La direttiva UE 2019/790 ha attribuito agli editori di pubblicazioni giornalistiche un diritto connesso di riproduzione e di messa a disposizione al pubblico delle loro pubblicazioni, a valle di una serie di conflitti fra le due sponde dell’Atlantico, fra editori da un lato e piattaforme online dall’altro lato, per lo svolgimento di servizi cosiddetti di news aggregator.
L’obiettivo della direttiva era quello di ottenere per gli editori di pubblicazioni giornalistiche un compenso adeguato da parte dei provider che utilizzano online le pubblicazioni giornalistiche, al fine di garantire la sostenibilità dell’editoria e favorire in tal modo la disponibilità di informazioni affidabili (Considerando 55 della direttiva).
Equo compenso: intervento del legislatore nazionale
In linea con gli obiettivi della direttiva, ed addirittura in modo più incisivo, il legislatore nazionale è intervenuto con l’art. 43bis l.a. (introdotto dal d.lgs. 177/2021), il quale al comma 8 prevede espressamente che per l’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico i prestatori di servizi della società dell’informazione riconoscono agli editori un equo compenso, da determinare sulla base dei criteri individuati tramite regolamento dell’Autorità Garante delle Comunicazioni (AGCOM). Il regolamento in questione è stato recentemente emanato con la delibera 3-23-CONS. I criteri indicati devono tenere conto – inter alia – del numero di consultazioni online dell’articolo, degli anni di attività e della rilevanza sul mercato degli editori, del numero di giornalisti impiegati, dei costi sostenuti per investimenti tecnologici e infrastrutturali da entrambe le parti, nonché dei benefici derivanti, ad entrambe le parti, dalla pubblicazione quanto a visibilità e ricavi pubblicitari.
Il ruolo di Agcom
L’art. 43bis l.a. prende anche in considerazione il rischio antitrust derivante dalla asimmetria di potere fra le parti, stabilendo che durante la negoziazione dell’equo compenso fra editori e piattaforme queste ultime non possano limitare la visibilità dei contenuti degli editori nei risultati di ricerca. Inoltre, l’ingiustificata limitazione di tali contenuti nella fase delle trattative può essere valutata ai fini della verifica del rispetto dell’obbligo di buona fede di cui all’art. 1337 c.c. Ad Agcom è infine attribuita la funzione di intervenire, su richiesta di una delle parti, nella gestione del negoziato, fino a indicare l’ammontare dell’equo compenso (e fermo restando il diritto delle parti di preferire di adire l’autorità giudiziaria ordinaria). Infine, i provider sono tenuti a mettere a disposizione su richiesta della parte interessata i dati necessari per determinare l’equo compenso, ed in mancanza possono essere sanzionati da Agcom, per un importo che può arrivare fino all’uno per cento del fatturato dell’esercizio precedente.
Il regolamento Agcom afferma che l’equo compenso degli editori è calcolato in principio sulla base dei ricavi pubblicitari del prestatore derivanti dall’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore, al netto dei ricavi di quest’ultimo attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito web dalle pubblicazioni di carattere giornalistico utilizzate online dal prestatore.
Il calcolo dell’aliquota
Secondo l’art. 4 del regolamento alla base di calcolo ora indicata si applica un’aliquota che può arrivare fino al 70%. L’aliquota è determinata sulla base di una serie di criteri, che devono essere considerati cumulativamente e con rilevanza decrescente:
a) anzitutto, il numero di consultazioni online delle pubblicazioni sui servizi del prestatore, espresse in termini di visualizzazioni e interazioni degli utenti e rilevate in conformità a criteri di correttezza metodologica, trasparenza e verificabilità;
b) successivamente, la rilevanza dell’editore sul mercato, espressa in termini di audience online e rilevata su base periodica in modo indipendente;
c) in terzo luogo, il numero di giornalisti impiegati dall’editore;
d) ed e) ulteriormente, i costi comprovati sostenuti dall’editore e dal prestatore per investimenti tecnologici e infrastrutturali legati alle pubblicazioni;
f) l’adesione e la conformità, dell’editore e del prestatore, ciascuno per la propria parte, a codici di condotta;
g) infine, gli anni di attività dell’editore, anche in relazione alla storicità della testata in ambito nazionale e locale.
Nel regolamento non è previsto alcun obbligo da parte degli editori di fornire specifiche informazioni ai prestatori per richiedere i dati necessari per la determinazione dell’equo compenso, né per poter avviare la negoziazione finalizzata a determinare l’equo compenso. Al contrario, sembrerebbe che siano le piattaforme ad essere soggette al potere degli editori di richiedere i dati, e che non possano negare di fornire i dati richiesti dagli editori stessi. Eppure, recentemente alcune delle piattaforme online principali hanno messo a disposizione degli editori dei link attraverso i quali gli editori devono fornire una serie di informazioni preliminari, prima che la piattaforma fornisca loro i dati necessari per determinare il compenso, ovvero prima che sia possibile avviare la negoziazione.
