Didacta

Le scuole si aprano agli eSport: ecco i valori che i ragazzi apprendono giocando

Gli eSport come ogni sport che si rispetti allenano lo stare insieme agli altri, il rispetto, la disciplina: valori di grande importanza per i ragazzi e per le relazioni sociali più ampi. Ecco perché, dopo aver fatto ingresso alle Olimpiadi, ora tocca alle scuole aprirsi al loro utilizzo

Pubblicato il 31 Mar 2023

Lorenza Saettone

Filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons

egaming

Tanto metaverso e realtà virtuale e finalmente proposte interessanti legate agli eSport e al gaming alla fiera Didacta 2023. Quattro giorni intensissimi in cui lavorando in prima persona tra gli stand ho avuto modo di ascoltare prof e dirigenti e di conoscere le molteplici proposte per l’innovazione scolastica – quest’anno ancora più rilevante alla luce dei fondi del PNRR. Scopriamo più nel dettaglio di cosa si tratta.

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Il faticoso ingresso dei videogame alle olimpiadi

Nel 2021 è stato finalmente approvato l’ingresso dei videogame nelle Olimpiadi, non quelle del 2024 in Francia, ma una categoria a sé stante, a cui il Comitato ha comunque acconsentito fosse utilizzato il termine “Olimpiadi” per riferirsi a questa sfida internazionale di sport virtuali che proprio a giugno vedremo per la prima volta a Singapore. Si tratta della prima Olympic Esport Week della storia e vedrà scontrarsi professionisti e amatoriali in una serie di Esport scelti perché fosse evidente la continuità con i valori olimpionici e con l’idea comune di sport, anche da parte del pubblico non abituato al gaming. I virtual sport presenti, tra mobile game, console game, physical game e giochi al pc, saranno nove e replicheranno baseball, motorsport, canottaggio, ciclismo, danza, scacchi, taekwondo, tennis e tiro con l’arco. Il pubblico potrà assistere ai giochi sulla piattaforma ufficiale olimpica e sul profilo Instagram @Olympics.

È stato un processo di accettazione faticoso, ma c’è ancora strada da percorrere perché videogame ed eSport vengano considerati dalla società civile con la serietà dovuta: sono lavori a prescindere dall’hobby. Parallelamente a questo percorso di accettazione internazionale anche l’Italia ha cominciato a muoversi verso la stessa direzione. Nel 2022 è nato il primo campionato eSport per gli Istituti superiori. L’iniziativa è portata avanti da Maker Camp e CampuStore, con l’obiettivo di contrastare l’abbandono scolastico e di avvicinare i ragazzi, grazie alla passione per i videogame, alle materie STEM.

La necessaria apertura delle scuole al gaming

Il founder di Maker Camp, Marco Vigelini, è noto per aver contribuito a diffondere la didattica applicata ai videogiochi. Ideatore della Lega Scolastica Esports, ha l’obiettivo da molti anni di avvicinare il mondo del gaming al mondo della scuola e della cultura, creando esperienze didattiche, educative e museali all’interno di piattaforme come Minecraft, Roblox, The Sandbox e Fortnite, le quali sarebbe riduttivo e fuorviante definirle semplicemente “giochi”. Vigelini fu il primo a portare Minecraft nelle nostre aule scolastiche e infatti è stato nominato tra i 10 migliori educatori Minecraft al mondo e unico formatore certificato Minecraft qui in Italia.

Ho avuto modo di chiacchierare con lui all’interno della fiera, trovandoci a condividere lo stesso obiettivo di aprire la Video Game Culture al pubblico, mostrando gli utilizzi didattici, psicologici, sociali del medium. In particolare, assieme a CampuStore, Vigelini sta portando avanti l’iniziativa di aprire gli istituti al pomeriggio e incentivare la diffusione degli eSport tra i ragazzi, insegnando loro, parallelamente, nozioni di Unity e Unreal Engine per programmare i propri videogiochi e guidarli verso una carriera nel gaming o nel mondo dell’informatica in senso lato. (Ammetto che vorrei tornare a scuola io stessa alla luce di queste opportunità per gli istituti superiori!) Insomma, un bel modo per ingaggiare i ragazzi, i gamer amatoriali, dando modo concreto, anche a chi non ha possibilità economiche di possedere un pc da gaming, di conoscere le carriere in questo settore, che, come più volte ho specificato, apre a tantissime professionalità, non solo ingegneristiche. Ormai la tendenza del gaming è molto legata alla trama; quindi, gli umanisti non si sentano esclusi!

I videogiochi come veicolo di valori culturali

Pensiamo anche all’uso, in crescita, dei videogiochi come veicolo di valori culturali. L’Unione europea e i Ministeri italiani non si stanno facendo scappare l’occasione, finanziando e incentivando le iniziative di videogiochi per il territorio e per la scuola. In effetti i musei sempre più spesso avvicinano i pubblici con strategie di gamification, dotandosi inoltre di propri gemelli virtuali a cui gli utenti possono accedere tramite visore. Il Piano nazionale di educazione all’immagine per le scuole promosso dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito vuole favorire l’educazione scolastica all’audiovisivo, facendo rientrare nel settore anche il gaming con il progetto Press Start to Learn.

Insomma, non ci sono più scuse per istituti scolastici e prof: i videogame non sono più il Caino della semiotica e della narrazione! Al contrario promettono lo sviluppo di competenze STEM e ingegneristiche, abilità sociali ed emotive, linguistiche, culturali, anche legate alle lingue straniere, visto che spesso i videogame non sono doppiati e visto che i multiplayer online fanno in modo che i ragazzi si incontrino con team e avversari da tutto il mondo, spingendoli a chiacchierare in inglese e a confrontarsi con culture diverse dalla propria.

