l'analisi

La strategia Ue a sostegno dei chip è a rischio: i limiti da superare

La spinta all’industria dei chip seguita alle difficoltà legate al covid rischia di essere frenata dalla prudenza delle grandi aziende che avevano accolto con entusiasmo gli aiuti dei Chips Act. Il terzo atto dell’intervento di sostegno, quello in cui le cose dovrebbero accadere, potrebbe stentare a decollare

Pubblicato il 03 Mag 2023

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

chip semiconduttori

Europa e Stati Uniti, ma anche altri paesi, hanno avviato politiche di sostegno massiccio alla produzione di semiconduttori nelle proprie aree di giurisdizione.

La spinta è venuta dalla carenza di semiconduttori che si è verificata con particolare evidenza durante la pandemia, quando la domanda di connessioni attraverso smartphone e altri terminali è esplosa a causa del lockdown. Lo spostamento della produzione verso i processori a maggiore valore aggiunto, come quelli dei telefoni, a svantaggio di quelli dedicati agli elettrodomestici e alle automobili, di valore unitario assai inferiore, ha determinato una scarsità generalizzata sul mercato, con aumenti dei prezzi e ritardi nelle consegne.

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Già da diversi anni si era verificata una contrazione della capacità di produzione in Europa e negli Stati Uniti, all’interno di una filiera che vedeva comunque primeggiare gli Stati Uniti nella progettazione dei microchip più sofisticati. Intanto, la produzione dei macchinari sempre più sofisticati per la litografia dei processori ad elevata miniaturizzazione si è spostata in pochissimi paesi, tra cui Olanda e Giappone, mentre la produzione dei wafer e dei processori si è concentrata a Taiwan e in Corea del Sud.

La Cina punta con decisione, anche tramite sussidi importanti diretti a favore delle proprie aziende, ad una maggiore autonomia in tutte le fasi del ciclo produttivo.

Durante la pandemia i principali fattori che hanno determinato un eccesso di domanda rispetto all’offerta di semiconduttori sono stati i seguenti:

  • aumento degli acquisti di dispositivi digitali durante il lockdown;
  • accelerazione nella costruzione di data center;
  • investimenti nelle infrastrutture mobili e in particolare 5G;
  • aumento della domanda di attività di mining delle cryptovalute.[1]

Se queste sono le ragioni di breve periodo tecnico-economiche della relativa scarsità di semiconduttori, in parte diversi sono i motivi che hanno portato all’adozione dei Chips Act sulle due sponde dell’Atlantico: la scarsità e i prezzi elevati causati dalla pandemia hanno comportato rischi significativi di rallentamento e blocco di settori strategici come le telecomunicazioni, mentre l’accelerazione della Cina, con il progressivo avvicinamento della capacità  di gestire l’intero ciclo progetto-produzione dei chip e con l’utilizzo di politiche di sostegno diretto alle proprie aziende, ha portato ad una ulteriore perdita di quote di mercato nella fase finale della produzione dei chip, che ha preoccupato i paesi occidentali per il timore di perdita della leadership tecnologica.

Negli Stati Uniti l’aiuto alle imprese, a differenza di molti paesi europei, è considerato una violazione delle condizioni competitive di mercato: la approvazione del Chips Act è stata giustificata con motivazioni di sicurezza nazionale. Poiché la scarsità di semiconduttori porta a rischi di blocco di settori decisivi dei servizi e della produzione nazionale, occorre aiutare lo spostamento delle produzioni sul suolo nazionale, con incentivi e sovvenzioni.

Le motivazioni dell’adozione di analogo provvedimento in Europa sono state leggermente diverse. Qui l’enfasi si è spostata sulla necessità di dotare l’Europa delle capacità, delle conoscenze e delle risorse necessarie a fare un salto qualitativo e quantitativo nella produzione dei chip.

L’evoluzione recente del mercato

Durante la pandemia e i lockdown, il mercato dei semiconduttori era particolarmente teso. La relativa scarsità delle disponibilità sul mercato ha prodotto tensioni sui prezzi e allungamento dei tempi di consegna: una condizione che è stata richiamata come principale motivazione economica per gli interventi a sostegno della rilocalizzazione degli investimenti nei paesi europei e negli Stati Uniti.

L’aggressione russa all’Ucraina ha accentuato l’importanza delle motivazioni in chiave di sicurezza nazionale delle politiche di sostegno, in una fase in cui cominciavano a manifestarsi cedimenti della domanda globale di semiconduttori.

Per questo motivo, pochi si sono posti la questione della opportunità e dell’efficacia dei Chips Act nella nuova fase che la congiuntura internazionale stava segnando.

La correlazione tra aumento dei prezzi e aumento dei tempi di consegna dei chips dimostra che la sequenza che si verifica in un mercato con eccesso di domanda è: nell’immediato l’aumento del grado di utilizzo degli impianti, se questa risorsa non è sufficiente si allungano i tempi di consegna, se neppure questo allungamento è sufficiente, si aumentano i prezzi di vendita. un aumento del tasso di utilizzazione degli impianti. Quando il tasso di utilizzazione aumenta al di sopra della media per far fronte alla domanda inevasa, il prezzi tendono a salire con la riduzione degli sconti: all’aumento della domanda, cui non è possibile più rispondere con l’aumento della produzione, si risponde in fine con il ritardo nella consegna e, per i nuovi ordini, con l’aumento dei prezzi di listino.

