Il termine servitizzazione è la versione italiana di un termine già in inglese irregolare, che nasce dalla fusione di due parole “service” (servizio) e “ization” (attuazione dello stesso). In pratica, indica la trasformazione di un’impresa in grado modificare la propria struttura, i propri processi e la propria organizzazione, destinata a supportare la vendita di un prodotto diventando un sistema in grado vendere servizi a valore, integrati e legati al prodotto stesso. L’impresa diviene quindi un sistema integrato e adattativo, capace di interagire con una molteplicità indeterminata di clienti e le loro specifiche esigenze, grazie ad una serie di potenzialità connesse alla pervasività delle nuove tecnologie dell’informazione: virtual design, remote product servicing and control, ecc.
Servitization, come ci siamo arrivati
La realizzazione pratica di tale modello è avvenuta addirittura prima che diventasse un fenomeno riconosciuto: uno dei primi esempi di “servitization” risale alla fine degli anni ’70, quando la Bristol Siddely Engines, acquisita dalla Rolls-Royce, offre un modello di business “pay-per-flying-hour contacts” ovvero basato sulle ore di utilizzo e non più sulla vendita dello stesso (Kowalwoski et al., 2017).
Negli anni ‘90 IBM intraprende la più profonda e “spettacolare” trasformazione passando da essere il numero uno nella vendita di hardware, ad essere il numero uno nella vendita di servizi nell’ambito dell’Information Technology (Kowalkowski et al., 2017; Perona et al., 2017) e Xerox ha introdotto servizi pay-per-use (pay-per-Copy) a supporto del suo nuovo prodotto. Il modello di business di Xerox si è successivamente trasformato da pay-per-use a un modello di business basato sulle annualità, concentrandosi sui ricavi ricorrenti e sulla generazione di cassa creando contratti di servizi, di manutenzione, di forniture di consumabili e di finanziamento. Alla base del complesso fenomeno è l’intreccio dinamico di mutamenti tecnico-scientifici e l’evoluzione dell’ambiente competitivo: aziende “product-centric”, il cui core business è basato quasi esclusivamente sul valore dei loro prodotti, non possono più competere solo in termini di costi e prezzi finali, perché la natura sempre più complessa e multi-technology dei beni rende il mercato molto più ricettivo dei servizi annessi ad un prodotto rispetto alla vendita dello stesso.
Elementi peculiari e implicazioni della trasformazione
In un‘ampia analisi di 10.078 imprese di 23 Paesi Neely (2007) individua tre elementi peculiari di questo processo di trasformazione:
- significative differenze tra i vari Paesi nel grado di “servitizzazione” dell’industria manifatturiera;
- elevata varietà delle forme di servizi offerti;
- evidenza che le imprese più grandi, misurate per fatturato e addetti, mostrano una più alta probabilità di superare il modello “product-centric”.
È opportuno allora affrontare, dopo dieci anni, alcune domande-questioni:
- quali sono i fattori che spingono verso la servitizzazione?
- Quali le implicazioni per la configurazione delle imprese e l’evoluzione delle competenze?
- Quali le opportunità e i vantaggi?
- Quali infine i rischi potenziali?
Per quanto riguarda i primi, già Vandermerwe e Rada (1988) delineavano pressioni competitive emergenti verso la ricerca della differenziazione offerta rispetto ai competitori, quindi la creazione di elementi innovativi e la fidelizzazione della domanda, grazie all’agire simultaneo di queste componenti e alla conseguente elevata qualità delle performance dei prodotti. È chiaro che l’insieme di tali fattori interagenti possono costituire una potente leva per conseguire vantaggi competitivi e al tempo stesso costituire da deterrente rispetto all’entrata sul mercato di nuovi attori, anche se il loro perseguimento richiede un impiego considerevole di risorse materiali e immateriali, unitamente ad una trasformazione dei modelli strategici ed operativi.
Differenziazione attraverso l’innovazione
Prima di affrontare questo tema, però, è interessante riprendere argomenti sviluppati da Frambach et al (1997) e Wise e Baumgartner (1999). La ricerca di differenziazione tramite l’offerta di servizi innovativi è uno strumento efficace per ovviare alla perdita di propulsione competitiva durante il ciclo di vita di un prodotto. Per questa via essa può garantire una più duratura e consistente profittabilità, specie nelle fasi di domanda in rallentamento o stagnante. A tale scopo, come sostengono Wise e Baumgartner (1999), quella che loro chiamano la “base installata” di un prodotto, ovvero l’insieme organizzato delle risorse fisiche e immateriali, può essere ulteriormente valorizzata aggiungendo funzionalità e servizi innovativi per una domanda molto diversificata, da cui deriva un incremento di profittabilità.
