Il quadro

I veri impatti dello smart working: ecco gli studi



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La pandemia ha accelerato la digitalizzazione e il lavoro agile, ma ha anche introdotto sfide per la PA e il settore privato. L’intelligenza artificiale offre potenziali miglioramenti, ma solleva preoccupazioni in settori sensibili come sanità ed educazione. La mobilità del lavoro e il turnover sono in evoluzione, con il lavoro ibrido che emerge come soluzione bilanciata

Pubblicato il 27 set 2024

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione



lavoro ibrido

Il Covid ha aperto la strada per la trasformazione dell’organizzazione del lavoro con l’allargamento sistematico del lavoro agile. Ma ora si assiste a ritorni di fiamma per il lavoro in ufficio: Amazon ha scandalizzato molti lavoratori chiedendo a settembre di lavorare in azienda cinque giorni a settimana (prima erano tre).

Ma che dicono gli studi? In più, l’intelligenza artificiale si innesterà su questa e su altre trasformazioni in corso producendo nuove sfide organizzative e nuove tensioni nel mercato del lavoro.

Il lavoro agile nella pubblica amministrazione

I provvedimenti varati nell’emergenza Covid solo raramente sono riusciti a migliorare le prestazioni degli uffici pubblici. Spesso, infatti, le precauzioni si sono tradotte in rallentamenti sistematici dei servizi, dietro il pretesto di mettere in sicurezza i dipendenti dal contatto diretto con il pubblico. Il problema è che il contatto diretto con il pubblico è l’essenza del servizio erogato dalla pubblica amministrazione. Speriamo che l’intelligenza artificiale aiuti l’amministrazione a uscire dal paradosso che per garantire la salute è meglio lavorare meno.

Limiti e meriti del lavoro agile

L’intelligenza artificiale trova il settore privato più preparato ad accoglierne l’impatto positivo in termini di produttività e qualità. L’accelerazione prodotta dal Covid ha investito il cosiddetto lavoro agile, ossia quello che può essere svolto in remoto. Ma questa trasformazione è avvenuta in parallelo ad una serie di cambiamenti che hanno orizzonti temporali e ritmi diversi, connessi alle modificazioni demografiche, scolastiche e alle aspettative sul lavoro delle nuove generazioni. Recenti ricerche mostrano limiti e meriti del lavoro a distanza.

L’applicazione dell’IA al lavoro, tra aspettative e realtà

Le prime ricerche sull’applicazione dell’intelligenza artificiale mostrano un quadro di notevole divario tra aspettative ed effetti reali. Professioni molto sensibili, come l’insegnamento e la medicina, esprimono le preoccupazioni generali relative alla privacy, alla tutela dei diritti di autore, alla necessità di controllare gli algoritmi e i dati su cui si basano.

IA applicata al lavoro: le resistenze di medici e insegnanti

Ma una recente ricerca sull’atteggiamento di medici e insegnanti nei confronti dell’introduzione di intelligenza artificiale mette in luce le diverse forme di resistenza e di obiezioni che sorgono nei diversi campi professionali. Gli insegnanti sono preoccupati dal plagio e quindi dall’impoverimento dell’efficacia della selezione per merito, chiave di volta del sistema scolastico-universitario.

Ma temono anche, in prospettiva, un impoverimento della creatività e l’inaridimento del rapporto docente-studente. Quest’ultimo tema preoccupa anche i medici, dove la fiducia tra medico e paziente è la chiave di volta della medicina. Soprattutto, i medici sentono messa in discussione la responsabilità del medico, il cui indebolimento minerebbe il ruolo del professionista stesso[1].

L’intelligenza artificiale andrà ad investire proprio questo tema centrale dell’organizzazione del lavoro non solo nella sanità, ma in ogni organizzazione: la distribuzione delle responsabilità all’interno dell’organizzazione e il senso di responsabilità di ciascun lavoratore.

Rallenta la mobilità del fattore lavoro

La mobilità del fattore lavoro è uno dei requisiti principali di un mercato flessibile ed efficiente: tutte le grandi trasformazioni, dall’agricoltura all’industria, dall’industria ai servizi, hanno fatto leva sulla mobilità del lavoro. Mobilità in senso geografico (migrazioni) e in senso professionale (dall’agricoltura all’industria e da questa ai servizi). Mobilità è anche quella all’interno dei bacini urbani in cui si muovono i pendolari, sia per lavoro sia per studio, sia per poter accedere ai servizi. All’epoca delle grandi migrazioni Sud-Nord, vi era elevata mobilità geografica, ma anche elevata pendolarità urbana per raggiungere il posto di lavoro. Questa propensione alla mobilità era una risorsa per le imprese e quindi per lo sviluppo, ma rappresentava un onere che si è scaricato sia sulle famiglie sia sulle amministrazioni locali che dovevano assicurare sviluppo urbanistico adeguato sia sotto il profilo residenziale sia sotto il profilo delle infrastrutture e dei servizi.