Ma nell’ultimo anno, che pure registra una crescita notevole del fatturato, si assiste ad una flessione nella seconda metà dell’anno come si vede dal grafico riportato nella figura 1.

All’interno dell’andamento aggregato, sia le aree sia i sottosettori manifestano divergenze importanti. Anno su anno, nel 2022 l’Europa registra un +13% contro il +16 degli Stati Uniti e il – 6% della Cina. I settori più dinamici sono il settore dell’auto, con +29%, seguito dai chip analogici che vengono usati negli elettrodomestici (+7,5%).

Figura 1. Ricavi dell’industria dei semiconduttori a livello mondiale.

Linea blu dati in miliardi di dollari, linea rossa variazioni percentuali sullo stesso periodo dell’anno precedente.

(Fonte: WSTS)

Queste dinamiche hanno portato ad una compressione dei margini di profitto dell’industria nel suo complesso, a causa dello spostamento della produzione verso i prodotti a minor valore aggiunto. Ne sono un indicatore la crescita del magazzino di TSMC, l’azienda leader mondiale di Taiwan, e il calo atteso dei margini di profitto del 14% nel primo trimestre del 2023. Due tendenze che portano il colosso dei semiconduttori a tagliare le previsioni di investimento per il 2023. Anche Samsung deve affrontare una forte contrazione dei margini, con il trimestre ottobre-dicembre 2022 che registra il peggior dato sui margini da otto anni a questa parte. La contrazione è dovuta a prezzi in rallentamento e ai magazzini in crescita, ma l’azienda intende sfruttare l’occasione per aumentare le sue quote di mercato, senza diminuire gli investimenti programmati. Tuttavia, altre aziende stanno rivedendo i piani di investimento: oltre a TSMC citata, anche INTEL prevede una caduta dei margini determinata dal crollo delle vendite di personal computer, mentre SK Hynix e Micron Technology (MU.O.) intendono tagliare i loro investimenti per l’anno in corso.

I limiti dell’industria europea

La reazione dell’industria dei semiconduttori è stata di entusiastico sostegno alle iniziative di politica industriale promosse sui due lati dell’Atlantico, anche perché tali iniziative hanno posto le grandi aziende nella favorevole condizione di poter giocare sui due mercati e con i due sistemi di sostegno nelle due aree commerciali, quella americana e quella europea.

Abbiamo sottolineato su questa rivista che un approccio al tema della scarsità di microprocessori che facesse leva su risorse pubbliche già fortemente sotto pressione per il sostegno alla crisi post-pandemica, era una scelta criticabile. Avevamo anche aggiunto che gli strumenti tradizionali di politica industriale (crediti agevolati e sostegni diretti) richiedono comunque procedure e tempi che mal si conciliano con le dinamiche straordinariamente veloci di settori fortemente innovativi e avevamo sollevato qualche dubbio sull’opportunità che due interventi di sostegno simili sulle due sponde dell’Atlantico, poiché tali strumenti avrebbero consentito alle grandi aziende di fare “arbitraggio” tra le aree e tra gli interventi di sussidio più convenienti, con una pericolosa competizione tra le risorse dedicate al sostegno del settore.

All’interno dell’Europa le varie Intel, Samsung e TSMC, ovvero alcuni tra i maggiori produttori mondiali, hanno promesso ciascun governo che potrebbero insediare i loro nuovi impianti nei rispettivi paesi, e ciò finisce con spingere i governi a nuove promesse per “battere la concorrenza”: una sorta di gara al potenziamento del sussidio, che rimane assai lontana rispetto all’ispirazione pro-competizione della strategia del mercato unico.

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I limiti del Chips Act europeo

Ma anche sul versante del policy maker, ossia di chi disegna e implementa le politiche industriali di sostegno ai settori in crisi, si creano condizioni critiche.

La stessa dimensione inconsueta degli interventi di sostegno previsti e la necessità di ottemperare all’obiettivo della sicurezza per evitare l’accusa di distorcere la concorrenza con aiuti di stato ingiustificati, contribuiscono a rendere poco efficace la messa in opera degli strumenti.

Solo ora è stato definito l’accordo tra Parlamento e Commissione per l’attuazione del Chips Act europeo, mentre negli Stati Uniti la concorrenza tra gli stati per aggiudicarsi le nuove localizzazioni degli impianti di produzione, sembra già lasciare in secondo piano l’aspetto fondamentale legato alla dislocazione degli impianti nell’ambito dei cluster di maggiore dinamismo.