Come cambiano le imprese con la servitization
Se la strada è così tracciata fin dagli anni ’90, la corsa verso la servitization diviene agevole? Gli studi empirici rendono il quadro un po’ più complesso. Passiamo così al secondo punto prima indicato: come cambiano le imprese che effettuano questa scelta strategica? Le alternative non sono univoche, come mostra una ricca analisi di Perona et al. (2017). Se nei primi tempi si è profilata l’alternativa tra l’opzione di uno sviluppo tutto interno delle competenze e degli skills necessari per l’offerta di servizi innovativi (“system seller”) e quella di combinare competenze esterne ed interne (“system integrator”), nel corso degli anni si è sviluppata anche la tendenza a creare partnership e alleanze strategico-operative tra aziende, sub-fornitori, clienti. In sostanza, emerge una elevata varietà di forme organizzative per realizzare il passaggio “dall’innovazione di prodotto all’innovazione nella ricerca di soluzioni” (Shepherd e Ahmed, 2000). Il nuovo secolo si apre quindi con un potenziale crescente di opportunità di business, che possono essere colte solo se unite a innovazioni organizzative, tecno-economiche e culturali di notevole impatto. Si pensi solo alle implicazioni in termini di cultura aziendale di una strategia incentrata sul total care program (competenze tutte interne), come quelle della Dell e della Rolls Royce. La IBM ha invece adottato una strategia mista, inizialmente basata sullo sviluppo interno e successivamente sostituita con spin-off (Lexmark) e acquisizioni della PWC e di molte società di software. Un differente approccio misto è stato quello scelto dall’Apple, incentrato sullo sviluppo interno di tecnologie e la creazione di un ecosistema di sviluppatori di software. Xerox e General Electric hanno invece privilegiato la leva delle acquisizioni esterne di competenze e società.
I problemi da valutare prima di avviarsi alla servitization
Nel trattare il quesito posto non si può tralasciare di riflettere che il passaggio da produttori a entità in grado di offrire soluzioni complesse non è un processo sempre indolore. Rassegne empiriche internazionali (Gebauer et al., 2005; Neely, 2008, 2013) mettono evidenza una serie di problemi che le imprese dovrebbero prendere in considerazione prima di effettuare scelte: occorrono forti investimenti e quindi si incontrano costi elevati, talvolta con esiti inferiori alle attese in termini di ricavi e profitti, fenomeno chiamato service paradox (Gebauer et al., 2005), successivamente articolato in termini di “più fatturato, meno profitti netti” (Neely, 2008). Al tempo stesso la varietà delle forme organizzative pone non irrilevanti problemi di evoluzione delle culture manageriali, integrazione strategica e di controllo della dinamica delle competenze. Una trasformazione del genere è forse la trasformazione più ambiziosa e dirompente per un’impresa, in quanto tocca tutti i livelli e tutte le sue componenti, perché investe la cultura aziendale, in quanto tutte le entità aziendali devono smettere di pensare in termini di prodotto e pensare in termini di servizio. Questo cambiamento è profondo perché, mentre per la produzione ciò che interessa sono i processi produttivi, gli strumenti e le tecnologie utilizzate per tale processo, nel servizio l’asset principale sono le persone. L’azienda non parla più con il proprio cliente attraverso il suo prodotto, ma attraverso le persone che erogano i servizi offerti.
L’organizzazione deve essere ridisegnata al fine di erogare determinati servizi e il segmento organizzativo dedicato ad essi deve essere sufficientemente autonomo e godere di una certa libertà, senza “subire” la componente più consolidata e già presente, dedicata ai prodotti.
La strategia di vendita di un servizio è diversa da quella per un prodotto, ma dobbiamo pensare che viene proposta qualcosa del tutto nuovo, non il tradizionale prodotto né un puro servizio avulso dal prodotto stesso. Bisogna tenere anche presenti due aspetti fondamentali:
- le metriche di misurazione cambiano a vari livelli: efficacia delle campagne, profittabilità delle vendite, calcolo dei costi, ecc.
- Processi come l’assistenza post-vendita devono essere ridisegnati per supportare il nuovo modello (Greenberg, 2002).
