Negli ultimi due anni, l’eCommerce ha fatto un enorme salto in avanti. Con l’arrivo della pandemia e le conseguenti restrizioni, molti consumatori abituati ad acquistare perlopiù in negozio si sono riversati sugli shop digitali, generando una marcata espansione delle vendite online. La crescita è stata così forte e rapida che in pochi mesi il settore del commercio digitale ha fatto un balzo di un decennio.
Il clima che si respirava tra gli addetti ai lavori non poteva che essere di grande ottimismo, e in molti hanno visto in questa crescita poderosa un trend che sarebbe continuato con la stessa intensità anche nei mesi e negli anni a venire.
Eppure, non è andata esattamente come previsto. L’eCommerce oggi procede a un ritmo decisamente più lento. Con il progressivo rientro dell’emergenza sanitaria e le riaperture dei luoghi fisici, molti consumatori sono tornati a fare shopping in negozio. Diverse aziende hanno dovuto ridimensionare le previsioni di crescita e profitto – e in alcuni casi, anche il personale assunto.
Su questo rallentamento pesano le difficoltà e le incertezze relative alla guerra in Ucraina e alla particolare congiuntura economica (con l’alto livello di inflazione che ha colpito i nostri Paesi); ma a queste criticità si aggiungono anche quelle legate ai crescenti costi di advertising, che si inseriscono nel quadro di una più ampia evoluzione del marketing digitale in corso – dai problemi di privacy connessi a Google Analytics alla svolta anti-tracciamento, per non parlare dello spettro della rivoluzione post-cookie alle porte.
Quali sono le sfide che l’eCommerce si trova ad affrontare nello scenario di oggi? Quali cambiamenti all’orizzonte mettono a rischio i margini degli shop online e in che modo questi ultimi possono affrontarli con successo?
Un altro marketing (post-cookies) è possibile: strategie e contenuti per gli eCommerce
eCommerce, la corsa si è interrotta?
L’eCommerce è in crescita da anni; tuttavia, è indubbio che con la pandemia ha avuto una forte accelerazione. Nel 2020, la percentuale di vendite online sul totale, a livello globale, è salita al 17% dal 14% dell’anno prima[1], con una crescita che in alcuni Paesi è stata dalle 2 alle 5 volte più veloce rispetto ai livelli pre-Covid[2]. Si è parlato, specie in riferimento agli USA, di un salto in avanti di 10 anni avvenuto in appena 3 mesi (nell’arco del primo trimestre del 2020)[3]. Ancora nel primo trimestre del 2021, secondo lo Shopping Index di Salesforce, il commercio digitale globale ha registrato una crescita del 58% su base annua – con l’Italia tra i Paesi che più sono cresciuti in questo periodo con un tasso del 78% –, contro un valore di crescita annuale del 17% nel Q1 del 2020 (e del 26% per l’Italia)[4].
Il motivo di questi numeri è chiaro: costretti a casa, per via dei lockdown e delle restrizioni ai negozi fisici, i consumatori non hanno potuto far altro che acquistare online. Questo ha senz’altro cambiato le abitudini di molte persone, che hanno cominciato a rivolgersi all’online per l’acquisto di diversi tipi di articoli e anche per prodotti alimentari, con il Food & Grocery che non a caso è tra i settori più interessati dalla crescita dell’eCommerce[5] – ed è anche questo ad aver determinato la rapida diffusione del Q-commerce, con aziende come Glovo e Gorillas che proprio nell’ultimo anno hanno registrato un’espansione significativa.
Q-commerce: la nuova frontiera dell’eCommerce “in tempo reale”
Si è pensato che questo cambiamento sarebbe stato talmente profondo che anche con la fine delle restrizioni la curva di crescita delle vendite online non avrebbe incontrato flessioni. Così, diversi shop hanno investito sul proprio business online aumentando i rifornimenti, assumendo personale e costruendo magazzini.
Di fatto, però, la spinta propulsiva dell’eCommerce è andata nel tempo esaurendosi. Sempre stando al Shopping Index, i primi due quarter del 2022 hanno visto tassi di crescita su base annua con segno meno (rispettivamente del -2% e del -6%)[6]. Per quanto riguarda l’Italia, secondo l’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano, le vendite online nel 2022 hanno sì registrato un incremento (di 3 miliardi di euro), ma inferiore rispetto a quello del 2020 (+8 miliardi) e del 2021 (+5 miliardi)[7].
