Il tema della gare media è oggi al centro del dibattito tra gli operatori del settore della comunicazione e non solo. Si discute, in particolare, delle modalità di gestione delle gare media, degli equilibri (o meglio, degli “squilibri”) tra gli attori coinvolti (inserzionisti, media auditor e centri media), nonché dell’avvertita perdita costante di valore derivante da troppe gare media sempre più spesso giocate al ribasso in un contesto non propriamente regolamentato e soggetto ad uno stravolgimento delle dinamiche del mercato.
La ridefinizione del ruolo dei centri media
La rivoluzione digitale e l’avvento dei giganti del web, la conseguente disintermediazione che caratterizza ormai il settore della raccolta pubblicitaria online, la comparsa nell’arena competitiva delle società di consulenza e di media auditing come concorrenti dei centri media non solo nel settore della consulenza ma anche dell’intermediazione nei canali tradizionali (TV, stampa, radio etc.), così come la drastica riduzione delle overcommission o relativa sistematica traslazione agli inserzionisti – unitamente ad altri fenomeni – hanno condotto ad una ridefinizione importante del ruolo giocato sinora dai centri media.
Un ruolo che – stando anche a quanto affermato dall’AgCom nell’indagine conoscitiva sulla raccolta pubblicitaria del 2012 – appare di indiscutibile valore per garantire la qualità della comunicazione in un mercato sempre più caratterizzato dall’avvento dei giganti del web (i cosiddetti OTT) e dall’impatto che internet sta avendo sul pluralismo dell’informazione.
Così come indiscutibile, in tale scenario, è il valore delle gare e il ruolo legittimo di soggetti “super partes” (laddove svolto in tali termini) ricoperto dai media auditor nella gestione delle stesse.
Quel che oggi viene discusso è invece il tema della gestione delle gare come “griglia” di accesso al mercato della raccolta pubblicitaria, e gli effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare in futuro per i vari stakeholder da un fenomeno poco trasparente e in balia delle decisioni dei player maggiormente in grado, allo stato attuale, di imporre la propria volontà (gli inserzionisti e i media auditor).
Stando a quanto riferito da Marco Girelli, Vice Presidente di Assocom (l’associazione che raggruppa i principali operatori del settore), in occasione del convegno annuale “Comunicare Domani 2018”, tenutosi lo scorso 13 luglio presso l’Università IULM di Milano, “le gare rappresentano un fenomeno ormai diffuso. Nel 2017 si sono svolte 77 gare media per un valore pari a circa 550 milioni di euro. In Italia, dunque, le aziende, sia di grande dimensione, ma anche realtà di dimensioni più piccole, ricorrono ormai per la maggior parte delle proprie esigenze allo strumento della gara. Delle 77 consultazioni, infatti, solo il 10% ha riguardato clienti con budget superiori ai 10 milioni di euro”.
L’evoluzione del mercato
Gli aspetti maggiormente rilevanti nell’analisi delle gare media coinvolgono, peraltro, una serie di profili giuridici di cui è bene tener conto.
Al riguardo, è degno di nota il discorso tenuto, in occasione del citato convegno, dall’avv. Stefano Morri, partner dello studio legale Morri Rossetti e Associati che, nel corso del 2017 e del 2018, ha condotto una indagine per conto di Assocom sui principali aspetti legali connessi allo svolgimento di gare media e sull’evoluzione del mercato dell’intermediazione pubblicitaria che, come riferito, negli ultimi anni ha vissuto un marcato mutamento degli equilibri tra le forze in gioco, rispetto al quadro tratteggiato da AGCOM nella citata indagine conoscitiva.
Nel proprio intervento, intitolato “Gare media: oltre il pregiudizio“, sono stati illustrati i profili legali delle gare media come generalmente condotte e le diverse criticità riscontrate ai danni delle agenzie e dei centri media, sotto il profilo del diritto della tutela del segreto commerciale (tema di estrema attualità, considerata anche la recente emanazione del D.lgs. 63/2018 attuativo della direttiva (UE) 2016/943 sulla protezione del know-how e dei segreti commerciali contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti, che modifica diverse norme del codice della proprietà industriale e del codice penale) così come della concorrenza.
Di seguito, una sintesi delle principali tematiche affrontate e alcuni spunti di riflessione per gli operatori del settore.
Lo scenario giuridico delle gare media
Le osservazioni condotte sulle gare rivelano come le regole civilistiche, commerciali e penali rilevanti in tale settore corrano il rischio in molti casi di essere violate, anche involontariamente, dagli inserzionisti e dai loro consulenti (i media auditor) nell’ambito della gestione di una gara media. Lo scenario che si palesa al giurista dall’analisi del fenomeno delle gare mostra, infatti, una serie di ipotesi di illeciti che comprendono la violazione della buona fede nelle trattative, l’appropriazione e l’utilizzo illecito di segreti commerciali, fino a ipotesi più sofisticate, incentrate sulla figura dell’abuso di dipendenza economica, nonché sullo sfruttamento abusivo di posizioni di dominio sul mercato delle gare.
Essendo la gara, da un punto di vista giuridico, un processo legittimo di negoziazione contrattuale – volto all’ottimizzazione delle condizioni di contratto in favore dell’inserzionista che ha indetto la gara attraverso la competizione dei potenziali contraenti – essa dovrebbe rispondere innanzitutto ai requisiti tipici di ogni trattativa contrattuale, ovvero al principio della buona fede di cui all’articolo 1337 del codice civile.