Il programma ENP di Google
A titolo di esempio, è possibile accedere al link attraverso il quale Google afferma di aver dato origine all’iniziativa ENP (Extended News Preview), la quale presuppone la fornitura da parte degli editori di una serie di informazioni, utilizzate da Google LLC per verificare se l’editore stesso può partecipare al programma e quindi ricevere i dati ai sensi dell’art. 43bis co. 12 l.a.
Le informazioni richieste
Alcune delle informazioni richieste dal programma ENP sono chiaramente legate alla necessità – propria di qualunque soggetto che riceva una richiesta di questo genere, o similare – di verificare la sussistenza dei presupposti per la presentazione della richiesta. Fra questi vi è anzitutto la legittimazione attiva del soggetto richiedente, e dunque in particolare quali sono i suoi dati identificativi e qual è il titolo su cui la richiesta si basa (ossia, la qualifica di titolare o di licenziatario del diritto connesso all’equo compenso). Anche la richiesta di indicare la pubblicazione di carattere giornalistico per cui si agisce è giustificata dalla necessità di effettuare le normali verifiche preliminari tipiche in ambito di diritto d’autore, poiché in mancanza mancherebbe del tutto la base giuridica della richiesta. È infatti sempre necessario verificare che si tratti di opera dell’ingegno proteggibile, qualificabile come pubblicazione di carattere giornalistico, che sia riferibile al richiedente e che sia effettivamente oggetto di utilizzazione.
Le ulteriori richieste di dati che non sembrano avere una chiara base normativa nella legge o nel regolamento
Vi sono tuttavia nel modulo disponibile online alcune ulteriori richieste di dati, che non sembrano avere una chiara base normativa nella legge o nel regolamento, in particolare per quanto riguarda la fornitura dei dati necessari a determinare l’equo compenso, ma a ben vedere anche per quanto concerne la negoziazione. Per quanto riguarda infatti la fornitura dei dati, dovrebbe bastare fornire alla piattaforma i dati necessari a identificare l’editore, la pubblicazione e il titolo dell’azione. Anche per quanto riguarda la richiesta di negoziazione, sia la l.a. sia il regolamento indicano chiaramente quali siano i dati degli editori che devono essere presi in considerazione, ed è discutibile che sia possibile imporre unilateralmente agli editori stessi di fornire informazioni aggiuntive. Fra queste vi è – ad esempio – l’indicazione se l’editore usufruisca di eventuali contributi pubblici, sovvenzioni o altri benefici economici ricevuti dall’editore nell’ultimo anno fiscale. Si tratta di un dato che non pare essere stato preso in considerazione dal legislatore o da AGCOM. Ancora, nel modulo si richiede all’editore di indicare i ricavi realizzati dall’editore e dalla pubblicazione nell’ultimo anno fiscale, specificando per ciascuna voce di ricavo l’importo in euro ad essa riconducibile. Tuttavia, secondo l’art. 4 del regolamento AGCOM l’equo compenso si determina sulla base dei ricavi pubblicitari del prestatore, al netto dei ricavi dell’editore che siano attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito web dalle pubblicazioni di carattere giornalistico utilizzate online dal prestatore. Non sembra quindi che sia necessario per il prestatore ricevere i dati relativi agli interi ricavi realizzati dall’editore, e neppure i ricavi totali legati alla singola pubblicazione, ma semplicemente i ricavi connessi al traffico di reindirizzamento sul sito web concernenti la pubblicazione in oggetto. Nel formulario si richiede poi all’editore di indicare quale percentuale dei ricavi digitali conseguiti dall’editore siano reinvestiti in investimenti tecnologici e infrastrutturali destinati alla realizzazione della pubblicazione. Anche in questo caso, tuttavia, non sembra che vi sia un appiglio normativo che possa giustificare questo tipo di richiesta, dal momento che il regolamento si riferisce unicamente ai costi comprovati sostenuti dall’editore per investimenti tecnologici e infrastrutturali destinati alla realizzazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online (art. 4 lettere d).
Sotto un altro profilo, desta qualche perplessità anche la richiesta relativa all’indicazione se i contenuti delle pubblicazioni siano stati verificati e rivisti da soggetti diversi dai loro autori prima della pubblicazione. Questa richiesta non ha una chiara base normativa, salvo che si ritenga che il diritto connesso dell’editore sorga solo a seguito dello svolgimento di attività di verifica e revisione della redazione editoriale o dal direttore responsabile. Ove non sia questo il caso, è davvero arduo comprendere quale sia la motivazione della richiesta in oggetto.
