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Cina, l’Occidente ha commesso troppi errori strategici: ecco cosa rischiamo

Dall’ascesa di Xi, la Cina ha imposto la sua forza in molteplici ambiti e l’Occidente si è solo illuso che modernizzare volesse dire anche democratizzare. Nel libro “La Cina di Xi Jimping: verso un nuovo ordine mondiale sinocentrico? ” gli strumenti per addentrarsi nelle istituzioni cinesi e comprenderne i rischi

Pubblicato il 26 Apr 2023

cina tech

Per decenni, le democrazie liberali si sono illuse che la modernizzazione della Cina avrebbe determinato anche la sua democratizzazione. Dopo il crollo del muro di Berlino e il successivo dissolvimento dell’Unione Sovietica, l’establishment della politica estera statunitense – e non solo – ha nutrito questa certezza all’interno di una più ampia politica estera di “esportazione” delle libertà e della democrazia. Anche la tanto decantata vittoria nella Guerra Fredda si è tradotta in una pura illusione.

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Gli errori dell’Occidente nei rapporti con la Cina

Due Stati potenti, come Cina e Russia, hanno creduto che fosse giunto il momento di spingere contro un Occidente indebolito e confuso. Si è sognato che la liberalizzazione economica nel Paese più popoloso del mondo, la Cina, avrebbe automaticamente comportato la libertà politica per i propri cittadini. Ci si è autoconvinti che l’impegno diplomatico dell’Occidente e l’integrazione di Pechino nell’economia internazionale, con il suo ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), avrebbero mitigato l’autoritarismo del Partito Comunista Cinese (PCC).

La Cina, invece, ha deliberatamente approfittato di questa apertura, senza accettare i valori che la sostenevano. All’epoca è sembrata la decisione giusta ma ora è diventato un errore strategico. Pechino è collegata al commercio globale e ai sistemi finanziari attraverso modalità che creano rischi che saranno eccezionalmente difficili da districare. Sono stati commessi gravi errori, alimentati anche da un’omissione valutativa delle condotte e delle intenzioni del Partito Comunista Cinese (PCC) e da un mercantilismo miope che ha scelto di anteporre propri interessi a quelli generali di sicurezza degli Stati.

L’obiettivo di ridurre al minimo gli attriti tra le economie internazionali è alla base di molte regole ed Istituzioni successive alla Seconda Guerra Mondiale. Tale governance democratica ora è costantemente minacciata da Cina, Russia, Iran e da altri Paesi, tutti accomunati da un sentimento anti-occidentale e revanscista.

L’interferenza del PCC nell’economia internazionale

Districarsi dai legami economici è meno difficile se si ha a che fare con la Russia perché la sua economia è in decadenza. Ma con la Cina è differente. Essa è ricca, industrializzata, controlla le più importanti catene globali di approvvigionamento e molte nazioni dipendono da lei. Inoltre, essa è fortemente orientata alla tecnologia, con il Presidente Xi Jinping che persegue una leadership globale nel settore.

Anche l’interferenza del PCC nell’economia internazionale non è facilmente individuabile ed il Partito continua ad utilizzare la propria potenza come un randello per costringere aziende e Nazioni a fare cose che non sceglierebbero di fare in assenza di una coartazione. Pechino vuole una preminenza globale e, per questo, utilizza tutto l’arsenale a sua disposizione: operazioni di influenza, cooptazione economica, politica, diplomazia, forza militare. Metodologie e strumenti che spesso si pongono anche al di fuori della legalità internazionale.

Pechino è una grande potenza revisionista che per decenni ha accumulato ricchezze, sviluppato capacità militari di livello mondiale e diffuso la sua influenza in tutto il globo con l’obiettivo a lungo termine di riscrivere l’ordine internazionale.

Il PCC non esporta esplicitamente il suo modello di marxismo-leninismo ma commercializza, invece, elementi del sistema “Partito-Stato” di Xi Jinping e il suo concetto di governance come alternativa alle concezioni occidentali dell’organizzazione politica ed economica. Il rifiuto del Partito di rinnegare la Russia e Vladimir Putin per l’invasione dell’Ucraina è perfettamente coerente con questa idea.