I fattori che stanno influenzando la dinamica dei consumi
Senza dubbio ciò dipende in larga parte dal fatto che, contrariamente alle aspettative di molti, non appena i negozi hanno riaperto, una grossa fetta di consumatori è tornata ad acquistare in negozio. “Come società, abbiamo alle spalle oltre 100 anni di abitudine ad andare in negozio per acquistare. Quella memoria muscolare non si spegne solo perché sei stato costretto a comprare online un paio di volte durante una pandemia”, afferma il Bernstein Research analyst Mark Shmulik[8]. Ma occorre anche considerare la particolare situazione degli ultimi mesi, segnata da una serie di eventi – dalla crisi ucraina all’aumento dei prezzi – che solo fino ad alcuni mesi fa erano difficili da prevedere. “L’instabilità geopolitica, l’inflazione, il rincaro dei beni energetici e delle materie prime, la crisi della supply chain, così come il ritorno alla piena attività dei negozi fisici, stanno influenzando la dinamica dei consumi, totali e online”, afferma Valentina Pontiggia, direttrice dell’Osservatorio eCommerce B2c[9].
Quel che è certo è che la combinazione di questi diversi fattori ha prodotto un deciso rallentamento non solo rispetto alla fase di piena emergenza pandemica, ma anche alle previsioni che in preda all’ottimismo allora si sono fatte sul futuro del commercio digitale. Il risultato di questa discrepanza fra aspettative e realtà è che “molte aziende di eCommerce hanno fatto troppi rifornimenti, troppi investimenti, troppe assunzioni e troppe costruzioni per via di un errore di interpretazione del mercato”[10]. E gli effetti di tutto ciò si cominciano a vedere.
Le piattaforme di eCommerce cominciano a tagliare
A luglio, Shopify, la società dell’omonima piattaforma eCommerce, ha annunciato il licenziamento di circa 1000 dipendenti, ossia il 10% della sua forza lavoro complessiva. Come afferma il CEO dell’azienda Tobi Lutke: “Abbiamo scommesso che il crescente mix di spesa online rispetto al commercio nei negozi avrebbe fatto un balzo in avanti di 5 o addirittura 10 anni. Abbiamo lavorato per soddisfare la previsione di un passaggio consistente all’eCommerce, raddoppiando la nostra base di dipendenti dalla fine del 2019. Ora è chiaro che la scommessa non ha dato i suoi frutti. L’eCommerce sta tornando ai dati pre-Covid: è ancora in crescita costante, ma non è abbastanza”[11].
Non è l’unica azienda ad aver preso decisioni di questo tipo. Già a maggio, in conseguenza dell’inflazione galoppante e della crisi ucraina, Klarna – società fintech svedese attiva nei servizi di pagamento – aveva comunicato il licenziamento di circa il 10% dei suoi 7000 dipendenti, dopo aver registrato circa 1 miliardo di dollari di perdite tra il 2021 e il primo trimestre 2022[12].
I tagli riguardano anche le società di Q-commerce, con la turca Getir che ha fatto sapere di voler ridurre l’organico del 14% a livello globale e l’unicorno tedesco Gorillas che lascia l’Italia licenziando 540 persone[13].
Nel frattempo, aziende come Meta (Facebook)[14] e Alphabet Inc. (Google)[15] hanno annunciato un calo nel ritmo delle assunzioni, a testimonianza della difficoltà che il mondo del digital nel suo complesso sta vivendo per via di fenomeni come l’inflazione e la guerra ucraina, ma anche – specie nel caso di Facebook – per via delle modifiche alla privacy di Apple e dei suoi effetti sull’advertising.
A complicare il quadro, in aggiunta ai fattori macroeconomici, ci sono infatti anche alcune misure che stanno interessando il mondo del Digital Marketing, mettendo in discussione – e in alcuni casi a rischio – il modo in cui le aziende sono finora riuscite a raggiungere i consumatori online.
Le sfide del marketing digitale per gli eCommerce
Un’importante svolta nel mondo del marketing è la già citata modifica alla privacy di Apple. Introdotte ad aprile 2021 con l’aggiornamento del sistema operativo a iOS 14.5, le nuove regole sulla privacy, con l’istituzione dell’ATT (App Tracking Transparency), hanno reso necessario il consenso da parte dell’utente sul tracciamento dei dati per fini pubblicitari su app e siti di terze parti.
La modifica, che ha reso più difficile la condivisione di dati sui comportamenti degli utenti, non poteva non incidere negativamente sull’advertising. Già a fine 2021, questa misura era costata a Facebook, YouTube, Twitter e Snap la perdita di 10 miliardi di dollari e del 12% del fatturato tra terzo e quarto trimestre[16]. Per il 2022, il report di Lotame prevede una perdita di 16 miliardi per le quattro società[17].
