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Batterie, se l’UE si “scopre” dipendente dalla Cina



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Un documento interno per i leader europei, preparato dalla presidenza di turno spagnola, avverte che l’Ue potrebbe diventare dipendente dalle batterie agli ioni di litio e dalle celle a combustibile cinesi entro il 2030. Un allarme già noto, che mette sempre più a rischio le mire dell’Europa sul mercato mondiale delle batterie

Pubblicato il 28 set 2023



batterie

Scoppia una nuova grana in Europa: la dipendenza dalle batterie cinesi. Un problema, questo, difficilmente risolvibile nell’immediato e certamente enfatizzato dall’ambizioso – e per certi versi strategicamente irrazionale – piano del Green Deal europeo volto a rendere l’UE neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050 (anche) con la riduzione delle emissioni dei trasporti del 90%.

Irrazionale, perché l’Europa – a conoscenza del problema già prima dell’adozione di tali politiche di transizione green – non possiede né le materie prime per poter realizzare le batterie, né una capacità produttiva indigena, entrambe necessarie – ma difficilmente acquisibili – per realizzare tale gigantesco progetto nei tempi previsti.

Il documento che allarma l’Ue

Eppure la dipendenza era da tempo nota all’UE. Secondo i dati resi pubblici dalla Commissione Europea, infatti, nel 2018 la capacità di produzione globale di celle di batterie agli ioni di litio era la seguente: 3% nell’UE, 66% in Cina. 20% in Corea del Sud, Giappone e altri paesi asiatici.

Cosa è successo ora di nuovo? Un documento interno per i leader europei, preparato dalla presidenza spagnola dell’Unione Europea, avverte che l’Unione Europea potrebbe diventare dipendente dalle batterie agli ioni di litio e dalle celle a combustibile cinesi entro il 2030, quanto lo era dal petrolio e dal gas naturale russi prima della guerra in Ucraina, ha riferito Reuters il 17 settembre, dopo aver ottenuto una bozza del documento.

Il documento sarà discusso in Spagna il 5 ottobre in un incontro incentrato sul miglioramento della sicurezza energetica ed economica dell’UE.

Cosa dice il documento

L’atto afferma che, a causa della natura intermittente delle fonti energetiche rinnovabili come quella solare o eolica, l’Europa avrà bisogno di modi per immagazzinare energia per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050.

“Ciò farà salire alle stelle la nostra domanda di batterie agli ioni di litio, celle a combustibile ed elettrolizzatori, che si prevede si moltiplicherà tra 10 e 30 volte nei prossimi anni”, afferma il rapporto. “Senza l’attuazione di misure forti, entro il 2030 l’ecosistema energetico europeo potrebbe avere una dipendenza dalla Cina di natura diversa ma con una gravità simile a quella che aveva dalla Russia prima dell’invasione dell’Ucraina”, aggiunge il rapporto.

L’UE produttrice “di norme” ma non di beni

L’Unione Europea farà fatica a proteggere il proprio settore automobilistico e a ridurre la propria dipendenza dalla tecnologia cinese delle batterie senza provocare ritorsioni da Washington o Pechino. Bruxelles potrebbe imporre restrizioni sui veicoli elettrici (EV) prodotti in Cina, attraverso indagini o altri meccanismi, ma qualsiasi mossa volta a proteggere il mercato dell’UE dalla concorrenza cinese si tradurrebbe probabilmente in alcune ritorsioni (o azioni giudiziarie presso l’OMC) da parte della Cina, anche se la portata della reazione dipenderà dai meccanismi messi in atto.

Finora, i leader tedeschi hanno messo in guardia dall’adottare misure per proteggersi dalla concorrenza cinese, sostenendo che ciò minerebbe la competitività della Germania nel settore automobilistico. Inoltre, è probabile che anche l’Unione Europea amplierà il proprio sostegno statale ai veicoli elettrici e alla tecnologia delle batterie. Ma anche ciò potrebbe risultare problematico per via delle rigide regole sugli aiuti di stato.

Impreparazione generale?

