esecutività delle decisioni nazionali relative alle restrizioni dei servizi di Paesi terzi sotto la giurisdizione dell’UE e non affronta affatto tali questioni in relazione ai fornitori al di fuori della giurisdizione dell’UE, nello scenario di base l’UE non disporrebbe di un meccanismo efficace per proteggere il proprio mercato interno da tali fornitori.

Anche il nuovo Codice sulla disinformazione presenta dei limiti, visto il legame molto stretto tra i servizi resi dalle piattaforme online, che per loro natura sono transfrontalieri, perché forniti via Internet, e quelli forniti agli utenti, che invece sono “reali”, “concreti” e ordinariamente situati in un luogo fisico chiaramente identificabile.

Ciò ha un impatto su alcuni principi di diritto pubblico e dell’Unione europea, in primo luogo il principio della libera prestazione di servizi, che oggi devono essere ripensati per rispondere alle nuove sfide poste dal funzionamento delle piattaforme online.

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Il rischio di sovrapposizione con DSA e DMA

Si è cercato, pertanto, attraverso il DSA e il DMA, di imporre regole che potrebbero fungere da supporto alle politiche di salvaguardia della libertà e del pluralismo dei media. Tuttavia, grazie al loro ampio campo di applicazione, il DSA e il DMA non affrontano il monitoraggio e la gestione dei rischi specifici dei media online. O le differenze nei sistemi di misurazione dell’audience, in particolare per quanto riguarda la trasparenza delle metodologie di misurazione utilizzate. Infatti il DMA non richiede specificamente ai gatekeeper che effettuano la misurazione dell’audience di condividere le loro metodologie con i partner, comprese le società di media.

Inoltre, il DSA non riconosce specificamente il ruolo del Gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (ERGA) nel suo approccio coordinato al monitoraggio e alla valutazione di tali rischi.

Più importante, queste regole non affrontano l’impatto che le operazioni di mercato potrebbero avere sul pluralismo o sull’indipendenza dei media.

Da ultimo, nel contesto della regolamentazione del mercato unico digitale, in particolare delle piattaforme digitali dominanti e dei gatekeeper, il diritto della concorrenza non è adatto ad affrontare le preoccupazioni relative ai diritti fondamentali che sono in gioco.

Visti i limiti della legislazione europea sul pluralismo dei media e dell’attuale strumentazione della Commissione, già nel 2021, in un discorso pronunciato davanti alla commissione cultura e istruzione del Parlamento europeo, il commissario Thierry Breton aveva espresso la convinzione che l’UE dovrebbe completare il proprio arsenale legislativo, al fine di garantire che la libertà e il pluralismo dei media siano i pilastri delle nostre democrazie.

L’invito della Commissione europea

La Commissione ha lanciato un invito a presentare contributi per una valutazione d’impatto e una consultazione pubblica, conclusasi a fine marzo 2022, che ha portato alla proposta così come la conosciamo oggi nel settembre 2022.

Per quanto concerne lo strumento legislativo proposto dalla Commissione europea, l’opzione del regolamento pare configurarsi come lo strumento più idoneo per perseguire una uniforme applicazione di norme, destinate ad essere applicate anche nei confronti di soggetti operanti in più di uno Stato membro.

Volendo tutelare le specificità nazionali, siano esse costituzionali, di mercato o di natura socio-culturale, in linea con i principi generali di sussidiarietà e proporzionalità, la proposta pone dei principi generali piuttosto che specifiche norme di dettaglio direttamente applicabili.

L’EMFA dunque si limita alle questioni per le quali gli Stati membri non possono raggiungere soluzioni soddisfacenti da soli, stabilendo un rapporto tra le regole del mercato e la protezione dei diritti fondamentali.

Ciò è coerente con l’articolo 11 (2) della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che non conferisce nuovi poteri o compiti all’UE nel campo dei diritti e dei principi fondamentali, rimanendo gli Stati membri i principali responsabili della protezione di questi valori nella loro giurisdizione.

Infatti, pure ai sensi dell’articolo 167, paragrafo 1, e dell’articolo 6, lettera c), del TFUE, l’UE può limitarsi a svolgere azioni di sostegno, coordinamento o integrazione delle azioni intraprese a livello nazionale per promuovere le politiche dei media.

European Media Freedom Act (EMFA): la proposta

La base giuridica della proposta è pertanto da individuarsi nell’articolo 114 del TFUE, con il quale la Commissione europea tenta di perseguire l’obiettivo del completamento del mercato interno attraverso l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, coerentemente con gli obiettivi di tutela di pluralismo informativo, ove si assuma una dimensione geografica sovranazionale. L’unica dimnensione coerente con le nuove modalità digitali di diffusione dei media e di circolazione dell’informazione.