Negli Stati Uniti si sta consolidando una visione pessimistica che prevede livelli di mobilità del lavoro insufficienti rispetto alle esigenze del mercato. Nel 1984 il 20% degli americani migrava internamente per lavoro, mentre nel 2022 migra soltanto il 9%. Ma le economie locali sono fragili, pertanto questa resistenza alla migrazione porta ad un aumento del tasso di disoccupazione e ad un impoverimento ulteriore del territorio[2]. Anche in Italia vi sono segnali di riduzione della mobilità, nonostante la carenza di offerta di lavoro, che ormai non riguarda più solo le Regioni del nord.

L’irrigidimento dell’offerta di lavoro rispetto alla domanda di mobilità

L’irrigidimento dell’offerta di lavoro rispetto alla domanda di mobilità è uno dei fattori che maggiormente spingono verso l’adozione di lavoro agile, on line, flessibile. Ma prima di venire a questo passaggio fondamentale, occorre rispondere ad una domanda. Su che cosa poggiava il fardello di costi legati alla mobilità del lavoro? Quale motivazione rendeva sostenibili costi sociali e personali tanto elevati? L’abbandono dell’agricoltura comportava la costruzione di una nuova famiglia fondata sul lavoro stabile, su residenzialità stabile, su prospettive di reddito modeste ma stabili. L’industria, la grande industria in particolare, era in grado di offrire queste prospettive di sicurezza e stabilità.

Il turn over del lavoro nelle aziende

Senza risalire troppo indietro, è impressionante vedere quanto sia aumentato il turn over del lavoro nelle aziende negli ultimi 15 anni. Il turn over misura il grado di stabilità del posto di lavoro: tanto più è elevato, tanto più è instabile il posto di lavoro.

Nella figura 1 sono riportati i dati della rilevazione di Confindustria sul campione delle aziende iscritte all’organizzazione imprenditoriale. Sia nel 2010 sia nel 2013 il turn over dell’industria era significativamente più basso di quello dei servizi: l’industria fornisce posti di lavoro mediamente più stabili.

Ma l’occupazione attuale e futura crescerà soprattutto nei servizi, ed è anche probabile che i giovani preferiscano l’occupazione nei servizi rispetto a quelle nell’industria. Nei 13 anni intercorsi tra il 2010 e il 1013, il turn over, sia nell’industria sia nei servizi, è aumentato in misura notevole: di oltre un terzo nell’industria e di quasi il 50% nei servizi. Questo significa che la durata media del rapporto di lavoro si è accorciata, con effetti sia sull’addestramento degli occupati, poiché viene meno parete del training by doing, sia sulle prospettive di costruire una famiglia e relazioni stabili.

Oggi si verifica il paradosso che il lavoro a distanza consente il doppio lavoro, anche in modo illegale, ossia senza che i datori di lavoro ne siano a conoscenza, e quindi con violazioni degli obblighi di non concorrenza, di trasparenza e tutela dei dati[3]. Non è da stupirsi: la pressione viene anche dalle aziende. Sono loro che beneficiano in larga misura della flessibilità richiesta agli occupati, che si traduce spesso in rapporto di collaborazione non inquadrato come lavoro dipendente stabile.

Il ricorso al lavoro agile prima e dopo la pandemia

La differenza tra il ricorso al lavoro agile prima e dopo la pandemia è marcata: la pandemia rappresenta un punto di svolta nell’espansione del lavoro a distanza. Dall’indagine Confindustria risulta che la quota di imprese che lo pratica è quasi quadruplicata nel 2023 rispetto a prima della pandemia[4]

Nelle imprese di maggiore dimensione la quota è doppia rispetto alla media, superando il 60%, nel 2023, come si vede dalla figura successiva.

