l'approfondimento

Lo status quo della pubblicità online è insostenibile: serve più trasparenza e nuove regole

Uno studio della Commissione Ue sul mercato della pubblicità online evidenzia un accumulo di potere sempre più insostenibile in capo alle solite big tech Usa, che controllano proprietà intellettuale, disponibilità di dati e, dunque, governance della rete, mettendo in difficoltà editori e inserzionisti europei. Come uscirne?

Pubblicato il 17 Mar 2023

Barbara Calderini

Legal Specialist - Data Protection Officer

ONLINE ADVERTISING man working on laptop Online Advertising Website Marketing Update Trends Report News Online Advertising Online Marketing Business Content Strategy

Il mercato della pubblicità digitale non è competitivo e il modo in cui sta funzionando attualmente ha influito e continua ad incidere negativamente anche su democrazia e ambiente.

Ne è consapevole la Commissione Europea che ha pubblicato il nuovo studio intitolato “Study on the impact of recent developments in digital advertising on privacy, publishers and advertisers” [1] incentrato sull’esame dell’impatto della pubblicità digitale su protezione dei dati, editori e inserzionisti.

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Malgrado il mosaico giuridico dell’UE offra strumenti per affrontare alcuni dei problemi individuati dall’analisi voluta dalla Commissione, e tra questi carenza di trasparenza, asimmetrie informative e uso pervasivo di dark patterns, tuttavia il toolkit esistente non è ancora sufficiente ad arginare tutte le criticità emerse.

La sensazione è che, sebbene l’applicazione dei quadri giuridici esistenti, come il GDPR e altri in fase di negoziazione come il regolamento ePrivacy, o di prossima applicazione come il Digital Services Act e il Digital Markets Act, possano in qualche misura contribuire a migliorare la situazione, nondimeno, nessuno di questi affronti specificatamente la risoluzione delle dinamiche e delle preoccupazioni più sistemiche legate all’adtech.

Non è un caso che lo status quo nella pubblicità digitale, venga definito dagli autori dell’approfondimento Catherine Armitage, Nick Botton, Louis Dejeu-Castang, Laureline Lemoine, “insostenibile”.

I risultati dello studio Ue sul digital advertising

Lo scopo dello studio rilasciato dalla Commissione europea è stato quello di fornire ai legislatori europei prove e analisi relative al settore della pubblicità online che potessero fungere da volano per le future opzioni politiche destinate alla protezione dei dati, per un ecosistema pubblicitario online più equilibrato, a garanzia dei diritti tanto dei singoli utenti dei servizi e dei contenuti online, quanto delle aziende digitali e degli editori.

Questi gli obiettivi specifici sui quali si è concentrato il Report:

  1. Descrivere l’evoluzione della tecnologia pubblicitaria dal 2005 ad oggi e il suo impatto su editori e inserzionisti dell’UE;
  2. Analizzare il grado di squilibrio nel rapporto tra editori e inserzionisti, da un lato, e le grandi piattaforme e gli intermediari della pubblicità digitale, dall’altro;
  3. Orientare lo sviluppo di quadri regolatori che favoriscano un ecosistema pubblicitario online trasparente, equilibrato e sostenibile che rispetti la Carta dei diritti fondamentali, con particolare focus sulla vulnerabilità dei bambini e dei giovani, sul diritto ad un’informazione libera, indipendente e di buona qualità, oltre all’attenzione nei confronti dell’impatto ambientale.

L’analisi di tutti questi aspetti ha permesso di mettere in luce il risultato più evidente, ovvero, il gap di consapevolezza sui meccanismi di funzionamento e le logiche delle metodologie business-to-business (B2B), determinato in primis dall’assenza di validi test su modelli alternativi.

A fronte di una tale carenza, esistono, invece, svariate prove che continuano a dimostrare come una parte della raccolta e del tracciamento dei dati relativi alla pubblicità online si riveli palesemente non necessaria e anzi supinamente asservita a interessi pubblicitari di vario genere e siti web “creati per fini promozionali” a zero valore aggiunto, oltre che dannosi stanti le conseguenti emissioni di carbonio.

Le interviste degli autori, rivolte ad inserzionisti ed editori, hanno riportato con chiarezza una corsa verso il basso, dove la posizione di noti attori dominanti, sovrani del controllo sul comportamento delle persone indebolisce la capacità di altre società, in particolare inserzionisti ed editori, di comunicare direttamente ed efficacemente con i propri clienti.

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Una crisi di responsabilità inquina il mercato della pubblicità digitale

Ciò ha contribuito e contribuisce ad appesantire l’attuale crisi di responsabilità che inquina l’oceano rosso della pubblicità digitale; quel pelago ancora “non regolamentato” degli annunci online che potremo ben definire come una sorta di “borsa merci”; ovvero un mercato del commercio elettronico già brillantemente descritto da Dina Srinivasan, Fellow del Thurman Arnold Project a Yale, in cui si rincorrono, sotto la supervisione e direzione di intermediari digitali come Google, miliardi di transazioni, quotazioni in tempo reale, scambi di annunci, analisi, andamenti e dati aggiornati.