La gara, cioè, dovrebbe essere condotta secondo correttezza, rispetto e considerazione per le ragioni di tutte le parti in gioco ed esplicarsi attraverso regole operative di buona condotta che rispecchino tali principi.
Ne consegue che:
- il brief, ad esempio, dovrebbe presentare i caratteri della chiarezza, completezza e precisione, ed essere comunicato in modo paritetico e coevo a tutti i concorrenti;
- le informazioni fornite dai centri media – che rappresentano l’espressione del know-how dell’agenzia – dovrebbero essere tutelate e non utilizzate in maniera illecita (i.e. per finalità diverse da quelle per cui sono state raccolte);
- i round di negoziazione dovrebbero essere condotti (soprattutto dai media auditor) nel rispetto del lavoro dei centri media, senza porre in essere condotte (quali, ad esempio, round al ribasso in condizioni di scarsa o, inesistente, trasparenza) che – in un’ottica di massimizzazione dei profitti puramente economici derivanti dalla gara – inducano ad uno svilimento del valore sotteso al lavoro dei centri media;
- l’esito della gara dovrebbe essere comunicato a tutti i concorrenti, unitamente ai criteri applicati per la scelta del vincitore e alla restituzione della documentazione acquisita ai centri media perdenti, che l’inserzionista e il media auditor dovrebbero astenersi dall’utilizzare per altri scopi.
Le norme a tutela dei segreti commerciali
Oltre al principio generale di correttezza e buona fede vi sono poi norme, più specifiche e pregnanti contenute nel codice della proprietà industriale, che attengono alla tutela dei segreti commerciali. Tali norme vengono in rilievo nella misura in cui le informazioni che le agenzie comunicano all’inserzionista nel processo di gara il più delle volte costituiscono proprio dei segreti commerciali (si pensi al contenuto di un documento strategico, alle informazioni relative ai prezzi e alle condizioni proposte al potenziale cliente); la loro natura giuridica di know-how è peraltro confermata sia dall’AgCom nell’ambito dell’Indagine conoscitiva che dalle Linee Guida WFA/EACA del 2010.
Tali segreti commerciali non dovrebbero quindi essere utilizzati per scopi impropri né essere rivelati a terzi, ma tutelati da strumenti (non solo legali ma anche tecnologici) che risultino adeguati a garantirne la riservatezza e un utilizzo strettamente finalizzato al perseguimento degli obiettivi della gara.
L’abuso di dipendenza economica
Un ulteriore profilo giuridico che parrebbe venire in luce nell’ambito delle gare media, riguarda il cosiddetto abuso di dipendenza economica che (attraverso una lettura estensiva dell’art. 9 della legge n. 192/1998) si manifesta allorché un’impresa dotata di maggior forza contrattuale sia in grado di determinare “nei rapporti commerciali” con la controparte un “eccessivo squilibrio di diritti e obblighi”, facendo leva su una “reale” impossibilità, per l’impresa dipendente, “di reperire sul mercato alternative soddisfacenti”.
E’ evidente che la tesi assume particolare rilievo non solo nella misura in cui le gare assurgano al ruolo di griglia per la quale le agenzie debbano ormai passare per accedere agli incarichi di intermediazione pubblicitaria nei canali tradizionali (anche se, stando a quanto riferito dai principali operatori di settore, tale fenomeno risulterebbe ormai evidente) ma anche in considerazione del fatto che la maggior parte della raccolta pubblicitaria (circa il 70%) passa ormai per un mercato digitale fortemente concentrato nonché totalmente disintermediato, caratterizzato dalla dominanza dei giganti del web.
In ogni caso, non si può non condividere l’osservazione secondo cui “un mercato in cui un attore è in grado di imporre ad altri condizioni che sistematicamente violino le più elementari regole di correttezza, è un mercato che segnala sicuramente delle anomalie”.
Lo scenario concorrenziale del mercato
Infine, non si può trascurare che lo scenario concorrenziale che caratterizza il mercato della raccolta pubblicitaria, nella sua conformazione attuale, appare oggi decisamente mutato rispetto a quello analizzato da AgCom nel 2012, nell’ambito del quale veniva tratteggiato un ritratto positivo di soggetti “super partes” dei media auditor, chiamati a colmare un importante gap informativo tra centri media (considerati al tempo come gli oligopolisti del settore) e gli inserzionisti.
In tale contesto, appare fondata l’esigenza di un aggiornamento degli studi sul mercato della comunicazione anche da parte delle competenti Autorità di vigilanza, al fine di cogliere gli imponenti cambiamenti intervenuti e gli eventuali nuovi elementi di criticità di questo ambito pubblicitario quale base per una corretta valutazione di eventuali misure o iniziative correttive.
Regole di buona condotta e best practice
Ad avviso di chi scrive, sembra saggio l’invito rivolto a tutti gli operatori del settore di elaborare congiuntamente delle regole di buona condotta e di best practice che mettano al riparo dalla perpetuazione di comportamenti che, oltre ad apparire discutibili sul piano giuridico, potrebbero mettere seriamente a repentaglio elementi della catena del valore del mercato della comunicazione.
I rimedi offerti dalla giurisdizione devono essere gli ultimi cui ricorrere poiché appaiono una soluzione meno adeguata rispetto alla comunicazione e al dialogo, i quali sono fondamentali non già per creare blocchi o dare ragioni ideologiche di conflitto, ma per far capire che la competizione di mercato, valore imprescindibile, deve avvenire nella correttezza e nel rispetto, salvando i valori, anziché distruggendoli.