Infatti, la diffusione capillare dei nuovi servizi e dei nuovi operatori su scala globale ha avuto un impatto dirompente sui confini geografici dei mercati e della regolamentazione rilevante, dal momento che molti servizi e contenuti audiovisivi sono offerti ai cittadini europei da operatori che non sono stabiliti nello stesso Paese (o addirittura nello stesso continente) in cui vengono consumati.

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Il principio del Paese di origine

Il principio del Paese di origine ha costituito finora la pietra angolare della regolamentazione europea della disciplina dei contenuti. Prevede che un operatore che si stabilisce in uno Stato membro soggiace alle regole di quello Stato membro, anche se poi esercita la propria attività anche in uno Stato diverso.

Questo principio mostra i suoi limiti se riferito a piattaforme che offrono servizi digitali su scala globale. Pertanto andrebbe ripensato prevedendo dei correttivi che consentano di regolamentare in modo efficace i media e le piattaforme online anche da parte degli Stati cui sono indirizzati i servizi/contenuti diffusi da tali soggetti.

L’EMFA muove alcuni passi proprio in questa direzione, definendo i medesimi obblighi e le medesime disposizioni per tutte le piattaforme, a prescindere dallo Stato in cui esse hanno stabilito la propria sede, facendo un importante passo verso la realizzazione di un “level playing field” tra media online e offline, nonché verso l’estensione di una regolazione settoriale dell’attività “mediatica” delle piattaforme digitali.

Tuttavia, la proposta sembra mancare di una discussione dettagliata sulle misure nazionali che limitano effettivamente la libertà di fornire servizi di media, né viene effettuata un’analisi basata su prove per stabilire in che misura i fornitori interessati siano scoraggiati dal penetrare nel mercato di un altro Stato membro.

C’è chi ritiene che una direttiva – invece di un regolamento – possa essere più appropriata nel considerare appieno le peculiarità delle diverse legislazioni nazionali.

La definizione di media

Controversa appare la definizione di “media service”, ovvero “un servizio, come definito dagli articoli 56 e 57 del Trattato, il cui scopo principale consiste nel fornire al pubblico, con qualsiasi mezzo, programmi o pubblicazioni a mezzo stampa al fine di informare, intrattenere o istruire, sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi di media”.

Questa definizione, introdotta per la prima volta da questa proposta legislativa, rischia di sovrapporsi ad altre definizioni presenti in altre legislazioni. Come le “pubblicazioni a carattere giornalistico” ai sensi della Direttiva sul diritto d’autore (che esclude i periodici pubblicati per scopi scientifici o accademici) e i “servizi di media audiovisivi” come definiti nella direttiva AVMS.

Pertanto, alcuni hanno posto la necessità che le definizioni siano precise e non soggette a potenziali interpretazioni successive, per evitare casi di frammentazione normativa e per ottenere un approccio armonizzato all’attuazione e all’applicazione della misura.

Uno degli obiettivi primari dell’EMFA è quello di rafforzare la libertà editoriale delle aziende mediatiche e proteggerle da misure nazionali ingiustificate, sproporzionate e discriminatorie, salvaguardando il
pluralismo e la figura dei giornalisti a livello UE.

È quanto previsto dall’articolo 4, che tuttavia richiede agli Stati membri di organizzare una revisione ex post da parte di un’autorità o di un organismo indipendente per gestire i reclami presentati dai fornitori di servizi di media in materia di protezione delle fonti, piuttosto che un controllo ex ante da parte di un giudice, di un tribunale o di un altro organo indipendente e imparziale. E non impone criteri di sussidiarietà e proporzionalità nei casi in cui un ordine di divulgazione, una sanzione, una perquisizione, un sequestro, una sorveglianza o un’ispezione possono essere giustificati.

Art. 4: il conflitto con il diritto penale nazionale

Con riferimento all’impiego di spyware e all’elusione delle garanzie di protezione delle fonti giornalistiche, alcuni Stati membri hanno sollevato dubbi sul potenziale conflitto tra l’articolo 4 dell’EMFA e il rispettivo diritto penale nazionale. Così è necessario un ulteriore esame interno.

Si sostiene altresì che mentre il preambolo della bozza di regolamento afferma che tutti i giornalisti e i redattori, compresi i freelance, devono essere inclusi tra i soggetti tutelati, ciò non avviene nella pratica, poiché non viene fornita alcuna definizione di “giornalista” all’interno degli articoli del regolamento.