Amazon, Microsoft, Apple, Uber, Airbnb, PayPal, Google, Twitter, eBay, Meta, Sony PlayStation,Visa, MasterCard, sono solo alcuni degli interpreti digitali privilegiati del nuovo modus operandi basato sulla creazione di valore attraverso piattaforme di intermediazione on line. Sono fornitori di infrastrutture e regole abilitanti l’insieme di quei servizi il cui scopo è favorire l’interazione tra gli utenti o facilitare l’accesso e la diffusione oppure lo scambio di contenuti, beni e servizi.

Editori che vendono spazio pubblicitario e inserzionisti che lo acquistano. Tutto in un processo automatizzato chiamato “offerta in tempo reale” al momento però privo di adeguata regolamentazione.

Ne consegue una sorta di clusterizzazione in cui un vasto pubblico “chirurgicamente profilato” viene orientato e interessato in corrispondenza di contenuti correlati su migliaia di siti.

I problemi legati alla scarsa trasparenza

La quantità e la qualità delle ad impression (numero totale di visualizzazioni di un annuncio pubblicitario servite da un ad server a un utente in un dato intervallo temporale) che compongono le singole campagne di display advertising determinano il successo dell’offerta editoriale di spazi pubblicitari che un editore (publisher) mette a disposizione degli inserzionisti pubblicitari (advertiser).

“Ci sono poche prove indipendenti a sostegno delle affermazioni secondo cui l’uso di tracciamento e profilazione estesi offre un vantaggio significativo rispetto ai modelli di pubblicità digitale che non lo fanno”, sostiene il rapporto. “La letteratura attualmente non include alcuna ricerca indipendente sull’impatto della pubblicità contestuale sugli editori”.

“Gli utenti hanno una capacità limitata di controllare o influenzare il modo in cui i loro dati personali vengono utilizzati nella pubblicità digitale”, ha twittato il coautore del rapporto Nick Botton, Senior Policy Associate presso AWO . “Gli strumenti per le preferenze pubblicitarie come le impostazioni pubblicitarie di Google e Facebook e Your Online Choices sono di difficile accesso, difficili da comprendere e difficili da usare.”

Il modo in cui la pubblicità digitale viene acquistata e venduta può essere dunque estremamente intricato e altamente specialistico, tuttavia, la logica di fondo alla base della catena dei profitti tra editori online e inserzionisti, è piuttosto semplice da capire: quasi ogni annuncio online deriva dal fatto che un certo inserzionista ha utilizzato un intermediario digitale, Google nella stragrande maggioranza dei casi, per acquistarlo, l’editor o il sito web a loro volta si sono rivolti sempre a Google per mettere in vendita lo spazio e, lo scambio di annunci gestito ancora una volta da Google, l’asta, li ha abbinati insieme.

E’ questo a grandi linee il meccanismo tortuoso e frenetico che sta suscitando serie preoccupazioni in merito a trasparenza, costi, sicurezza, protezione dei dati e concorrenza.

I provider fungono da interfaccia delle piattaforme con gli utenti. I produttori creano le loro offerte e i consumatori usano queste offerte”, questa è anche l’efficace descrizione tratta dalla ricerca di Van Alstyne, MW, Parker, GG e Paul Choudary, S. (2016). “Pipeline, piattaforme e le nuove regole di strategia. Harvard Business Review, 2016 (aprile) Estratto da www.scopus.com ”

Le peculiarità e le problematiche insite nella data economy, caratterizzata dalla valorizzazione dei dati, dalla disponibilità degli stessi e dalla loro analisi, si legano, non a caso, al potere di mercato delle realtà tecnologiche dominanti e al corrispondente abuso delle rispettive posizioni come all’alterazione del libero gioco della concorrenza.

Le difficoltà degli editori Ue di fronte alla competizione delle grandi piattaforme

Gli editori europei faticano a competere con le grandi piattaforme, gatekeeper del cosiddetto Two sided transaction and not-transaction markets che, per proprio per le sue caratteristiche intrinseche, “sfugge” all’applicazione tanto delle teorie economiche tradizionali quanto dei quadri giuridici vigenti.

A tal riguardo, il report ha confermato come negli ultimi 10-15 anni, i canali di search advertising e social media advertising, dove le grandi piattaforme giocano un ruolo chiave, siano cresciuti, mentre i ricavi dei maggiori editori europei siano rimasti pressoché stagnanti.

Gli editori europei faticano a competere per le entrate pubblicitarie digitali perché le grandi piattaforme hanno più accesso ai dati di loro”, ribadisce il rapporto, allegando prove che indicano come ciò sia dovuto principalmente alla mancanza di trasparenza e agli ampi e crescenti squilibri nel potere contrattuale delle parti in gioco.

Tanto viene percepito come una sorta di “dipendenza” che, a sua volta, limita il processo decisionale degli inserzionisti privi di set di dati indipendenti sufficienti per valutare le prestazioni della pubblicità digitale.

“Chi controlla le domande dà forma alle risposte e chi controlla le risposte dà forma alla realtà”.

Vale in ottica globale.