Dall’indagine risulta che il lavoro agile coinvolge, nelle imprese che lo utilizzano, il 36% dei lavoratori. I tre quarti delle imprese ritiene che vi siano diversi vantaggi nell’offrire la possibilità di lavoro agile: migliore attrazione e permanenza delle risorse strategiche, una riduzione dell’assenteismo e una maggiore produttività dei dipendenti legata alla responsabilizzazione sui risultati. Circa il 40% delle imprese condivide queste valutazioni, mentre una quota inferiore ritiene di trarre vantaggi anche sotto il profilo dei costi logistici ed energetici. L’importanza strategica dello smart working è confermata dal fatto che nell’anno della rilevazione le assunzioni sono cresciute soprattutto nella componente femminile, quella più condizionata dai problemi della mobilità e dei carichi di lavoro collaterali, dovuti all’accudimento familiare.

Ma non mancano gli aspetti critici dello smart working, e sono essenzialmente due: la caduta della comunicazione interpersonale e il minor senso di appartenenza[5].

I vantaggi del lavoro ibrido

Negli Stati Uniti, dove il lavoro a distanza è più diffuso, i datori di lavoro sono preoccupati per gli effetti negativi sulla creatività, sulla produttività e sulla attitudine a collaborare dei propri occupati e dipendenti. E’ recente la decisione di Amazon, ad esempio, di richiamare tutti i lavoratori in ufficio per 5 giorni a settimana, ponendo di fatto fine al lavoro da remoto.

Rispetto ai paesi anglosassoni, dove in media tra 1 e 1,7 giorni alla settimana vengono svolti da casa, in Italia la media è di 0,7.[6] Dalla rilevazione internazionale risulta che i lavoratori desiderano lavorare da casa in media almeno due giorni alla settimana, quindi la condizione dell’Italia è tra le più frustranti, poiché la differenza tra la realtà e l’aspirazione è di 1,3 giorni, che il lavoratore non può fare da casa, ma che volentieri farebbe. Mentre nei paesi anglosassoni la differenza è soltanto di 1 giorno.

E’ quindi la formulazione ibrida, con il lavoratore sia in presenza si a distanza, quella che sembra presentare sia vantaggi connessi alla flessibilità di non spostarsi sia quelli “relazionali” legati all’appartenere e alla partecipazione alle relazioni con la comunità dei colleghi[7]. Un’indagine internazionale sulla contrattazione collettiva dimostra che se il 67% dei lavoratori ha accordi per essere solo in presenza, oltre il 25% ha accordi ibridi, con un 8% completamente a distanza.

Alle domande “quali sono i maggiori benefici nel lavorare in presenza?” le risposte sono riportate nella figura 4. Gli aspetti assolutamente preminenti nella valutazione positiva dei lavoratori sono connessi alla socializzazione sia con i colleghi sia con il capo.

Alla domanda “quali sono i benefici del lavoro da casa?” le risposte sono riportate nella figura 5.

Abbiamo visto che nei desideri dei lavoratori ci sono due giorni di lavoro da casa e il resto in presenza, è chiaro che la forma ibrida rappresenta la risposta sia alle aspettative dei lavoratori, sia la risposta alle preoccupazioni delle aziende.

Infine, occorre considerare l’impatto positivo che il lavoro ibrido ha sui costi di assunzione del personale. Se è vero che questa forma di lavoro riduce sia l’assenteismo sia le dimissioni, vi è un risparmio potenziale sulla formazione del personale, che occorre mettere in conto. E si tratta di investimenti rilevanti. La stima per gli Stati Uniti è di 20 mila dollari di costi di addestramento per ogni lavoratore nuovo assunto.

Note


[1]) Marjorie Kinney, Maria Anastasiadou, Mijail Naranjo-Zolotov, Vitor Santos, Expectation management in AI: A framework for understanding stakeholder trust and acceptance of artificial intelligence systems, Heliyon,Volume 10, Issue 7, 15 April 2024.

[2]) Adam A. Millsap, Not Enough People Are Moving To Where The Jobs Are, Forbes,Sep 12, 2023.

[3]) Bret Becton, Beyond 9 to 5: The Hidden World of Working Multiple Remote Job, Linkedin, February 2, 2024.

[4]) Confindustria, Indagine Confindustria sul lavoro nel 2024,

[5]) Giovanna Labartino, Francesca Mazzolari e Giovanni Morleo, Indagine Confindustria sul lavoro del 2023 (anno di riferimento 2022), Nota dal CSC, Numero 3/23-02 agosto 2023.

[6]) Cevat Giray Aksoy, Jose Maria Barrero, Nicholas Bloom, Steven J. Davis, Mathias Dolls and Pablo Zarate, Working from Home Around the Globe: 2023 Report, Global Survey on Working Arragements, 28 June 2023.

[7]) Nature, Hybrid working has benefits over fully in-person working – eviddence mounts, Editorial, vol 630, 13 June 2024.

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