Di particolare rilievo è l’articolo 5 della proposta, ove è stato previsto in capo agli Stati membri – e non più direttamente ai media di servizio pubblico (PSM) – l’obbligo di garantire che i rispettivi fornitori di servizi pubblici offrano in modo indipendente e imparziale una pluralità di informazioni e opinioni al loro pubblico, conformemente al loro mandato.

L’EMFA propone inoltre che i finanziamenti forniti al PSM siano adeguati e stabili, garantendo così l’indipendenza editoriale da influenze politiche di parte. Secondo il Considerando 18 dell’EMFA, i finanziamenti dovrebbero essere decisi e stanziati preferibilmente su base pluriennale. In linea con la missione di servizio pubblico.

Il servizio pubblico secondo l’European Media Freedom Act

Per quanto riguarda la supervisione delle norme relative ai fornitori di PSM, spetta a ciascuno Stato membro designare una o più autorità o organismi indipendenti che possono essere diversi dalle autorità di regolamentazione dei media. Questo approccio mira a tenere conto delle specificità nazionali relative alla supervisione dei PSM.

L’EMFA sembra quindi adottare la logica piuttosto consolidata secondo cui le emittenti di servizio pubblico garantiscono un dibattito equilibrato e diversificato di cui tutti i cittadini dovrebbero poter beneficiare.

Tuttavia, la moltiplicazione degli operatori, nella logica di un libero mercato potrebbe comportare un ridimensionamento dell’influenza e della centralità dei media pubblici in assenza di valide strategie di riposizionamento dell’attore pubblico sulla rete.

Il tema della prominence è presente solo nella Direttiva AVMS e non necessariamente garantita per i PSM dall’EMFA, dove è trattato solo marginalmente all’articolo 15 (2) e al Considerando 28. I dispositivi e le interfacce digitali come i televisori connessi, i telecomandi o i comandi vocali, che mediano o gestiscono l’accesso e l’uso dei servizi media, agiscono come importanti gatekeeper tra i media stessi e il loro pubblico.

L’orientamento di questi dispositivi verso obiettivi puramente commerciali penalizza l’individuazione di contenuti improntati all’interesse generale e al pluralismo. Come quelli tipicamente provenienti dai PSM.

I dettagli dell’European Media Freedom Act

A questo proposito, l’articolo 19 dell’EMFA afferma che i destinatari dei servizi dovrebbero avere la possibilità di modificare, in modo semplice e facile da usare, le impostazioni predefinite di un dispositivo o di un’interfaccia utente che controlla e gestisce l’accesso e l’uso dei servizi di media audiovisivi.

Inoltre, i cittadini dovrebbero anche essere in grado di identificare facilmente chi ne ha la responsabilità editoriale. Infatti la mancata attribuzione dei contenuti alla fonte da parte delle piattaforme o la non corretta attribuzione di loghi e marchi privano i cittadini di un elemento essenziale per giudicare le informazioni che vedono e ascoltano.

L’EMFA dovrebbe quindi includere l’obbligo di garantire che l’identità dei fornitori di servizi media sia chiaramente visibile (per esempio, loghi/marchi) accanto ai loro contenuti e servizi quando vengono offerti su dispositivi digitali e interfacce che controllano o gestiscono l’accesso e l’uso dei servizi mediatici.

Per adempiere agli obblighi di universalità, il ruolo dei PSM non dovrebbe essere limitato alla fornitura di “informazioni di qualità”. Ma dovrebbe estendersi a una gamma completa di contenuti per adattarsi alle esigenze del pubblico e agli sviluppi tecnologici e di mercato.

In tal senso, i PSM dovranno garantire che i loro sistemi algoritmici siano adeguatamente distanziati da interessi commerciali e personali o politici. Dovranno anche mantenere l’indipendenza editoriale, evitando un impatto negativo sull’indipendenza della loro governance.

È senz’altro vero che un numero crescente di PSM sta sviluppando un proprio sistema di raccomandazione algoritmica per migliorare l’accessibilità e l’esposizione dei propri contenuti. Ma gli algoritmi sollevano dubbi su uno dei valori fondamentali del PSM, ovvero l’indipendenza editoriale.

Le attività di selezione, classificazione e moderazione dei contenuti comportano spesso scelte non neutrali, del tutto paragonabili a quelle, di natura editoriale, dei media “tradizionali”. Tuttavia, a causa del loro ruolo di servizi di intermediazione e della mancanza di responsabilità editoriale, le piattaforme e gli aggregatori non sono soggetti, di norma, agli obblighi derivanti dalla legge sui media.

