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Le mani delle big tech sull’AI: i rischi per concorrenza e privacy



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L’assunzione dei co-fondatori di Character.ai da parte di Google riaccende le preoccupazioni sul predominio delle Big Tech nell’ecosistema digitale, che rende sempre più difficile la competizione per le start-up. Le autorità antitrust e di protezione dei dati personali stanno esaminando le implicazioni di queste acquisizioni. Ecco le sfide emergenti

Pubblicato il 1 ott 2024

Federica Giaquinta

Consigliere direttivo di Internet Society Italia



AI e big tech (1)

Da quando Google ha assunto i co-fondatori di Character.ai, una prominente start-up di intelligenza artificiale, si sono riaccese le preoccupazioni secondo cui anche le start-up ben finanziate non possano competere con le aziende dominanti che hanno voce in capitolo sulla tecnologia.


Questo è quanto emerge da un recente approfondimento del Washington Post in cui si rende chiaro quanto l’architettura tecnologica dell’attuale panorama digitale passi dal controllo unico delle big tech: il colosso californiano, infatti, detenendo già una posizione dominante in numerosi settori collegati all’innovazione digitale, dimostra come ogni nuova acquisizione non rappresenti soltanto un’operazione commerciale, ma un potenziale ampliamento del controllo che l’azienda esercita sull’ecosistema globale.
E a renderlo palese sono proprio i due ricercatori di AI – Noam Shazeer e Daniel De Freitas, che lasciarono l’azienda di Mountain View nel 2022 per fondare Character – valutata, tra l’altro, nel marzo dello scorso anno circa 1 miliardo di dollari – e che, alla fine, torneranno proprio negli uffici di Google, insieme ad alcuni dei loro dipendenti, a seguito di un accordo che prevede una transazione a favore della nuova start-up per accedere alla propria tecnologia di IA.

Big tech: acquisizioni per consolidare i monopoli

Pertanto, quando Google acquisisce un’azienda, non effettua semplicemente un’operazione di espansione del portafoglio prodotti, ma attua un consolidamento delle relative risorse, che può rafforzare ulteriormente il suo monopolio “de facto”.

Alla luce del caso riportato, in termini ancora più generali, si evince come la preoccupazione principale risieda nella capacità delle GAFAM di integrare nuove tecnologie e dati provenienti dalle svariate acquisizioni, nell’ottica di consolidare il proprio primato, rendendo ancora più difficile per le altre imprese competere nel mercato tecnologico.

I precedenti Amazon e Microsoft

In realtà, non è la prima volta che una simile pratica ha suscitato interesse mediatico: l’accordo, infatti, sembra sorprendentemente analogo ad altri due, che sono stati sottoposti al vaglio dei giudici per aver potenzialmente aggirato le leggi antitrust. A marzo, Microsoft ha assunto il capo di Inflection AI, un’altra start-up di chatbot che aveva ricevuto importanti finanziamenti, mentre a giugno, Amazon, ha annunciato un accordo del medesimo tenore con Adept AI, una start-up fondata dall’ex ingegnere di Google e OpenAI David Luan.

Sul piano pratico, ricorrendo i colossi tecnologici a un approccio “predatorio” di costante acquisizione aziendale, si creare una sorta di “circolo vizioso”, nella misura in cui le start-up desiderose di avanzare autonomamente si trovano spesso nella condizione di spingere rapidamente le loro tecnologie per tentare di renderle competitive al fine di sostenere la propria crescita e – contestualmente – costrette a pagare giganti come Google, Microsoft e Amazon per l’accesso ai loro chip attraverso servizi di cloud computing.