Riflettiamo velocemente su un caso: l’IBM ha impiegato una decina di anni ad attuare la completa trasformazione che oggi la porta ad offrire servizi, come ad esempio Watson Health, una soluzione basata sul Machine Learning completamente in Cloud, dedicata al campo medico, oppure soluzioni di Quantum Computing, sempre in Cloud. Queste soluzioni sono esemplificative del cambiamento di paradigma attuato da un’azienda che ha inventato il mainframe e che quindici anni fa era leader nella produzione di hardware. L’esempio vuole mettere in evidenza come trasformazioni di questo tipo non sono veloci né indolori.
I benefici della servitization
Se quelle appena illustrate sono tra le implicazioni più importanti del processo di servitization, quali possono essere i benefici? Innanzitutto l’andamento del fatturato per un modello incentrato sui servizi è molto più stabile di quello product-centric. Una delle componenti fondamentali è infatti la creazione di rapporti stabili con la clientela, sulla base di feedback ripetuti nel corso del tempo. Esiti favorevoli di questo tipo favoriscono poi la crescita della reputazione aziendale e quindi dell’immagine sul mercato, peraltro con uno stimolo incessante all’innovazione continua in relazione ai problemi e alle istanze poste dai committenti. Scambi di informazioni e conoscenze favoriscono l’interazione reciproca e il dinamismo congiunto, con effetti positivi per tutti gli attori. Non va inoltre trascurato il fatto che i feedback loop con una pluralità di attori generano sempre nuove opportunità, quindi dinamica manageriale e nuovi modelli di business. Per questa via è poi logico attendersi, come viene dimostrato da Gebauer (2007), che la servitizzazione possa agire da fattore anticiclico, dal momento che può compensare trend decrescenti nella crescita del fatturato derivante dalla vendita del prodotto.
I rischi insiti nel processo di servitization
L’analisi finora sviluppata non può infine prescindere dall’indicare alcuni rischi insiti nei processi di servitization. Un aspetto da considerare con attenzione è il consistente ammontare di risorse da investire in cambiamenti multidimensionali dell’impresa. Non caso la letteratura e l’analisi empirica comparata di vari Paesi (Italia esclusa) in materia (Neely, 2013) sottolinea che la propensione alla servitization cresce con la dimensione aziendale ed è molto differenziata a livello nazionale e per settore merceologico (i settori ad alta tecnologia hanno le percentuali più elevate). UK e Usa hanno le percentuali più elevate di imprese “servitised”, mentre la Germania è in posizione più distaccata e la Francia più indietro ancora, ma le grandi imprese tedesche sono meno inclini di quelle francesi verso la servitization.
Un aspetto cruciale è infine costituito dallo shift strategico connesso alla nuova strategia: è necessario un alto livello di elaborazione strategica, unito ad una elevata capacità di riconfigurare i modelli di business in un ambiente competitivo caratterizzato da forte incertezza.
Tutto questo preclude lo spazio per le piccole imprese? La risposta non è negativa se si pensa all’emergere dell’”economia basata sulle piattaforme”. Qui inizia un’altra storia, intrinsecamente connessa a quella sinteticamente fin qui descritta.
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Frambach, R.T., Wels-Lips, I. and Gündlach, A. (1997), Proactive product service strategies – an application in the European health market. Industrial Market Management, 26(4), 341-352
Gebauer, H., Fleisch, E. and Friedli, T. (2005), Overcoming the service paradox in manufacturing companies. European Management Journal 23(1), 14-26
Gebauer, H. (2007), The logic for increasing service revenue in product manufacturing companies. International Journal of Services and Operations Management 3(4), 394-410
Greenberg D. (2002), Product Provider to Customer Value Provider: Escaping the services maze – Dan Greenberg, IBM Institute for Business Value.
Kowalkowski, C., Gebauer H., Kamp B., Parry G. (2017). Servitization and deservitization: Overview, concepts, and definitions, 60
Neely, A. (2007), The servitization of manufacturing: an analysis of global trends. Paper presented at the 14th European Operations Management Association Conference, Ankara.
Neely A. (2013), Servitization in Germny: An International Comparison, University of Cambridge
Perona M., Saccani N., Bacchetti A. (2017), Research vs. Practice on Manufacturing Firms’ Servitization Strategies: A Gap Analysis and Research Agenda, Systems, 5, 19, 1-28
Shepherd, C.; Ahmed, P.K. From product innovation to solutions innovation: A new paradigm for
competitive advantage. Eur. J. Innov. Manag. 2000, 3, 100–106
Vandermerwe, S., Rada, J. (1988). Servitization of business: Adding value by adding services. European Management Journal, 6(4), 314–324
Wise, R. and Baumgartner, P. (1999), Go downstream – the new profit imperative in manufacturing. Harvard Business Review 77(5), 133-141