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Verso un nuovo ordine mondiale sinocentrico?

E’ giunto il momento di adeguare le normative, trovare nuove alleanze tra Paesi che la pensano allo stesso modo e mettere in sicurezza le relative economie. Non si tratta di chiudere i rapporti con la Cina. Ma la modernizzazione dei processi normativi diventa il requisito principale per potersi difendere. Servono regole nuove, come lo screening degli investimenti sensibili in entrata e in uscita e norme per gli affari occidentali in Cina, limitando l’uso della tecnologia di Pechino che si traduce, per via della legge sulla fusione civile-militare, in una sua costante violazione della sovranità interna degli Stati. Forse servono anche nuovi Organismi per fare ciò.

Bisogna lavorare per disciplinare la nuova globalizzazione che ci attende.

Dopo la fine dell’Unione Sovietica, l’economia globale è stata ristrutturata per facilitare i flussi di denaro, tecnologia e beni. Ma il mercato globale così creato è sempre più distorto anche dal rischio politico.

La guerra in Ucraina ha segnato un importante cambiamento nell’ordine globale. Bisogna studiare e comprendere cosa fare. Il problema è complicato anche perché è “dinamico” e coinvolge tanti aspetti della società.

Non è facile raccogliere dati e documenti sulla Cina: troppa l’opacità che pervade ancora gran parte della documentazione ufficiale interna. Nel libro “La Cina di Xi Jimping: verso un nuovo ordine mondiale sinocentrico? ” proviamo quindi a fornire una prima serie di strumenti per conoscere ed addentrarsi nelle istituzioni cinesi e comprenderne i rischi.

Bisogna ricordare che le libertà non sono regalate, vanno conquistate e difese ogni giorno. E tutto ciò ha un prezzo che la storia ora ci chiede di sopportare.

Gli strumenti per conoscere l’avversario*

Dall’ascesa al potere di Xi Jinping nel 2012, la crescente assertività e volontà di potenza cinese hanno assunto caratteristiche ben precise e precipue: portando Pechino, in nemmeno un decennio, a scalare le graduatorie globali rispetto a molteplici ambiti. Per sfortuna nostra, secondo un modello sociale e produttivo in totale antitesi con i valori occidentali di Libertà, Democrazia e Stato di Diritto. È incredibile guardarsi per un attimo alle spalle e constatare come tutto questo sia avvenuto così repentinamente, senza che l’Occidente prendesse coscienza – almeno fino all’ultimo – del pericolo: tanto esterno quanto interno, perché riuscito a penetrare e a innervarsi nei gangli stessi dei nostri apparati politici, economici e culturali.

Per porre rimedio al disastro è necessario conoscere, finalmente, l’avversario che si ha di fronte: come si muove, quali sono i suoi obiettivi, quali gli “alleati” (più o meno consapevoli) che assolda e sfrutta nel campo avverso, cioè nel nostro campo.

La Repubblica Popolare di Cina dichiara ufficialmente ambizioni e politiche coercitive che sfidano e mettono in discussione i nostri interessi, sicurezza e valori.

Pechino utilizza un vasto arsenale di strumenti politici, economici e militari mirati ad accrescere rapidamente il proprio radicamento globale, la sua proiezione di potenza, mentre rimane al tempo stesso del tutto opaca quanto alla propria strategia, intenzioni ed esponenziale rafforzamento dell’arsenale militare.

Sono queste le valutazioni di carattere generale rese pubbliche dell’Alleanza Atlantica durante il Summit del 28-30 Giugno 2022, che ha approvato il nuovo Concetto Strategico, valido per i prossimi dieci anni.

Allo stesso tempo tutti i membri dell’Alleanza Atlantica restano determinati e disponibili a un confronto costruttivo con la RPC, con il proposito di garantire gli interessi dell’Alleanza nel suo insieme così come di ciascuno dei suoi trenta (e prossimamente 32) Paesi membri.