I videogame come laboratori di etica

Mi spingo oltre. I videogame sono laboratori di etica nicomachea.

Durante il gameplay siamo protagonisti della storia in prima persona. L’immedesimazione non richiede eccessivo sforzo intellettuale e un’empatia già formata per entrare in certi temi, grazie alla quale riusciamo a porci nei panni di ciò che il film, il libro, la canzone raccontano. Infatti, se ci pensiamo, è più facile trovarsi ad ascoltare e ad apprezzare storie che parlano di noi o comunque non troppo distanti dal nostro vissuto: questo perché il carico cognitivo con cui ci immaginiamo nella storia è minore, avendo una base già molto simile e automatica, garantita da attivazioni di neuroni specchio e da rappresentazioni mentali già pronte all’uso. Poco sforzo e poca teoria della mente con cui immaginare intenzioni e obiettivi altrui significano il più delle volte piacevolezza.

Con il videogame non è così, anche situazioni molto diverse dalla nostra aprono varchi empatici immediati, permettendoci di attivare meno risorse mentali con le quali comprendere le prospettive degli attori coinvolti nella trama. Mentre muoviamo l’avatar dentro le regole dell’algoritmo, mentre agiamo nella trama, notiamo immediatamente che le nostre decisioni hanno un peso nella vicenda, sia nell’azione (l’avatar si muove quando lo vogliamo noi) sia nella storia (le trame non lineari cambiano l’esperienza dei gamer a seconda di quello che viene scelto durante il gameplay).

Questo collegamento immediato nel ciclo cognitivo tra percezione-azione tra noi e il videogame ci obbliga a sentire di essere personaggi con cui difficilmente avremmo empatizzato e a vivere l’ecologia (vedi Gibson) delle situazioni simulate con autentica partecipazione. È come se il videogame, per come è strutturato, ci guidasse, tramite l’agire, in uno stato mentale empatico immediato, condizione che altrimenti avrebbe richiesto al soggetto una sorta di esercizio spirituale e filosofico più macchinoso perché astratto e che pertanto in pochi avrebbero deciso di affrontare, specialmente dopo una giornata di lavoro carica di deadline.

Oltre alla facilità ad empatizzare garantita dall’azione sincrona tra noi e l’avatar e scene fluide prive di montaggi c’è un altro aspetto a fare sì che i videogame siano laboratori etici. Anzi, a mio avviso, la vera differenza è l’attività dentro alla storia: siamo co-autori nel videogioco e quindi ci dispiace scegliere senza criterio estetico (e quindi etico). Se leggiamo un libro o vediamo un film non ci sentiremmo mai responsabili e in colpa per una vicenda o una scelta. Certo, si può fare un lavoro di meta-analisi, discutendo a posteriori di un personaggio e della sua condotta. Ma non sarà mai come una vicenda vissuta in prima persona: il film e la meta-analisi non ci toccano nella vergogna e nell’onore. Il videogioco ha la particolarità di fare sì che il gamer si senta di dover garantire performace belle e quindi si sente responsabile per un game over e per la trama. È come un artista che non proporrebbe mai un proprio prodotto artistico raffazzonato.

Credo che il tipo di azione e di pragmatica che risulta dal gameplay sia efficace per far sentire ai ragazzi una reale responsabilità del proprio agire. Non bisogna pensare che un gioco debba avere un chiaro e palese intento pedagogico, perché il risultato, in questo caso, creerebbe solo allontanamento e una rappresentazione palesemente finta e stereotipata, inutile al’agire. È sufficiente rappresentare, con la responsabilità di chi crea, situazioni varie ed eterogenee, senza avere paura che un videogame non debba parlare di Amore, Morte, Diversità, Odio, Politica, Debolezza.

Il ragazzo, nel videogioco, è spinto a immedesimarsi nei temi e nei personaggi attraverso la sua stessa azione e a esperire in prima persona aut aut carichi di importanza sociale. Ciò significa educarsi a condotte etiche senza che alcun tipo di sermone, come accade nell’esperienza quotidiana.

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Aristotele sosteneva che nell’azione sociale ogni individuo fosse portato a costruire abiti di azione, una sorta di riflesso, di automatizzazione all’agire. Se morali, questi abiti avrebbero rispecchiato i valori comunitari, basati sul giusto mezzo, i quali, in ogni caso, sarebbero stati acquisibili solo con l’esperienza ad agire eticamente. Più ci alleniamo a essere morali più lo siamo senza sforzo. L’etica della virtù è un’etica concreta, non intellettualistica, non parla per generalizzazioni e non è a priori, ma si basa sul singolo individuo calato nella propria situazione che sceglie di volta in volta e si allena grazie al partecipare alla vita e alla comunità.

È chiaro allora perché sostengo che i videogame potrebbero essere laboratori di etica nicomachea! Sono strumenti in grado di avvicinare i ragazzi a personaggi e trame, facendo loro sperimentare punti di vista e dilemmi fondamentali, grazie al fatto di farli vivere decisioni in prima persona e in multi-persona. Anche durante le sfide multiplayer è inevitabile coordinarsi e cercare compromessi per trovare un comune obiettivo. Aspetto, questo, di grande importanza, soprattutto per etiche post-strutturaliste, post-moderne.

Conclusioni

Gli eSport come ogni sport che si rispetti allenano lo stare insieme agli altri, il rispetto, la disciplina: valori di grande importanza per i ragazzi e per le relazioni sociali più ampie. È importante che siano stati inseriti tra le Olimpiadi, competizioni in grado di fermare le guerre, così come mi pare degno di nota che gli istituti scolastici possano coinvolgere i ragazzi in attività veramente inclusive e genderless; potenti su così tante sfere della società e quindi della mente.

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