Se la modifica alla privacy è deleteria per le grandi aziende tech e in particolare per Facebook, che è stata molto critica sin dall’inizio con Apple, non lo è meno per le piccole aziende, che hanno visto aumentare i costi di advertising per l’acquisizione di nuovi utenti a fronte di un’efficacia degli annunci nettamente calata.
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La rivoluzione cookieless
Questa non è però l’unica misura anti-tracciamento presa da Apple in nome della privacy e della protezione dei dati degli utenti. Già nel 2017, l’azienda di Cupertino ha disabilitato di default i cookie di terze parti – fondamentali per la creazione di annunci targettizzati e personalizzati – sul browser Safari, avviando di fatto la rivoluzione cookieless. Una rivoluzione che aspetta però di compiersi con il superamento dei cookie di terza parte su Chrome, previsto da Google inizialmente per il 2022, poi rimandato al 2023 e da poco rinviato ulteriormente al 2024 – per aver modo di sviluppare e testare il sistema alternativo di advertising denominato “Privacy Sandbox”[18].
I marketer possono tirare un sospiro di sollievo, ma sanno in ogni caso che la rivoluzione post-cookie è in arrivo e che non è più possibile fare advertising solo sulla base dei cookie di terze parti. Così come, più in generale, non è possibile fare marketing senza tenere in considerazione la privacy degli utenti.
I paletti del Garante Privacy
Che questa sia un’esigenza non solo sempre più sentita dai consumatori, ma allo stesso tempo sempre più oggetto di regolamentazioni stringenti, almeno in Europa, lo dimostrano i recenti provvedimenti presi dal Garante della Privacy che hanno coinvolto Google Analytics. Come già fatto dai Garanti austriaco e francese, a giugno il Garante italiano ha preso posizione in merito all’esportazione di dati personali di cittadini europei verso gli USA resa possibile da Google Analytics 3, ammonendo Caffeina Media S.r.l. e ingiungendole di conformarsi al Regolamento UE con la dismissione del tool entro 90 giorni.
Come si legge sul sito del Garante per la protezione dei dati personali: “Il sito web che utilizza il servizio Google Analytics (GA), senza le garanzie previste dal Regolamento Ue, viola la normativa sulla protezione dei dati perché trasferisce negli Stati Uniti, Paese privo di un adeguato livello di protezione, i dati degli utenti”. Nello specifico, è emerso che, tra i dati raccolti tramite cookie dai siti che utilizzano GA e inviati agli USA, ci siano “indirizzo IP del dispositivo dell’utente e informazioni relative al browser, al sistema operativo, alla risoluzione dello schermo, alla lingua selezionata, nonché data e ora della visita al sito web”[19].
Questi provvedimenti, validi non solo per Caffeina Media S.r.l. ma per tutte le aziende che utilizzano GA 3, da un lato mettono in questione uno degli strumenti più utilizzati dai marketer; dall’altro lato, mostrano quanto qualsiasi attività di marketing oggi non possa più prescindere dall’attenzione alla privacy degli utenti: esigenza a cui neppure colossi come Google possono sottrarsi. E si badi bene, la questione – che si ricollega alla decisione del 2020 con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha annullato il Privacy Shield, il quale garantiva l’export di dati verso gli USA – non riguarda solo Google Analytics ma tutti i tool che violano il Regolamento europeo.
Come afferma Guido Scorza, Componente del Garante per la protezione dei dati personali, all’indomani dei provvedimenti: “La nostra principale speranza è che nei prossimi 90 giorni intervenga un accordo giuridicamente vincolante tra Europa e Stati Uniti. In caso contrario, si configura lo scenario peggiore: il moltiplicarsi di provvedimenti di blocco in relazione ai quali poco si potrà fare. Andranno adottati e saranno destinati ad estendersi a macchia d’olio anche fuori dal perimetro di Google Analytics”[20].
In altre parole, siamo nel mezzo di un terremoto pronto a diffondersi e scuotere l’intero mondo del digital come lo conosciamo.
Un nuovo modo di fare marketing è necessario
Dunque, mentre l’eCommerce fatica a crescere, e mentre inflazione, crisi della supply chain e guerra in Ucraina comprimono i margini degli shop online, aumentano i costi di advertising e raggiungere nuovi utenti si fa sempre più difficile, così come diventa in generale più incerto e meno efficace l’uso di determinati strumenti di Digital Marketing. Come affrontare questi cambiamenti e in che modo fare marketing tenendo conto delle trasformazioni in corso?