Come affrontare le “sfide sistemiche” poste dalla Cina alla sicurezza euro-atlantica

Tuttavia l’impegno a confrontarsi costruttivamente con la RPC non attenua in alcun modo la responsabilità, avvertita da ciascun Paese membro, a lavorare con consapevolezza per affrontare le “sfide sistemiche” poste dalla Cina alla sicurezza euro-atlantica, difendendo attivamente i valori fondativi condivisi e sostenendo un ordine internazionale basato sulle regole, inclusa la libertà (normata) di “navigazione” nel Mare Magnum del web (dove insidie, trappole e pericoli si celano dietro a ogni clic, fungendo da rischiosa “porta di accesso” per attacchi hacker perpetrati ai danni degli interessi statali).

In tale quadro le preoccupazioni alleate si concentrano soprattutto sulla dimensione Cyber, sullo Spazio, sugli attacchi informatici che mirano a compromettere infrastrutture strategiche, a interferire gravemente nel dibattito politico attraverso una massiccia propaganda, una accanita disinformazione e un subdolo incitamento alla radicalizzazione e all’odio settario.

La dimensione Cyber si aggiunge pericolosamente alle oramai consolidate tattiche della RPC nell’incoraggiare la sottrazione della proprietà intellettuale, dei metadati, delle scoperte scientifiche e dei brevetti.

Su questo fronte, Pechino è impegnata anche a condizionare a livello globale la libertà di comunicazione, di opinione, di mercato, per milioni di operatori stranieri attivi nell’economia cinese o in contatto con interlocutori residenti nella RPC.

I rapporti dell’Italia con Pechino

Un punto di caduta dal quale l’Italia deve urgentemente risollevarsi riguarda il Memorandum sottoscritto dal Governo Conte I in occasione della visita in Italia del Presidente Xi Jinping, il 23 marzo 2019.

L’adesione entusiasta del Governo italiano – unico del G7 – alle Vie della Seta e alla BRI (Belt and Road Initiative) è stata decisa e attuata senza alcun approfondito dibattito sull’assertività spregiudicata – spesso in palese violazione del Diritto e delle regole internazionali – dell’attuale politica estera e di sicurezza di Pechino. Ciò che è per esempio avvenuto con l’occupazione illegale di parte rilevante del Mare della Cina; con la repressione imposta dal PCC sulle dimostrazioni identitarie e alla fine su tutte le libertà riconosciute a Hong Kong; con le continue minacce a Taiwan; e infine con la grave mancanza di trasparenza e le colpevoli omissioni di notifica – al primo manifestarsi nel Novembre 2019 del Coronavirus – a tutti i Paesi aderenti al Trattato International Health Regulation (ratificato anche dalla Cina). Così le prime fasi della pandemia sono state in diversi Paesi sottovalutate o volutamente ignorate, anche
sotto l’intimidazione e la pressione della propaganda cinese, per convenienza politica della sua stessa leadership.

Negli ultimi anni, e ben da prima della pandemia, l’Italia ha subito l’affondo dell’espansionismo cinese a tutto campo. Negli investimenti e nel controllo diretto o mediato di attività produttive e finanziarie, di reti logistiche, di infrastrutture d’interesse nazionale, europeo e atlantico. Il trasferimento di tecnologie italiane dual use verso la Cina, l’accesso incondizionato di società cinesi – statali o nominalmente private – in Italia, contrapposto invece all’accesso fortemente condizionato di quelle italiane in Cina, il sorgere anche da noi degli Istituti Confucio, da cui la propaganda cinese viene diffusa, la collaborazione tecnologica e scientifica sempre sbilanciata a nostro danno, e l’inesistente tutela della proprietà intellettuale, questi sono tutti elementi che caratterizzano un quadro di rapporti bilaterali di cui soffrono tutti i Paesi partner di Pechino. Come gli Autori di questo saggio puntualmente evidenziano.

Tuttavia per l’Italia tale quadro è aggravato da una politica di endemica acquiescenza; di mancanza di qualsiasi volontà politica nel far valere i principi della reciprocità tra gli Stati, e il rispetto dei Trattati internazionali.

