Mercoledì 15 luglio la Commissione Europea ha presentato un pacchetto di misure fiscali per sostenere la ripresa economica e combattere gli abusi fiscali nell’Unione Europea. Quello di cui si discute è ben più ampio della sola cosiddetta web tax, ma riguarda una serie di scappatoie fiscali frutto delle differenze di trattamento nei vari paesi UE.
Che la questione sia importante e irrimandabile ce l’ha ricordato ieri la sentenza del Tribunale dell’Unione europea che ha annullato 13 miliardi di tasse arretrate ad Apple, chieste dalla Commissione ue nel 2016 alla luce di accordi fiscali che l’azienda ha fatto con l’Irlanda.
Ma “la pandemia di coronavirus ha fatto sì che sia più importante che mai per gli Stati membri avere entrate fiscali sicure”, ha detto la Commissione in un recente comunicato stampa. Le nostre democrazie non sono sostenibili – soprattutto in questa fase in cui il sostegno pubblico è necessario in Europa e Usa per riparare i danni causati dal virus all’economia – se chi guadagna di più non paga più tasse degli altri. Il rischio è l’aumento delle diseguaglianze, che già galoppano dagli anni 80 a oggi, come ribadito da un recente libro del premio nobel Joseph Stiglitz; gli fanno coro l’osservatorio Oxfam e l’economista Thomas Piketty in un appello comune di giugno: “servono tasse più giuste, dopo la pandemia”.
Il pacchetto della Commissione
Nel mirino delle contestazioni di Commissione ed economisti tutte le multinazionali (come già in passato Starbucks, che pure ha ottenuto l’annullamento degli arretrati); e soprattutto quelle tech, Amazon, Apple, Google in testa, abilissime a sfruttare i loophole delle normative fiscali, europee e americane, per pagare pochissime tasse. O anche nessuna, com’è riuscita a fare Amazon nel 2017-2018 negli Stati Uniti.
Sembra chiaro che non saranno le forzature della Commissione, prontamente annullate dai tribunali, a cambiare la situazione. Ma un nuovo quadro normativo.
Il pacchetto cerca di aumentare l’equità fiscale, intensificando la lotta contro l’abuso fiscale, frenando la concorrenza fiscale sleale e aumentando la trasparenza fiscale. Esso include una proposta sulla cooperazione amministrativa che estende le regole di trasparenza fiscale dell’UE alle piattaforme digitali.
Quest’ultima proposta mira a garantire che gli Stati membri dell’UE si scambino automaticamente informazioni sui ricavi generati dai venditori sulle piattaforme online. Essa cerca anche di rafforzare e chiarire le regole in altri settori in cui gli Stati membri lavorano insieme per combattere gli abusi fiscali, ad esempio, attraverso verifiche fiscali congiunte.
Il pacchetto di mercoledì comprende anche altre due iniziative. Il Piano d’azione fiscale cerca di rendere la tassazione più semplice, più equa e più adatta alle moderne tecnologie entro il 2024. La comunicazione sulla buona governance fiscale comprende una riforma del Codice di condotta, che affronta la concorrenza fiscale e affronta le pratiche fiscali dannose all’interno dell’UE, e propone miglioramenti all’elenco delle giurisdizioni non cooperative dell’UE.
Questo è un processo in corso da tempo: in 4 anni sono state valutate 95 giurisdizioni e sono stati eliminati oltre 120 regimi fiscali dannosi.
La Commissione ha dichiarato che il pacchetto appena annunciato è “la prima parte di un’ampia e ambiziosa agenda fiscale dell’UE per i prossimi anni” ed ha detto che lavorerà anche su “un nuovo approccio alla tassazione delle imprese per affrontare le sfide dell’economia digitale e garantire che tutte le multinazionali paghino la loro giusta quota”. L’agenda prevede anche una transizione verso una tassazione più verde, ha aggiunto.
In un editoriale sul Financial Times, Paolo Gentiloni ha detto che l’Europa “rimane impegnata” nella ricerca di una soluzione globale a livello Ocse per risolvere la questione della tassazione dell’economia digitale “Ma se questo non sarà possibile entro l’anno, presenteremo una nuova proposta UE; Nel frattempo la Commissione è unita nel sostegno a quei Paesi minacciati dalle sanzioni Usa perché hanno adottato una tassazione nazionale sui servizi digitali. E se necessario reagiremo” tutti insieme.
Gli incontri in sede Ocse sono bloccati da gennaio, complice lo stallo del premier Usa Trump.