Sicuramente, nel marketing di oggi, la privacy non può non essere una priorità: il marketing deve essere improntato al principio “privacy first”. In un contesto in cui il 50% dei consumatori sente di non poter proteggere le proprie informazioni personali e non sapere come vengono utilizzate[21], è fondamentale per le aziende dare agli utenti il controllo sui propri dati ed essere trasparenti. Si tratta di un aspetto in grado di incidere positivamente sulla fiducia e sulla loyalty dei consumatori[22].
Soprattutto, occorre investire su canali e strumenti di marketing che facciano progressivamente meno affidamento su dati come i cookie di terze parti: questo è necessario sia per andare incontro alle esigenze in evoluzione dei consumatori, sempre più sensibili al tema del tracciamento dei dati e dei comportamenti online, sia per prepararsi all’era post-cookie a cui andiamo incontro.
Un marketing basato sui dati di prima parte e zero-party
Questo significa che dovranno diventare centrali i dati di prima parte e zero-party, acquisiti tramite touchpoint di proprietà di un’azienda. Nello specifico, i dati di prima parte sono quelli ricavati dagli utenti che visitano e/o acquistano sul tuo sito o interagiscono con le tue comunicazioni, mentre i dati zero-party sono quelli che vengono forniti dagli utenti stessi in maniera consapevole e volontaria e godono pertanto di una maggiore trasparenza. (Parliamo di informazioni lasciate in un form di registrazione, nelle risposte date in un survey o in un quiz, nelle opzioni di personalizzazione selezionate su un sito, ecc.)
Un marketing basato su questo tipo di dati, oltre a poter contare su informazioni ottenute attraverso un rapporto diretto e con il consenso degli utenti, dà anche il vantaggio di disporre di informazioni provenienti da diversi canali e dispositivi, e non solo il sito web (come nel caso dei cookie di terze parti). Parliamo dunque di un marketing di natura omnicanale, ossia fondato sulla gestione integrata di una molteplicità di canali – sito, blog, app, email, social, dirette streaming, ecc. –, che è oggi quanto mai essenziale per un business che punti a raggiungere un’audience ampia e fornire una Customer Experience positiva.
È indispensabile che i dati di prima parte e zero-party acquisiti sui vari touchpoint siano poi messi in comunicazione e integrati, in modo da restituire un’immagine unitaria e a 360° dei clienti (d’altronde, una delle caratteristiche imprescindibili dell’omnicanalità è proprio l’integrazione). Questo richiede l’utilizzo di un buon CRM, ma anche di CDP (Customer Data Platform), piattaforme che permettono di aggregare e unificare in un unico database tutti i dati che un’azienda raccoglie dai vari punti di contatto.
Questo non solo ti aiuta a superare la frammentarietà dei dati e coordinare i dipartimenti, ma allo stesso tempo ti offre una rappresentazione completa e approfondita degli utenti che interagiscono con la tua azienda: ti dà cioè la possibilità di conoscere la persona dietro i semplici dati, con i suoi interessi, le sue abitudini e le sue preferenze. Possiamo perciò parlare di un marketing di questo tipo come di un People-Based Marketing: un marketing fondato e orientato alle persone.
Puntare sulle strategie di Inbound Marketing
Questo modo di fare marketing, com’è ovvio, non può più affidarsi all’advertising tradizionale legato ai cookie di terze parti: piuttosto, la capacità di attrarre nuovi utenti e raccogliere i loro dati (first-party e zero-party) dovrà basarsi sempre più sull’efficacia delle strategie di Inbound Marketing. Parliamo di tutte quelle strategie con cui attrarre, convertire, chiudere e deliziare, trasformando degli “sconosciuti” – rispettivamente – in visitatori, contatti, clienti e infine affezionati promotori del brand.
Questo non è possibile senza un buon piano di Content Marketing, volto ad attirare utenti sui tuoi canali (ad esempio tramite articoli di blog, video tutorial o dirette streaming che rispondano a una loro domanda e/o a un loro pain point), condurli a lasciare i propri dati (attraverso un ebook, una live o un altro contenuto di Lead Generation) e conquistare la loro fiducia e fedeltà verso il brand (condividendo contenuti utili e di valore che ti rendano un punto di riferimento). È questo che consente di instaurare e coltivare relazioni di qualità con i clienti online, che siano innanzitutto relazioni umane: rapporti che uniscono azienda e cliente a un livello profondo, da persona a persona. (Anche questo fa parte del concetto di People-Based Marketing.)
