Il grafene, isolato dai fisici Andre Geim e Kostantin Novoselov nel 2004, è un materiale dalle proprietà straordinarie: grande conduttore di calore e di corrente, è duecento volte più forte dell’acciaio e consente la realizzazione di superconduttori (ovverosia conduttori di corrente elettrica senza resistenza) quando disposto secondo geometrie opportune.
Utilizzato in diversi ambiti industriali, dall’elettronica alla meccanica – ma con impieghi ancora di nicchia – in modo del tutto inaspettato, sembra che la killer application sia quanto più lontano dall’alta tecnologia si possa pensare: la produzione di calcestruzzo.
In apparenza, l’aggiunta di solo lo 0,1% di grafene al calcestruzzo contribuisce a renderlo significativamente più resistente, consente l’impiego di minori quantità di materiale per il medesimo fine, ne migliora la durata. Infatti, agisce come sistema di protezione dalle infiltrazioni dell’acqua e riduce la possibilità di ossidazione dei tondini di ferro, spesso inseriti nella colata per aumentarne la resistenza.
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Perché il calcestruzzo è una killer application
Il calcestruzzo è un materiale relativamente economico dove l’introduzione di una variante più robusta contenente grafene potrebbe non giustificare l’investimento economico. Ciò che è poco noto è che la produzione annuale di 5 miliardi di tonnellate di cemento, usato per la realizzazione del calcestruzzo, contribuisce per circa l’8% all’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera a causa della necessità di scaldare roccia calcarea per la produzione.
Secondo McKinsey, per un dollaro guadagnato dal cemento si producono quasi 7kg di CO2 contro il poco meno di 1,5kg di CO2 prodotto per la produzione di ferro e acciaio; petrolio e gas infine costano meno di 1kg di CO2 prodotto per ogni dollaro guadagnato.
In ottica di riduzione delle emissioni di gas serra, una riduzione della produzione del cemento potrebbe quindi contribuire significativamente, rendendo l’uso del grafene nel calcestruzzo un approccio attraente per la riduzione del suo impiego grazie all’incremento di robustezza e durabilità.
Grafene: i metodi principali di produzione industriale
Se la possibilità di ridurre l’impatto ambientale legato alla produzione del cemento rende l’impiego del grafene molto attraente, è necessario valutare complessivamente l’impatto dell’introduzione di un nuovo materiale nel processo produttivo. Non è certo pensabile di utilizzare nastro adesivo e mine di matite per la produzione di quantità industriali di grafene, e comunque l’uso della grafite è legato alla capacità di estrazione delle miniere di questo cristallo di carbonio.
Per fortuna ricercatori hanno elaborato tecniche industrialmente sostenibili per la produzione di grafene, come, ad esempio, la CVD (la deposizione chimica di vapori) già usata in altri processi.
Degno di nota è l’approccio di Levidian Nanosystems, chiamato loop, che promette la produzione di grafene senza generazione di anidride carbonica, anzi il processo consiste nel rompere il legame tra i quattro atomi di idrogeno e quello di carbonio che formano la molecola del metano.
In questo modo, si potrebbe ottenere idrogeno che potrebbe essere bruciato al posto del metano riducendo ulteriormente le emissioni, e utilizzare gli atomi di carbonio liberati nel processo per la produzione di grafene.
Nel Regno Unito, la rete elettrica nazionale sta sperimentando questa tecnologia con una stima di una riduzione del 40% delle emissioni di CO2 dovute alla combustione di metano. La combustione di idrogeno al contrario genera vapore acqueo evitando la produzione di anidride carbonica.
Se il metodo loop di produzione del grafene si dovesse diffondere, sarebbe quindi possibile contribuire ad un processo di decarbonizzazione riducendo sia l’emissione legata alla combustione di metano che alla riduzione dell’uso di calcestruzzo e di conseguenza di cemento.
Le potenzialità del grafene
Nel 2010, all’annuncio del premio Nobel per la Fisica per la scoperta, ho trovato assolutamente geniale la procedura utilizzata per produrre un foglio di atomi di carbonio spesso a partire dalla grafite presente in una matita, e da una procedura meccanica basata su del nastro adesivo per esfoliare il materiale.
Il grafene, materiale rivoluzionario, ha già trovato impieghi industriali nei settori dell’elettronica, della chimica e della meccanica. Sebbene si possa quindi pensare che in poco meno di vent’anni si è passati dalla scoperta al suo impiego industriale, la realtà è che si tratta di impieghi ancora di nicchia, che vanno a ottimizzare settori specifici.
Nel primo quarto del 2019 la produzione mondiale di grafene si stimava essere inferiore a 3.000 tonnellate, anche se nello stesso periodo di quest’anno la produzione è salita a 12.700 tonnellate.
Ci si può chiedere quindi quale applicazione possa portare definitivamente alla ribalta questo incredibile materiale, contribuendo a migliorare significativamente processi produttivi al punto tale da essere rivoluzionario.
L’esigenza di approfondire i rischi per la salute
L’approccio di produzione del grafene è ancora largamente da affinare, e le tecniche impiegate non sempre generano grafene vero e proprio: a volte vengono prodotti strati più spessi di un singolo atomo attenuando, almeno in parte, le proprietà del materiale.
In ambito industriale, si accettano materiali spessi fino a dieci atomi di carbonio come grafene, portando a considerevoli variazioni del prezzo e delle prestazioni, a seconda della “purezza” del materiale.
È quindi necessario verificare entro quali limiti questo approccio continua a produrre vantaggio nella sua applicazione. Soprattutto, condurre studi che individuino potenziali rischi per la salute prima che, come è accaduto nel caso dell’amianto, il materiale sia impiegato massicciamente per poi rivelarsi nocivo per la popolazione.
Conclusioni
L’applicazione del grafene al calcestruzzo suscita molta attenzione, grazie alla promessa di riduzione delle emissioni di gas serra in quantità potenzialmente significative. L’incremento di produzione del materiale testimonia il crescente interesse in una prima applicazione che possa richiedere la produzione di quantità capaci di sostenere un impiego globale.