E, infatti, ciò a cui stiamo assistendo è un accumulo di potere sempre più insostenibile dove le piattaforme digitali controllano la proprietà intellettuale, la disponibilità dei dati e, dunque, la governance della rete.

La conclusione dello studio: urgente migliorare la trasparenza e la responsabilità nell’ecosistema della pubblicità digitale

È necessario migliorare la responsabilità nell’ecosistema pubblicitario online, aumentare il controllo delle persone sul modo in cui i loro dati personali vengono utilizzati per la pubblicità digitale. Consentire a inserzionisti ed editori di “conoscere il proprio pubblico” e comunicare con loro direttamente attraverso strategie di marketing calibrate.

Sono questi gli auspici e i richiami che gli analisti rivolgono alla Commissione UE.

Il quadro normativo Ue

In Europa il quadro normativo attuale, specie nell’ultimo periodo, si caratterizza già per una serie di misure che mirano ad affrontare alcuni di questi problemi.

Tuttavia il dubbio è che, sebbene l’applicazione dei quadri giuridici esistenti, come il GDPR, e altri in fase di negoziazione come il regolamento ePrivacy, o di prossima applicazione come il Digital Services Act e il Digital Markets Act, possano in qualche misura contribuire a migliorare la situazione, nondimeno, nessuno di questi si concentra ancora specificatamente sulla risoluzione delle dinamiche e delle preoccupazioni più sistemiche legate all’adtech.

Le sanzioni dell’Antitrust come quelle delle Autorità della protezione dei dati personali contro i colossi digitali non sembrano bastare a contrastare le pratiche di trattamenti illegittimi delle informazioni e concorrenza sleale adottate dalle grandi multinazionali tecnologiche e neppure intaccano le loro previsioni di guadagno.

La percezione di un’inconsistenza della risposta sanzionatoria è invero piuttosto evidente così come sempre più evidente è l’inadeguatezza degli attuali impianti normativi, in particolare antitrust.

Riuscirà il pacchetto Ue sui mercati e i servizi digitali a correggere il tiro?

Saranno sufficienti i buoni propositi e le strategie attuate da Google e Apple per contrastare la “traghettizzazione” selvaggia degli utenti attraverso la rimozione degli identificatori utilizzati dagli operatori dell’advertising o l’abbandono dei cookies di profilazione?

Nel frattempo, l’ultimo sondaggio di Insider Intelligence sulla quota di entrate pubblicitarie digitali in tutto il mondo, ha rilevato come il business della pubblicità online di Amazon continui a crescere rapidamente, portandosi al 7,3% del mercato, dietro Google e Meta.

Conclusioni

Di fronte alla complessità crescente della società del XXI secolo le attuali regole, poste a tutela del pluralismo e della difesa dei diritti fondamentali, entrano pesantemente in crisi.

La possibilità di un business etico si conferma impossibile e, tra tutti i fattori chiave, l’immaginazione in mano alle opulente élite tecnologiche appare già abbondantemente al potere.

Per quanto ancora?

Tramontata la stagione della rete intesa come “tecnologia della libertà”, tutti gli stati stanno, ora, investendo nella progettazione di nuove strategie regolamentari che puntano alla governance e alla sovranità del digitale.

Cionondimeno per comprendere cosa significherà la tecnologia per il futuro della società, del diritto e della rete stessa, sarà necessario un esame più attento del modo in cui la progettazione delle tecnologie dell’informazione e della raccolta dei dati all’interno dei modelli di business dei giganti del web riflettono e riproducono la nuova dimensione del potere economico e politico. E come questi siano destinati ad incidere nella sostanza e nell’interpretazione delle garanzie legali fondamentali, intese come presidi giuridici all’interno dei quali vengono definiti i diritti, le libertà, gli obblighi e le modalità con cui vengono applicati.

La dinamicità dei mercati digitali e le istanze imposte dalla sharing economy richiedono risposte celeri e un alto grado di coordinazione tra Autorità a livello sovranazionale.

Proprio l’evolversi delle relazioni, in uno spazio che non è fisico bensì digitale, rende inadeguata una visione non armonica delle condotte attuate in violazione delle norme poste a tutela della concorrenza sui mercati economici, della protezione dei dati e dei diritti e delle libertà fondamentali, e necessaria una sostanziale immanenza delle tutele giuridiche nell’era della rivoluzione tecnologica.

Nel mentre “la plasticità del codice digitale offre punti di leva normativa sia agli attori statali che a quelli privati[2]” da cogliere con consapevolezza e capacità di visione in vista dell’effettività delle tutele dei diritti in gioco nell’era dei Big Data.

Note

  1. European Commission, Directorate-General for Communications Networks, Content and Technology, Armitage, C., Botton, N., Dejeu-Castang, L., et al., Study on the impact of recent developments in digital advertising on privacy, publishers and advertisers : final report, Publications Office of the European Union, 2023, https://data.europa.eu/doi/10.2759/294673
  2. Between Truth and Power: The Legal Constructions of Informational Capitalism. Julie E. Cohen.© Julie E. Cohen 2019. Published 2019 by Oxford University – e Lawrence Lessig, Code and Other Laws of Cyberspace, (New York: Basic Books, 1998)

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