Di qui l’importanza di nuovi canali come il Live Shopping, che tramite la creazione di video dirette sul sito degli eCommerce punta a dare un tocco umano allo shopping online dando agli utenti la possibilità di acquistare mentre assistono a uno show di intrattenimento – si parla non a caso di “Shoppertainment” – e interagire in tempo reale con gli streamer, ponendo domande come se stessero parlando a un addetto vendita in negozio. Un aspetto grazie a cui gli eCommerce possono recuperare online quell’esperienza umana e relazionale tipica dei negozi fisici, e che può per questo essere d’aiuto per “riconquistare” quei consumatori che, con le riaperture dei negozi, hanno abbandonato o ridotto gli acquisti online – semplicemente, fornendo loro un’esperienza vicina a quella in negozio in termini di relazione e interazione umana.
Conclusioni
Quello che stiamo vivendo è indubbiamente un periodo di evoluzione e rivoluzione del mercato eCommerce. Dopo l’accelerazione alimentata dalla pandemia e il rallentamento conseguente alla fine delle restrizioni, il commercio digitale si trova oggi in uno stato di “sogno interrotto” e disincanto, che gli sconvolgimenti geopolitici/economici, l’aumento dei costi di advertising e gli “attacchi” ad alcuni strumenti di marketing digitale non fanno che acuire.
È forse presto per parlare di “crisi”, considerando che l’eCommerce rimane nonostante tutto in salute e che l’affermazione dello shopping online è un fenomeno senz’altro irreversibile, di cui nei prossimi anni possiamo solo prevedere la crescita – al netto di mutamenti connessi a situazioni eccezionali come una pandemia o una guerra nel cuore dell’Europa. Quel che è certo, tuttavia, è che, come in una crisi, è importante saper cogliere non solo le minacce ma anche le opportunità, anche adesso, di fronte alle sfide dell’eCommerce che stiamo vivendo, siamo chiamati a guardare oltre gli ostacoli e i problemi, per afferrare le opportunità di miglioramento che ci si pongono davanti.
Oggi, abbiamo l’opportunità – che è al contempo una necessità – di ripensare il modo in cui raggiungiamo e parliamo ai clienti online, abbracciando un modello di marketing orientato alle persone e alle relazioni umane che ci permetta di conquistare realmente la fiducia dei consumatori. Nella consapevolezza che la crescita dell’eCommerce è legata a doppio filo all’accrescimento dell’esperienza umana che esso è in grado di offrire ai consumatori.
Note
- “How COVID-19 triggered the digital and e-commerce turning point”, UNCTAD, 2021. ↑
- “How e-commerce share of retail soared across the globe: A look at eight countries”, McKinsey & Company, 2021. ↑
- “The reinvention of retail”, McKinsey & Company, 2020. ↑
- “Q1 Shopping Index: il commercio digitale globale continua a crescere”, Salesforce, 2021. ↑
- “eCommerce e Covid-19: com’è cambiato il commercio online dopo la pandemia”, Osservatori Digital Innovation, 2022. ↑
- “The Shopping Index”, Salesforce, 2022. ↑
- “E-commerce torna a livelli pre-Covid, 34 miliardi nel 2022 (+10%)”, ANSA.it, 2022. ↑
- “The Pandemic Was Supposed to Push All Shopping Online. It Didn’t”, Wall Street Journal, 2022. ↑
- Ibidem. ↑
- “Resetting E-Commerce Expectations”, Marketplace Pulse, 2022. ↑
- “L’eCommerce rallenta: Shopify taglia il 10% della workforce globale”, Mark Up, 2022. ↑
- “Klarna taglia 10% forza lavoro. Verso nuovo round con valutazione minore”, La Stampa, 2022. ↑
- “Spesa a domicilio in crisi? Gorillas lascia l’Italia e Getir licenzia il 14% dei dipendenti”, Forbes, 2022. ↑
- “Facebook plans to reduce hiring as revenue growth slows and inflation concerns increase”, CNBC, 2022. ↑
- “Alphabet to slow hiring in second half of 2022 as economy sputters”, Reuters, 2022. ↑
- “Snap, Facebook, Twitter and YouTube lose nearly $10bn after iPhone privacy changes”, Financial Times, 2021. ↑
- “IDFA and Big Tech Impact – One Year Later”, Lotame, 2022. ↑
- “Expanding testing for the Privacy Sandbox for the Web”, The Keyword, 2022. ↑
- “Google: Garante privacy stop all’uso degli Analytics. Dati trasferiti negli Usa senza adeguate garanzie”, Garante per la protezione dei dati personali, 2022. ↑
- “Guido Scorza su Google Analytics: ‘La soluzione deve essere politica, tra Stati Uniti e UE’ – Intervista a Guido Scorza”, Garante per la protezione dei dati personali, 2022. ↑
- “Cisco 2022 Data Privacy Benchmark Study”, Cisco, 2022. ↑
- Ibidem. ↑