Negli ultimi anni, quelli che hanno preceduto l’esperienza di Governo di Mario Draghi, l’Italia si è contraddistinta se non come l’unica, per lo meno come la principale, voce fuori dal coro ogniqualvolta l’Unione Europea dovesse affrontare seriamente questioni di particolare rilevanza nei rapporti con la Cina.

Si è trattato di un gioco alquanto pericoloso, che ha rischiato di porre il nostro Paese in una condizione marginale rispetto ai nostri alleati euro-atlantici, specialmente gli Stati Uniti, i quali assicurano il maggior impulso alla nostra crescita economica, scientifica, tecnologica, nonché alla sicurezza e Difesa dell’Italia.

Il punto di ripartenza deve essere quello della piena reciprocità di trattamento e di un identico riconoscimento delle rispettive sovranità, ben diverso dal clima di sudditanza e di sottomissione che si è instaurato negli ultimi anni (come purtroppo confermato dalla mancata risposta dell’allora Governo a dichiarazioni inaccettabili delle autorità diplomatiche cinesi in Italia, rivolte addirittura nei confronti di membri del Parlamento italiano).

L’Italia risulta dunque particolarmente esposta alle tattiche di potere cinesi, che sono riuscite negli anni ad acquisire alla narrativa del Partito Comunista Cinese consensi di personalità politiche, di ambienti imprenditoriali, scientifici e culturali.

I veri obiettivi di Xi Jinping sono costantemente ignorati da gran parte dell’informazione del nostro Paese, così come gli attacchi che la Cina attuale porta all’ordine mondiale, agli stessi valori della Costituzione italiana e dei Trattati Europei.

I rischi della posizione italiana

Non è certo così per gli Stati Uniti e per altri partner atlantici, i quali si stanno preparando senza autolesionismi e timidezze a un confronto con la Cina, tanto su questioni di natura politica quanto in merito al futuro quadro economico. In tale contesto, una posizione equivoca da parte dell’Italia non è più sostenibile: essa danneggia infatti nostri primari e fondamentali interessi nazionali.

Particolare attenzione deve essere riservata alla disinformazione, alle strumentalizzazioni e ai condizionamenti esercitati nei confronti di personalità italiane di ogni ordine e grado. Quale antidoto – o se preferiamo quale “vaccino” – possiamo opporre come Occidente, libero e democratico, al virus cinese dell’autoritarismo e della tecnocrazia spinta, dove Cyber, Tecnologie digitali e Intelligenza Artificiale divengono pervicaci strumenti per propagandare all’esterno il verbo incontrastato di Xi Jimping?

Vi è tendenzialmente una natura assai opaca nelle tattiche cinesi. Al primo punto di qualsiasi strategia politica serve pertanto la Conoscenza: non solo come strumento di intervento, ma innanzitutto a tutela dell’interesse nazionale e dei singoli cittadini. Non ci può infatti essere alcuna azione politica concreta, che sia efficace ed efficiente, senza il fondamentale pre-requisito della conoscenza/consapevolezza dell’interlocutore/avversario che abbiamo dinanzi. Ciò vale specialmente per quanti ricoprono ruoli istituzionali o all’interno di settori strategici, onde evitare coinvolgimenti talvolta poco informati e persino ingenui, quando non evidentemente mossi da considerazioni di natura politica o personale.

Conclusioni

La Democrazia perisce nelle tenebre dell’equivoco e soprattutto del silenzio complice e omertoso: “Conoscere, discutere e infine deliberare”, affermava nel secolo scorso un gigante del pensiero liberale come Luigi Einaudi. Oggi ardiamo aggiungere una glossa: “conoscere, discutere e infine deliberare” nell’interesse supremo dell’Italia e degli italiani, e non “pilotati” nel baratro dal sogno di dominio globale della Cina di Xi Jinping.

*Estratti dalla Prefazione del volume “La Cina di Xi Jimping: verso un nuovo ordine mondiale sinocentrico? ” a cura di Giulio Terzi

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