l’analisi

Big tech alla corte di Xi e di Trump: ecco i nuovi equilibri di potere



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Le aziende tecnologiche si adattano alle richieste politiche di Xi e Trump per ottenere vantaggi commerciali. Mentre in USA cambia l’orientamento di Big Tech, in Cina gli imprenditori tecnologici vengono riammessi a corte

Pubblicato il 14 apr 2025

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione



Normativa cinese ia
Flag of the Republic of China and USA on the microchips of a red painted printed electronic circuit board. Concept for supremacy in global microchip and semiconductor manufacturing.

Gli imprenditori dell’alta tecnologia si avvicinano sia a Xi Jinping che a Donald Trump per ottenere vantaggi economici e politici. Negli Stati Uniti, Big Tech ha cambiato orientamento politico, adattandosi alle richieste dell’establishment.

Musk, Bezos e Zuckerberg hanno affrontato pressioni politiche e regolatorie, con tensioni culminate attorno alle elezioni.

Trump promuove il protezionismo per rilanciare l’industria americana, influenzando anche le aziende tecnologiche. Queste ultime cercano di ottenere contratti governativi legati alla sicurezza e all’immigrazione. Tuttavia, l’isolazionismo potrebbe danneggiare la loro espansione globale.

In Cina, Xi ha riaccolto gli imprenditori tech, riconoscendone l’importanza per la crescita economica e la competizione tecnologica con gli USA. La Cina punta sull’intelligenza artificiale per rafforzare la propria posizione geopolitica. L’incontro tra Xi e i leader tech indica un tentativo di rilanciare l’economia interna. Il confronto tra USA e Cina si gioca ora sulle tecnologie, più che sulle armi tradizionali.

Big tech e politica: così fan tutti

È appena cominciata la corsa alle corti di Xi e di Trump. I due imperatori li hanno ricevuti, nonostante entrambi avessero avuto non poco da ridire con le loro aziende, per uno sfoggio di ricchezza e di capacità. Ricchezza di risorse, utili a rilanciare la crescita e gli investimenti, capacità di realizzazione di ogni sorta di diavolerie, in primis l’intelligenza artificiale, con cui ciascuno dei due spera, in cuor suo, di dominare il mondo.

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In America la corsa ha cambiato i connotati politici di Big Tech. In campi come l’immigrazione, la religione, le razze, il sesso le piattaforme sono passate da alfieri dei valori democratico-liberali a difensori del nuovo mainstream. In Cina, invece, gli imprenditori dei giganti tecnologici, come Jack Ma, sono stati riammessi a corte con grande riguardo.

Big tech e politica: i cambiamenti nelle piattaforme americane

Musk ha conflitti di interesse al cui confronto quelli di Berlusconi appaiono uno scherzo. X, con alcune sue filiali sta letteralmente subissando Media Matters, unannon-profit che aveva pubblicato un Report nel 2023 da cui risultavano attività di fiancheggiamento di razzisti ed antisemiti da parte di X, alimentando il boicottaggio della pubblicità. Per Musk il boicottaggio di X, come quello in corso di Tesla, sono minacce mortali per la redditività delle aziende[1].

Bezos ha cominciato a mettere la museruola al Washington Post già prima di sapere l’esito delle elezioni; Zuckerberg sta abbattendo le protezioni sui social network contro l’istigazione all’odio e le false notizie, in nome della libertà di opinione. Le tensioni sono culminate quando Trump nel volume pubblicato prima delle elezioni lamentò che Zuckerberg aveva sostenuto gli uffici elettorali locali con 400 milioni di dollari durante la pandemia. Trump scrisse che controllava Zuckerberg da vicino, minacciandolo di “metterlo in prigione per il resto della vita”[2]. E Zuckerberg ha provveduto, annunciando che Facebook avrebbe corretto i suoi errori che limitavano la libertà di espressione e “allontanavano dal buon senso condiviso (mainstream)”. In realtà, Meta non è riuscita a fermare Qanon, né  l’organizzazione dei nazionalisti bianchi. Meta viola la privacy delle persone come ha dimostrato lo scandalo Cambridge Analytica. Facebook, secondo il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha contribuito ad alimentare il genocidio e altri crimini contro l’umanità in Myanmar, ha svolto un ruolo decisivo nell’assalto del 6 gennaio 2021 al Campidoglio degli Stati Uniti, ha creato un sistema per dare priorità ai post di celebrità e politici, anche quando si sono impegnati in molestie o hanno incitato alla violenza, ha creato uno strumento per consentire di discriminare le persone in base a razza, genere e altre caratteristiche personali riservate. “L’azienda ha costantemente dato priorità agli utenti di lingua inglese residenti negli Stati Uniti a scapito di tutti gli altri”.[3]