Più in generale, l’approccio adottato sembra ribaltare l’ottica adottata dal legislatore nel decreto legislativo 177 del 2021 e da AGCOM nel regolamento 3-23-CONS. In particolare, secondo la l.a. ed il regolamento gli editori sono anzitutto titolati a ricevere dai prestatori una serie di dati, prima e a prescindere dalla negoziazione sull’equo compenso. I dati sono infatti il presupposto necessario per valutare se e quale tipo di utilizzazione sia intervenuta, e quindi se e in quali termini sia opportuno avviare una negoziazione. Per tale ragione, dovrebbe essere possibile per ciascun editore ottenere in dati in questione sulla base di una richiesta, i cui elementi dovrebbero essere quelli generalmente previsti dall’ordinamento in questi casi, e quindi l’identificazione del richiedente e del suo titolo, l’identificazione della pubblicazione e della sua utilizzazione da parte della piattaforma.
Quanto invece alle iniziative legate all’avvio di una negoziazione sull’equo compenso, è discutibile che corrisponda a buona fede la preliminare ed unilaterale richiesta di informazioni da parte della piattaforma nei confronti degli editori, alcune delle quali – fra l’altro – non previste dalla l.a. o dal regolamento. Sembrerebbe invece più in linea con i principi generali che– vagliata la legittimazione degli editori – le piattaforme forniscano i dati in loro possesso, e che reciprocamente le parti, nel contesto negoziale, forniscano l’una all’altra le informazioni rilevanti per la determinazione dell’equo compenso, ed in principio solo quelle (salvo ovviamente che intervengano fra le parti accordi del tutto volontari di tipo diverso).
L’imposizione di fornire dati non necessari, in modo preventivo ed unilaterale
L’imposizione di fornire dati non necessari, in modo preventivo ed unilaterale, potrebbe costituire una condizione contrattuale (o pre-contrattuale) eccessivamente gravosa e non giustificata, a detrimento della parte “debole” della negoziazione, ossia i singoli editori. Va anche tenuto in considerazione che le piattaforme tendono ad essere soggetti in posizione dominante, e che la fornitura alle stesse di informazioni dettagliate da parte di tutti gli editori costituirebbe una modalità perché le piattaforme si dotino di una mappatura economica completa del settore, mappatura che invece agli editori singoli non sarebbe disponibile, così potenzialmente creando un ulteriore rischio di asimmetria nelle informazioni e di ulteriore sbilanciamento nei rapporti di potere in campo. A questo proposito deve essere ricordato che l’art. 9 della l. 192/1998 sull’abuso di dipendenza economica considera illecito (oltre il vero e proprio rifiuto di vendere o di comprare), l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie. Inoltre, vengono considerate pratiche abusive – specificamente realizzate dalle piattaforme digitali – i casi in cui le piattaforme forniscano informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio erogato, ovvero richiedano indebite prestazioni unilaterali non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta (così in linea peraltro con l’art. 43bis l.a. e il regolamento AGCOM).
L’art. 9 della l. 192/1998 è diventato ultimamente oggetto di particolare attenzione per quanto riguarda il settore del diritto d’autore e le attività delle piattaforme online, come dimostrato dal provvedimento n. 3060 del 20 aprile 2023 adottato dall’AGCM (Autorità della Concorrenza e del Mercato) nei confronti di Meta, per abuso di dipendenza economica nei confronti di Siae nella negoziazione avente ad oggetto la stipula della licenza d’uso, sulle proprie piattaforme, dei diritti musicali. Anche in altri ordinamenti si moltiplicano le iniziative di questo tipo, o comunque di matrice antitrust, nei confronti delle piattaforme, come ad esempio avvenuto recentemente in Spagna, quando a fine marzo del 2023 l’autorità antitrust locale ha annunciato di aver dato inizio ad un procedimento nei confronti di Google a causa di “una serie di pratiche che potrebbero comportare un abuso di posizione dominante da parte di Google nei confronti degli editori di pubblicazioni giornalistiche e delle agenzie di stampa con sede in Spagna”. L’autorità ha anche dichiarato che “In particolare, queste pratiche consisterebbero nella possibile imposizione di condizioni commerciali sleali agli editori di pubblicazioni giornalistiche e alle agenzie di stampa con sede in Spagna per lo sfruttamento dei loro contenuti protetti da diritti di proprietà intellettuale”, e “D’altra parte, i comportamenti indagati comprenderebbero anche pratiche che costituirebbero atti di concorrenza sleale che potrebbero distorcere la libera concorrenza e pregiudicare l’interesse pubblico”.