I fornitori di servizi di media e le piattaforme sono spesso in concorrenza per lo stesso pubblico. I primi devono sostenere costi significativi per prevenire i rischi (per esempio, assicurando che i loro servizi siano allineati con gli standard di contenuto e le restrizioni di proprietà). Inoltre devono conformarsi alle decisioni adottate dall’autorità di regolamentazione competente.

L’European Media Freedom Act: il “privilegio” dei media

L’attuale proposta di articolo 17 si basa sul principio che le piattaforme commerciali online, in gran parte prive di responsabilità editoriale, non dovrebbero essere autorizzate a rimuovere i contenuti provenienti dai fornitori di servizi di media che hanno responsabilità editoriale, sono editorialmente indipendenti dagli Stati membri e dai Paesi terzi e aderiscono a standard professionali ampiamente riconosciuti e accettati.

Secondo l’articolo 17 dell’EMFA, le piattaforme online di grandi dimensioni devono consentaire ai fornitori di servizi di media di dichiarare il proprio status in base alla definizione contenuta nella bozza.

In primo luogo, rientrano nella definizione dell’EMFA (forniscono un servizio mediatico, hanno la responsabilità editoriale e ne determinano l’organizzazione). In secondo luogo, sono editorialmente indipendenti dal governo di qualsiasi Stato.

Ciò ha lo scopo di escludere il privilegio per i canali di propaganda di Stato. In terzo luogo, essi si assoggettano agli obblighi derivanti dalla responsabilità editoriale, siano essi derivanti da requisiti normativi in uno o più Stati membri o da un meccanismo di co-regolamentazione o autoregolamentazione ampiamente riconosciuto e accettato nel settore dei media in questione in uno o più Stati membri.

A condizione che questi requisiti cumulativi siano soddisfatti, ai fornitori di servizi di media sono concessi due privilegi principali: (i) quando una piattaforma online di grandi dimensioni decide di sospendere la fornitura dei propri servizi a un fornitore di servizi di media sulla base del fatto che il suo contenuto pubblicato è incompatibile con i termini e le condizioni della piattaforma, deve comunicare al fornitore di servizi di media interessato una motivazione “prima che la sospensione abbia effetto”.

Inoltre, i reclami dei fornitori di servizi di media devono essere “trattati e decisi in via prioritaria e senza ritardi ingiustificati”; (ii) se un fornitore di servizi di media “ritiene” che una piattaforma online di grandi dimensioni limiti o sospenda frequentemente la fornitura dei suoi servizi senza motivi sufficienti, la piattaforma deve “avviare un dialogo significativo ed efficace con il fornitore di servizi di media su sua richiesta, in buona fede, al fine di trovare una soluzione amichevole per porre fine a restrizioni o sospensioni ingiustificate ed evitarle in futuro”.

Il dibattito dell’Art. 17 dell’European Media Freedom Act

In primo luogo, la Commissione sembra utilizzare il criterio del “controllo editoriale” per distinguere tra fornitori di servizi di media e piattaforme online di grandi dimensioni, sottintendendo l’idea che il controllo editoriale sia un “privilegio” delle organizzazioni dei media (o un compito svolto da queste ultime).

Inoltre, se i media “editoriali” fossero effettivamente al centro dell’attenzione dell’EMFA, ciò potrebbe incidere significativamente sulla concorrenza nei mercati dei contenuti (giornalistici). In caso di adozione di potenziali restrizioni alla proprietà, e se tali restrizioni fossero imposte solo ai media “editoriali”, tutto questo potrebbe incidere sulle asimmetrie normative nei mercati dei media online.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, qualora le piattaforme online di grandi dimensioni decidano di sospendere la fornitura dei loro servizi di intermediazione online in relazione ai contenuti forniti da un fornitore di servizi di media, in quanto tali contenuti sono incompatibili con i loro termini e condizioni, devono adottare tutte le misure possibili per comunicare al fornitore di servizi di media interessato la motivazione che accompagna tale decisione, come richiesto dall’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento “Platform-to-Business” (P2B) sulla promozione dell’equità e della trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online.

Non è chiaro perché questo obbligo debba essere incluso in una normativa specifica del settore, soprattutto in considerazione del fatto che il regolamento P2B si applica indipendentemente dalle dimensioni della piattaforma (ad esempio, non è limitato alle piattaforme online di grandi dimensioni).

Per quanto riguarda poi il primo obbligo in capo alle piattaforme, si può osservare come esso abbia alcuni collegamenti con l’esenzione per i media, un punto chiave ampiamente discusso durante i dibattiti intorno al DSA.

Molti oppositori dell’esenzione per i media sostengono che l’articolo 17 dell’EMFA possa essere un compromesso rispetto alla proposta di esenzione per i media del DSA, o uno sforzo per affrontare una delle carenze del DSA.