Il braccio di ferro con l’Irlanda
Per riuscire nel suo intento, la Commissione Europea ha proposto di utilizzare una clausola del trattato finora inutilizzata per aggirare il veto nazionale sulle questioni fiscali.
In una mossa che si prevede si rivelerà molto controversa, la Commissione ha proposto di sfruttare l’articolo 116 del Trattato di Lisbona per evitare l’unanimità richiesta per introdurre modifiche alle norme fiscali a livello UE.
L’articolo 116 stabilisce che se la Commissione ritiene che le differenze nelle modalità di attuazione delle norme UE negli Stati membri finiscano per distorcere la concorrenza all’interno del mercato unico, può “emanare le direttive necessarie” attraverso la “procedura legislativa ordinaria”.
Ciò significherebbe passare al voto a maggioranza qualificata anziché all’unanimità.
Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione, ha dichiarato che “L’articolo 116 del trattato serve ad affrontare le distorsioni del mercato unico ed è vero che alcune strutture fiscali possono creare distorsioni anche nel mercato unico. – È proprio per questo motivo che la Commissione sta lavorando in questo settore ed è pronta a presentare proposte su come affrontare alcune strutture fiscali dannose che causano distorsioni nel mercato unico sfruttando l’articolo 116 del trattato. – Naturalmente siamo a conoscenza delle discussioni anche tra gli Stati membri. Ma penso che sia vero che dobbiamo esplorare diverse strade per rendere la tassazione più efficace, per colmare le diverse scappatoie nei nostri sistemi fiscali, per chiudere le strutture fiscali dannose, e l’articolo 116 può essere utile a questo proposito”.
L’idea non è nuova. Il ricorso all’art. 116 è stato citato anche dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen in un discorso tenuto all’inizio di quest’anno. Tuttavia, Gentiloni ha ammesso che, dato che sarebbe la prima volta che viene utilizzato l’articolo 116, una sua applicazione dovrebbe essere basata su dei fatti inconfutabili.
L’intento della Commissione e del Parlamento Europeo sarebbe di stabilire la liceità di votare le nuove misure fiscali con la maggioranza qualificata e non con l’unanimità, per superare i veti di pochi stati come per l’appunto l’Irlanda, e potenzialmente il Lussemburgo e Malta.
Ovviamente l’Irlanda non è di questo parere, e lo ha fatto sempre presente sostenendo che per intervenire su qualsiasi proposta fiscale a livello UE sia necessaria l’unanimità
In una conferenza stampa il ministro delle finanze irlandese Paschal Donohoe ha detto che non avrebbe commentato una proposta finché non l’avesse vista in dettaglio ed ha altresì detto che “Le nostre preoccupazioni e le nostre opinioni in relazione al mantenimento dell’unanimità nel modo in cui vengono seguite certe procedure decisionali sono ben note”.
La tassazione del reddito da agenti digitali
Per quanto riguarda la “web tax”, l’approccio principale che si sta esplorando in sede OCSE riguarda la ridefinizione del luogo in cui il servizio viene fornito per le transazioni immateriali. L’idea principale è quella di rivedere la scelta convenzionale di stabilire come luogo di produzione del valore il luogo in cui si trova la stabile organizzazione dell’impresa e di determinare che invece sia il luogo in cui si trova il consumatore.
Questo è anche uno degli aspetti presenti nella proposta di legge che presentai nel 2014 mentre ero in Parlamento.
Anche se in linea di principio può essere corretto, si tratta di una misura specifica che ha un forte impatto sugli Stati membri sopracitati ed espone potenzialmente a ritorsioni da parte degli USA. Le tensioni che rallentano il lavoro in seno all’OCSE e gli avvertimenti twittati dall’amministrazione statunitense sono ben noti.
Chiamarla web tax, a mio avviso, è tuttavia impreciso, in quanto non coglie la natura del tipo di transazioni che devono essere tassate.
L’OCSE ha definito una convenzione sul reddito e sulla tassazione che descrive in dettaglio le classi di reddito e il modo in cui dovrebbero essere trattate quando si opera a livello transfrontaliero.
Queste sono:
– Reddito da beni immobili
– Profitti aziendali
– Spedizioni internazionali e trasporto aereo
– Imprese associate
– Dividendi
– Interesse
– Royalties
– Plusvalenze
– Reddito da lavoro dipendente
– Compensi agli amministratori
– Intrattenitori e sportivi
– Pensioni
– Servizio governativo
– Studenti
– Capitale
Tutte queste categorie di tassazione fanno riferimento a tre macrocategorie di redditi:
- Reddito da lavoro: come lo stipendio o il denaro ricavato da un’occupazione a tempo, che può includere la consulenza, il lavoro, la gestione di una piccola impresa, il gioco d’azzardo, ecc. Il reddito è lineare con l’attività: una volta che si smette di lavorare, si smette di guadagnare.