Mai si era visto un impegno più sfacciato da parte del potere politico, per condizionare le scelte imprenditoriali e mai si era visto un allineamento più rapido e pericoloso delle piattaforme tecnologiche. Gli effetti sulla comunicazione, dalla stampa ai social network, sono disastrosi, come dimostrano gli interventi di Bezos, padrone del Washington Post che dispone della linea del giornale come fosse il suo blog. Per non parlare di X nelle mani dell’ipereccitato Musk o dei 25 milioni di dollari riconosciuti da Meta a favore di Trump per chiudere una causa del 2021 (quella della sospensione della pubblicazione dei messaggi sovversivi di Trump).

Big tech e politica protezionista: la visione trumpiana

Il protezionismo è ritornato alla ribalta sulla scena della politica e della politica economica mondiale: una sorta di estensione delle sanzioni.

Le sanzioni sono interventi straordinari volti a contrastare aggressioni e violazioni dei diritti da parte di stati autoritari, mentre il protezionismo di Trump è qualcosa di più. La visione sottostante è neomercantilista, ossia si richiama alle politiche precedenti all’avvento su scala europea e mondiale del liberismo, che ha aperto gli scambi internazionali, portando uno sviluppo straordinario nei settanta anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

L’idea trumpiana è di favorire una reindustrializzazione dell’America con i dazi, un po’ come la Germania dell’Ottocento nei confronti dell’Inghilterra. Ma allora non c’era il livello di interdipendenza strutturale raggiunto dall’economia americana con quelle confinanti e con l’economia mondiale, né era noto il fatto che la tenuta industriale e produttiva degli Stati Uniti dipende dalla duplice disponibilità di manodopera immigrata, quella  a basso costo per l’agricoltura, l’industria, le costruzioni e i servizi e quella ad elevata qualificazione e istruzione per la ricerca e i lavori complessi. 

La farneticazione politica trumpiana sta alimentando anche la domanda di protezione delle aziende big tech che vogliono poter entrare senza freni nell’enorme riserva di domanda pubblica costituita dalla spesa militare e per la sicurezza.

Politica dell’immigrazione: contratti e controlli

Gli apparati di sorveglianza dispiegati dagli Stati Uniti sono stati estesi ben oltre i limiti di legge grazie ai dati e ai modelli offerti dalle società tecnologiche. L’Agency for Immigration and Customs Enforcement del Dipartimento dell’Interno (ICE), sbandiera il dato di 32.000 arresti di immigrati nei primi 50 giorni della nuova amministrazione, ponendoli a confronto con i dati annuali del 2024, quando il presidente era Biden, che potrebbero essere superati nel giro di poche ore. E così ottiene un finanziamento di 10 miliardi dollari per l’Agenzia. Di quei 32.000 arrestati almeno 8.000 hanno semplici addebiti amministrativi, ossia burocratici, che ICE chiama “danni collaterali” o “arresti collaterali”. “Abbiamo visto nell’area di Chicago che (gli ufficiali dell’ICE) entrano nelle proprietà senza un mandato. Arrestano le persone in modo collaterale. Fanno profili razziali delle persone, e abbiamo visto sopravvissuti alla violenza domestica, piccoli imprenditori e vicini di vecchia data coinvolti in queste operazioni” ha detto Azadeh Erzani, direttore del Centro Nazionale per la Giustizia dei Migranti.[4]