Il DSA richiede già alle piattaforme di fornire meccanismi di notifica e di azione e di fornire “ragioni” chiare e specifiche per la rimozione o la sospensione dei contenuti. Il DSA, tuttavia, specifica che le piattaforme devono gestire le segnalazioni ricevute in modo tempestivo, efficiente e non arbitrario.

È chiaro che il meccanismo proposto ai sensi dell’articolo 17 mira a dotare i fornitori di servizi di media di una migliore base di partenza nella lotta contro la rimozione palese di contenuti da parte di piattaforme online molto grandi.

Tuttavia, se l’EMFA venisse adottato come proposto, il sistema istituito nell’ambito del DSA, comprese le regole di moderazione dei contenuti e un meccanismo di reclamo, risulterebbe frammentato e più difficile da applicare.

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L’ambivalenza dell’approccio normativo e il dibattito

L’ambivalenza che caratterizza, più in generale, l’approccio normativo alle piattaforme e il dibattito che lo circonda, si ripresenta in questo caso. Da un lato, il legislatore mira a regolamentare le Big Tech, quindi, a farle rientrare nelle proprie competenze, dall’altro chiede loro di svolgere compiti e prendere decisioni “al suo posto”.

Questa soluzione si presta ad una serie di critiche, in quanto non tiene conto della disponibilità e della natura degli strumenti attraverso i quali le grandi piattaforme digitali dovrebbero effettuare tale valutazione.

Sembra quindi che l’EMFA contempli un requisito quasi impossibile da valutare in modo corretto e coerente da parte delle piattaforme online di grandi dimensioni nell’attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo 17.

Alcune piattaforme hanno creato un insieme di regole che definiscono ciò che può o non può essere condiviso sulle piattaforme. E tutti gli utenti si impegnano a rispettare al momento della registrazione. Oltre a queste regole, queste piattaforme si basano sulle segnalazioni degli utenti. Appositi strumenti predisposti per gli utenti, facilmente accessibili e utilizzabili permettono di effettuare segnalazioni, controllarne lo stato, verificarne l’esito e presentare ricorsi.

La definizione di piattaforma online di grandi dimensioni

La definizione è piuttosto rigida. Comprende le piattaforme che hanno 45 milioni di utenti attivi mensili.

Non si applicano altri criteri, compresi i parametri qualitativi, per qualificare una piattaforma come piattaforma online di grandi dimensioni.

Di conseguenza, l’approccio suggerito dalla proposta dell’EMFA non tiene conto del fatto che possono esistere piattaforme che non raggiungono tale soglia. Ma sono comunque popolari per il consumo di contenuti giornalistici e possono variare da uno Stato membro all’altro.

Pertanto, la Commissione dovrebbe considerare attentamente due questioni riguardanti l’ambito di applicazione dell’EMFA:

  • quali piattaforme diffondono e/o influenzano la distribuzione e il consumo di contenuti mediatici;
  • le asimmetrie normative che l’EMFA dovrebbe evitare.

In altre parole, la Commissione dovrebbe valutare i livelli di sostituibilità tra piattaforme e media “editoriali” e agire di conseguenza.

Conclusioni

L’EMFA è pienamente compatibile con la legislazione europea esistente. Infatti esiste un chiaro rischio di sovrapposizione con alcune misure di recente approvazione e di ampia portata, quali ad esempio il DSA, il DMA, il Codice di condotta contro la disinformazione, la direttiva AVMS e la direttiva copyright.

Una volta risolti questi problemi attraverso una loro migliore armonizzazione, la proposta di regolamento, se approvata, segnerebbe un deciso passo in avanti nel sistema europeo dei media e per il pluralismo dell’informazione.

A fronte di un impatto marginale sugli ordinamenti nazionali più avanzati, il regolamento e la sua spinta di armonizzazione andranno ad incidere profondamente su quei Paesi che hanno avuto maggiori difficoltà nell’introdurre nel loro sistema giuridico ed istituzionale adeguati e condivisi principi di pluralismo informativo e di libertà dei media.

L’iter legislativo europeo, anche attraverso un dialogo con i legislatori nazionali, potrà certamente condurre ad un miglioramento del testo del regolamento in relazione ai punti chiave e più critici qui analizzati.

Sarà importante garantire, nel corso del dibattito istituzionale in corso, una maggiore chiarezza. In particolare, riguardo ad alcune disposizioni, tra cui la definizione di fornitori di servizi di media, le disposizioni sulla misurazione dell’audience, e il funzionamento effettivo dell’autodichiarazione dei fornitori di servizi di media, come pure i vari strumenti di tutela che da essa derivano.

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