- Reddito da investimenti: è generato dalla vendita di un investimento a un prezzo superiore al costo originale (guadagno in conto capitale). Questi investimenti includono un alto livello di rischio in quanto si possono generare guadagni (generalmente) proporzionali al capitale investito (che può essere reinvestito aumentando i rendimenti) o perdite. Disporre di una sfera di cristallo potrebbe fare crescere questi redditi in modo esponenziale. Questi redditi non sono lineare con l’attività svolta.
- Reddito passivo: generato da attività acquistate o create. Esempi possono essere il reddito da locazione di beni immobili o altre forme di capitale investito, il reddito d’impresa (non basato sulla quantità di tempo e sforzo speso), il reddito da vendita di proprietà intellettuale. Può essere (e generalmente è) ricorrente, generalmente lineare rispetto ai beni impiegati.
Storicamente, tutti questi redditi potevano essere facilmente attribuiti in modo statico ad un numero limitato di Stati contraenti (un bene o un servizio prodotto in uno Stato e venduto in un altro).
Se pensiamo alle entrate generate dal SAAS (Software as a Service) vediamo che presenta caratteristiche diverse rispetto a queste tre categorie precedenti:
- non è lineare con l’attività, il tempo o lo sforzo;
- non è proporzionale al capitale investito;
- è generalmente ricorrente.
Inoltre,
- può coinvolgere diversi Stati contraenti che cambiano dinamicamente (le transazioni online possono essere effettuate in millisecondi tra parti residenti in diversi Stati, sotto l’ombrello di accordi quadro)
- può crescere in modo esponenziale (non impiegando manodopera, capitale variabile e non subendo perdite), e
- ha costi marginali (quasi) nulli, rendimenti che possono essere proporzionalmente più alti degli investimenti e quindi possono essere considerati investimenti irrecuperabili
Se prendiamo in considerazione queste caratteristiche, vediamo che si tratta di un tipo di reddito molto diverso rispetto ai tipi di reddito che abbiamo conosciuto finora. E’ un reddito generato da una macchina (come sarebbe per gli investimenti di capitale con costi variabili e un luogo di produzione), ma (sostanzialmente) senza l’investimento di capitale, senza il costo variabile e senza il luogo di produzione.
Non è semplicemente “automazione”, perché questo termine è già usato per descrivere situazioni in cui i costi variabili esistono, dove gli investimenti di capitale sono importanti, dove il reddito non può crescere in modo esponenziale, dove gli stati contraenti sono stabili.
Potremmo piuttosto chiamarlo Digital Agent Income (può, ma non ha bisogno di essere “intelligente” come intendiamo per le applicazioni di intelligenza artificiale / machine learning)
Il fatto che le discussioni su un nuovo tipo di imposta facciano riferimento ad una “web tax”, a mio avviso è frutto di uno strabismo: l’attenzione è focalizzata sui soggetti da tassare o sulla funzione e l’utilità delle attività/servizi immateriali soggetti a tassazione (es. pubblicità, servizi alberghieri, ecc.) ma non sulla natura di questi redditi.
A mio avviso occorre una innovazione giuridica: si dovrebbe riconoscere la diversa natura di questi redditi e conseguentemente, in sede OCSE, operare per definire una quarta categoria di reddito, il Reddito da agenti digitali, e per una sedicesima categoria di imposta, che superi il concetto della stabile organizzazione.
In conclusione
Non sarebbe la prima volta che una tecnologia ha richiesto di introdurre una innovazione radicale nel quadro giuridico: quando i furti di elettricità hanno cominciato a verificarsi, i codici penali non erano adeguati. Il concetto di furto riguardava solo le cose mobili e l’elettricità non è una “cosa mobile”, come può essere rubata? Pertanto, sono stati introdotti nell’ordinamento giuridico articoli specifici in cui si afferma che anche l’elettricità, pur non essendo tale, è considerata una cosa mobile e quindi si applicano tutte le leggi in materia di furto. Si trattava di un bene con caratteristiche radicalmente diverse da quanto precedentemente conosciuto e per regolarlo era necessaria un’innovazione giuridica.
Forse solo un’innovazione giuridica può permettere alle nostre democrazie di tenere il passo con l’innovazione tecnologica. E così salvarsi dal tracollo.