Recenti ricerche dimostrano che la debolezza dell’industria europea non consiste nella scarsa competitività degli investimenti o della forza lavoro, ma nella scarsa attitudine all’innovazione dell’industria. E una delle principali cause della scarsa capacità innovativa sta nella dispersione dell’industria all’interno dell’Unione, nella scarsa concentrazione di specializzazioni, in termini di ricerca, know how, subforniture e capacità professionali: ossia proprio il tema che è completamente assente nei Chips Act, sia quello americano sia quello europeo. Infatti, in Europa gli stati e addirittura le regioni, come abbiamo visto nel caso dell’Italia, tendono a contendersi gli investimenti delle multinazionali, che possono scegliere in base a valutazioni relative alla convenienza a breve ad investire in un distretto piuttosto che in altro, senza alcuna visione strategica del potenziale di lungo termine dell’investimento stesso. Con la differenza che negli Stati Uniti le aree di concentrazione sono già ben individuate e hanno la capacità di attrarre gli investimenti delle multinazionali, mentre in Europa non esiste nulla di simile e gli insediamenti sono sparpagliati ed incapaci di esercitare una qualsiasi forza gravitazionale sulle risorse necessarie allo sviluppo di capacità innovative, in particolare su quelle che forniscono la spinta dalla fase di ricerca alla fase di commercializzazione.[3] Il giudizio di un manager europeo del settore è indicativo:

“I cluster sono sottofinanziati. L’Europa non finanzia i suoi cluster… Non abbiamo sufficiente capitale dotato di esperienza, informato sull’industria digitale, l’economia digitale e che vuole investire in cose come la tecnologia avanzata… in realtà abbiamo pochissime società di private equity che investono in tecnologia avanzata. Se gestisci un fondo di 150 milioni (euro), come puoi investire 100 milioni (euro) in una singola azienda?”[4]

Conclusioni

Le condizioni di mercato sono rapidamente cambiate: il settore dei semiconduttori ha oggi prospettive di crescita diverse da quelle maturate negli anni del COVID. Anche gli squilibri che avevano caratterizzato quella fase si sono attenuati o hanno cambiato segno.

In questo quadro, il governo italiano per bocca del ministro D’Urso pensa ad un piano nazionale per la microelettronica, che ambirebbe ad essere il Chips Act italiano.

Non è chiaro se questo piano debba favorire i processi di localizzazione che conseguirebbero all’operatività di quello europeo: difficile immaginare un governo che riesca a districarsi tra le rivendicazioni delle Regioni e ancor più difficile pensare che possa creare ulteriori incentivi aggiuntivi rispetto a quelli europei. Forse lo spazio di azione potrebbe essere quello di finanziare, per via ordinaria, l’attività di ricerca delle università. Ma, come sappiamo, la via ordinaria non piace al politico, che preferisce cavalcare una effimera popolarità legata alla straordinarietà della sua azione.

È assai probabile che le grandi aziende americane o multinazionali che avevano accolto con entusiasmo gli aiuti dei Chips Act manifesteranno una maggiore prudenza negli impegni di investimento. Questa prudenza renderà più complicata la partenza operativa dei Chips Act sia in America sia in Europa. Il terzo atto dell’intervento di sostegno, quello in cui le cose dovrebbero accadere, stenterà a decollare.

In Europa si pone una criticità ulteriore: nell’avvio del Chips Act e soprattutto al fine che esso sortisca un effetto di spinta verso l’innovazione dell’industria europea, vi sono alcune precondizioni necessarie. Il recupero della competitività può avvenire se si superano i limiti dei cluster europei: la loro dimensione troppo piccola, la loro scarsa attitudine allo sviluppo commerciale, la modestia del venture capital e infine la mancanza di interazione forte tra i cluster medesimi. Su questi aspetti il Chips Act europeo non ha strumenti di intervento in grado di affrontare questi problemi di natura strutturale, che richiederebbero un indirizzo efficace dei flussi di investimento tale da produrre integrazione sovranazionale tra le realtà più dinamiche del continente.

Infine, il ritardo che tutti gli strumenti di politica industriale manifestano rispetto alle dinamiche reali rimane un aspetto critico sia negli Stati Uniti sia in Europa: la velocità di reazione e di aggiustamento del settore dei semiconduttori, come ci insegna la sua rapidissima evoluzione, non è compatibile con i tempi delle politiche industriali che ambiscono ad avere un grande respiro.

Note

  1. ) K N. Ochonogor,G. S. Osho, C. O. Anoka, O. Ojumu, The CoVID-19 Pandemic and Supply Chain Disruption. An Analysis of the Semiconductor Industry’s Resilience, International Journal of Technical & Scientific Research Engineering www.ijtsre.org, ISSN: 2581-9259, Volume 6 Issue 1, January-February 2023
  2. ) https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/chips-act-e-la-strada-giusta-per-recuperare-sulla-cina-pro-e-contro-dellapproccio-ue-e-usa/
  3. ) R. Huggins, A. Johnson, M. Munday, Chen Xu, Competition, open innovation, and growth challenges in the semiconductor industry: the case of Europe’s clusters, Science and Public Policy, scad005, https://doi.org/10.1093/scipol/scad005.
  4. ) R, Huggins, A. Johnston, M. Munday, Chen Xu, The Future of Europe’s Semiconductor Industry: Innovation, Clusters and Deep Tech, Cardiff University, Prifysgol Caerdydd, CS ConnectedFebruary 2022, p. 20.

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