IA nelle mani delle big tech: il faro dell’antitrust UK

Proprio per tali ragioni, l’autorità di controllo della concorrenza del Regno Unito sembra aver avanzato “preoccupazioni reali” sul predominio dell’intelligenza artificiale delle grandi aziende tecnologiche. Infatti, la Competition and Markets Authority (CMA) esaminando svariati modelli ha scoperto una “rete interconnessa” di partnership in ambito IA che coinvolgono le stesse aziende (Google, Apple, Microsoft, Meta, Amazon e il produttore di chip Nvidia).
Peraltro, come ulteriore effetto collaterale, poiché le Big Tech utilizzano algoritmi di IA per inoltre raccogliere e analizzare enormi quantità di dati personali, spesso senza che gli utenti ne siano pienamente consapevoli, si potrebbero determinare criticità non solo a fini commerciali, ma anche per scopi più oscuri, come la sorveglianza di massa o il controllo politico.

Big Tech e protezione dati: ecco i rischi


Alla luce dello scenario delineato, risulta chiaro, quindi, come l’impatto dell’IA debba essere valutato ben oltre le pratiche anticoncorrenziali, dal momento che tale tecnologia emergente solleva preoccupazioni serie in termini di protezione dei dati personali, anche rispetto alle implicazioni operative determinate dagli algoritmi avanzati di cui sono dotate le piattaforme sociali, non solo per consolidare il proprio potere di mercato, ma anche per profilare e manipolare il comportamento degli utenti.

Non a caso, il Dipartimento di Giustizia Usa ha citato in giudizio TikTok e il suo proprietario cinese, ByteDance, accusandolo di aver violato “su larga scala” il Children’s Online Privacy Protection Act (noto come COPPA), a causa della raccolta dei dati di milioni di americani di età inferiore ai 13 anni: una mossa che non farà che aumentare ulteriormente le tensioni tra i funzionari federali e i vertici di una delle app più popolari del Paese.
Le mosse del Dipartimento di Giustizia seguono anni di sospetti espliciti sul fatto che TikTok potrebbe rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale, esponendo potenzialmente i dati personali degli americani al governo cinese: anche perché, tra l’altro, TikTok è la seconda piattaforma online più popolare tra gli adolescenti negli Stati Uniti, dopo YouTube, e il 17% degli americani di età compresa tra 13 e 17 anni afferma di utilizzarla “quasi costantemente”, secondo un sondaggio condotto dal Pew Research Center.

IA e concorrenza: le sfide da affrontare

Nel contesto di un mercato tecnologico sempre più dominato dai Colossi tecnologici (come Google) e piattaforme social (come TikTok), l’evoluzione dell’intelligenza artificiale solleva interrogativi cruciali per il futuro: quali saranno le sfide da affrontare per garantire una competizione leale quando l’IA viene utilizzata per rafforzare monopoli esistenti e soffocare l’innovazione? Come è possibile assicurare la protezione dei dati personali in un’epoca in cui l’IA permette una sorveglianza senza precedenti, con piattaforme telematiche che raccolgono, analizzano e utilizzano informazioni sensibili su scala globale? Sarà possibile sviluppare meccanismi di trasparenza e responsabilità che siano in grado di bilanciare l’innovazione tecnologica con il rispetto dei diritti individuali?

Conclusioni

Le normative attualmente vigenti (come il GDPR in Europa), cercano di mitigare tali rischi imponendo limiti cogenti sulla raccolta e l’uso dei dati personali. Tuttavia, la rapida evoluzione delle tecnologie IA spesso supera il sistema di tutele positivizzate dalle leggi al fine di proteggere la privacy degli utenti. Inoltre, la complessità degli algoritmi di cui sono dotati i modelli di IA e la loro natura opaca rendono difficile per i regolatori comprendere appieno tali insidie, così come risultano parimente gravoso monitorare le modalità concrete di utilizzo dei dati che vengono processati, creando ulteriori pregiudizi alla protezione dei diritti degli utenti.

Simili interrogativi sottolineano, quindi, la necessità di un approccio multidisciplinare che integri legislazione, etica e tecnologia, per affrontare le sfide emergenti dell’IA nel contesto di un mercato sempre più concentrato in ristrette cerchie di potere economico, e di un mondo digitale dove la privacy rischia di diventare un bene sempre più raro e difficile da tutelare.

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