Ma la protezione contro l’immigrazione costa: il muro alla frontiere del Messico, i privati che gestiscono oltre il 90% delle detenzioni per immigrazione clandestina, l’acquisto di nuovi posti di detenzione: “gli Stati Uniti spendono oltre 3 miliardi di dollari all’anno per il più grande sistema di detenzione di immigrati del mondo”.[5]

Ma Big Tech, in modo del tutto controintuivo, dovendo affrontare una fase di grandi investimenti la cui resa non è ancora prevedibile, e cioè dovendo portare avanti la sfida sull’intelligenza artificiale, vorrebbe avere un campo di gioco il meno disturbato e il meno incerto possibile. Così si trova di fronte ad una scelta paradossale: appoggiare il governo per avere protezione e ottenere contratti e una regolazione di favore, pur sapendo che si tratta del governo più ondivago e imprevedibile che si possa immaginare.

Big tech e politica di protezione: vantaggi e rischi

Quale sarà la durata di questa corsa a stringersi alla corte del presidente? Non saranno i cento metri: potrebbe essere una corsa ad ostacoli o, più probabilmente, una corsa di resistenza, se vogliamo seguire Agnelli (Giovanni il fondatore), che se ne intendeva di lobby, secondo il quale “gli industriali sono ministeriali per definizione”[6].

Big Tech vuole mantenere e possibilmente sviluppare i lucrosi contratti che ha maturato negli anni precedenti all’avvento di Trump. Vi sono attività lucrative che si legano direttamente alla messa a disposizione delle banche dati e delle analisi disponibili attraverso le piattaforme dei social network, nell’ambito della sicurezza e del controllo dell’immigrazione. “Aziende come Palantir, Amazon, Salesforce e altre hanno offerto i loro servizi per integrare tutte queste diverse fonti di informazioni in strumenti che possono essere utilizzati per prendere di mira gli immigrati. Tra i servizi che l’agenzia Immigration and Customs Enforcement (ICE) sta attivamente cercando c’è quello che chiama “analisi predittiva e modellazione”. Si stima che dal 2020, ICE e altre agenzie correlate abbiano speso quasi 7,8 miliardi di dollari attraverso 15.000 contratti con 263 società private su tecnologie relative all’immigrazione”[7]. Con il secondo mandato di Trump i servizi di Big Tech per le agenzie di sicurezza aumenteranno sicuramente.

Ma è poi vero che questa strada che porta ad allineare Big Tech con Trump, è la strada per proteggere il business? Non vi è forse il rischio che le tensioni create dalle politiche sovraniste finiscano per anticipare la fine della supremazia americana che aveva beneficiato della galoppata delle aziende tecnologiche nella prateria dei mercati globali non regolati.

Big Tech si stringe intorno alla presidenza e alle sue politiche protezioniste, ma non vi è alcun futuro per big tech nelle politiche protezioniste. Non è proprio il “protezionismo giuridico” dell’Unione europea la pietra dello scandalo contro cui si sono scagliate le piattaforme? Perché mai la politica isolazionista e protezionista di Trump dovrebbe favorire lo sviluppo globale delle piattaforme americane? In realtà quella politica sta accelerando la crescita e la presa di indipendenza tecnologica e finanziaria delle compagnie cinesi. E veniamo così all’altra corsa a corte del presidente, quello che sta a Pechino e non Washington.

Le bigh tech cinesi alla corte di Xi

Il presidente cinese Xi Jinping ha riunito il 17 gennaio i capi delle grandi aziende tecnologiche cinesi, compreso Jack Ma, il fondatore di Alibaba, che era stato escluso dalle apparizioni pubbliche recenti e pesantemente penalizzato dalle decisioni delle autorità di bloccare la quotazione dell’azienda finanziaria e di pagamenti digitali Alipay. Gli altri leader delle aziende tecnologiche erano:il fondatore di Huawei Ren Zhengfei, il CEO di BYD Wang Chuanfu, il CEO di CATL Zeng Yuqun, il CEO di Tencent Pony Ma, il CEO di Meituan Wang Xing, il CEO di Xiaomi Lei Jun, e il CEO di DeepSeek Liang Wenfeng.[8] Xi ha riconosciuto l’enorme potenziale che le aziende tecnologiche rappresentano per la Cina. “E’ il momento giusto per le aziende private e per gli imprenditori per crescere” ha detto il presidente. Una affermazione resa particolarmente efficace essendo uscita poche settimane dopo l’annuncio di DeepSeek sui modelli AI.

L’incontro di Xi con le aziende tecnologiche dimostra che la Cina è preoccupata della riduzione del suo tasso di crescita, solo in parte legato alle tensioni internazionali, e in parte dovuto all’innalzamento dei salari e dei costi immobiliari. Quest’ultimo settore è altamente indebitato, con solvibilità critica e rischio di bolla immobiliare sempre presente. Solo la crescita delle aziende tecnologiche può dare sfogo ad una disoccupazione giovanile crescente e può offrire risorse al decisore politico riguardo alla rincorsa geopolitica con gli Stati Uniti, che ruota intorno all’intelligenza artificiale. Nell’arco di pochi anni essa ridefinirà completamente i sistemi di attacco edifesa e quindi renderà ampiamente superati i sistemi d’arma su cui, ancor oggi, si basa la supremazia americana in campo militare.

Sembra quindi di assistere ad una riedizione del motto “arricchitevi” del primo Deng Xiao Ping (1989) quando invitò il popolo cinese ad abbandonare il modello egualitario e pauperistico di Mao. Ma vale ancora la previsione napoleonica, che quando la Cina si sveglierà scuoterà il mondo? O meglio è ancora in atto il risveglio della Cina? Credo che il risveglio geostrategico sia cominciato in ritardo rispetto a quello economico. Un risveglio che passa attraverso le nuove tecnologie e il loro controllo. Qui la Cina ha ancora molto da dire e l’America, con le politiche di Trump, molto da perdere. Entrambi gli imperatori esibiscono i muscoli delle proprie aziende tecnologiche all’avversario, quello che una volta si faceva con le sfilate di carri armati, in cui la Russia era maestra. E quindi gli scossoni, anche quelli incoerenti e burattineschi, sono ancora da leggere in chiave di sconclusionata risposta al risveglio della Cina. [9]

Note


[1] Juliana Kim, Bobby Allyn,  Elon Musk’s X sues Lego, Nestlé and more brands, accusing them of advertising boycott, Npr. February 1, 2025.

[2] Bobby Allyn, Meta agrees to pay Trump $25 million to settle lawsuit over Facebook and Instagram suspensions. Npr. January 29 – 2025.

[3] Jenna Ruddock, Mark Zuckerberg and the Internet for Billionaire,Tech Policy Press,

Jan 14, 2025

[4] Barb Markoff, Christine Tressel, Adriana Aguilar, Tom Jones and Mark Rivera,  ICE touts immigration arrests, others warn of Congress approving $10B ‘blank check’ for enforcement, ABC7 Eyetimes News,  Thursday, March 13, 2025.

[5]) National Immigrant Justice Center, Congress Must Reject Disastrous Budget Proposals That Cut Vital Services for U.S. Communities to Fuel Mass Deportation Machine, February 21, 2025.

[6] Paolo Alatri, La FIAT dal 1921 al 1926, Belfagor Vol. 29, No. 3 .

[7] Ulises Ali Mejias,  Big Tech is powering Trump’s immigration crackdown And the only way to resist it is grassroots mobilisation against the all-powerful broligarchy, Al Jazeera,9 Feb. 2025.

[8]  John Liu,, In from the cold? Alibaba co-founder Jack Ma spotted among top tech bosses who met China’s Xi, CNN,  February 17, 2025.

[9]  Ezra Vogel, Deng Xiaoping and the transformation of China, Harvard University Press, 2013.

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