La notizia ha colto impreparati in molti, ma non coloro che già in passato avevano lanciato questo tipo di allarme. Quid pluris: al di là delle “operazioni di influenza” dello Stato cinese, è notorio che il mercato delle batterie ad alta capacità è uno dei più critici per gli interessi europei (e per quelli statunitensi). Dunque, cosa è stato fatto finora l’Europa per mitigare i rischi? Poco, molto poco, parrebbe di capire dal documento reso noto da Reuters.

L’allarme già lanciato dalla Corte dei conti europea

“L’UE rischia di restare indietro nella corsa per diventare una superpotenza mondiale delle batterie […] È vero che negli ultimi anni l’UE ha promosso efficacemente la propria politica industriale in materia di batterie. L’accesso alle materie prime resta però uno scoglio importante, insieme all’aumento dei costi e all’agguerrita concorrenza mondiale. Gli sforzi compiuti dall’UE per rafforzare la propria capacità di produzione di batterie potrebbero quindi non bastare a soddisfare la domanda crescente e, avvertono gli auditor della Corte dei conti europea, il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni entro il 2035 è dunque a rischio”, ha denunciato a giugno scorso l’ente europeo di vigilanza dei conti con la relazione speciale 15/2023, intitolata “La politica industriale dell’UE in materia di batterie – Serve un nuovo slancio strategico”.

“Per le batterie, l’UE non deve finire nella stessa posizione di dipendenza in cui si è trovata per il gas naturale; in gioco c’è la sua sovranità economica” ha dichiarato Annemie Turtelboom, il Membro della Corte responsabile dell’audit. “Programmando lo stop alla vendita di auto nuove a benzina e diesel per il 2035, l’UE sta puntando molto sulle batterie. Ma potrebbe partire svantaggiata in termini di accesso alle materie prime, interesse degli investitori e costi.

“Tra il 2014 e il 2020, il settore delle batterie ha ricevuto almeno 1,7 miliardi di euro di sovvenzioni e garanzie sui prestiti UE, in aggiunta a quasi 6 miliardi di aiuti di Stato autorizzati tra il 2019 e il 2021, principalmente in Germania, Francia ed Italia”. Gli auditor della Corte hanno però riscontrato che la Commissione europea non disponeva di un quadro d’insieme di tutto il sostegno pubblico offerto al settore, “il che ne limita la capacità di garantire un adeguato coordinamento e un sostegno mirato”.

Le censure della Corte

  • La capacità di produzione di batterie dell’UE si sta sviluppando rapidamente, con una potenzialità di crescita da 44 GWh nel 2020 a 1 200 GWh entro il 2030. Tuttavia, queste proiezioni non sono affatto una certezza e potrebbero essere messe a rischio da fattori geopolitici ed economici.
  • I fabbricanti di batterie potrebbero abbandonare l’UE e trasferirsi in altre regioni, non da ultimo gli USA, che offrono loro massicci incentivi. A differenza dell’UE, gli USA sovvenzionano direttamente la produzione di minerali e batterie, nonché l’acquisto di veicoli elettrici fabbricati negli Stati Uniti utilizzando componenti americane.
  • L’UE dipende fortemente dalle importazioni di materie prime, soprattutto da pochi paesi con i quali non ha accordi commerciali: l’87 % delle importazioni di litio grezzo proviene dall’Australia, l’80 % delle importazioni di manganese dal Sud Africa e dal Gabon, il 68 % delle importazioni di cobalto grezzo dalla Repubblica democratica del Congo e il 40 % delle importazioni di grafite naturale grezza dalla China. Sebbene l’Europa disponga di diverse riserve minerarie, tra la scoperta e la produzione servono almeno 12-16 anni, per cui è impossibile rispondere rapidamente all’aumento della domanda. Invece, gli accordi contrattuali esistenti garantiscono in genere un approvvigionamento di materie prime per soli 2 o 3 anni di produzione futura. Per affrontare tale situazione, nel marzo di quest’anno la Commissione europea ha proposto una normativa sulle materie prime critiche, rilevano gli auditor della Corte.
  • La competitività della produzione di batterie dell’UE potrebbe essere messa a rischio dall’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia. Alla fine del 2020, il costo di un pacco batterie (200 euro per kWh) era più che raddoppiato rispetto all’importo programmato. Solo negli ultimi due anni, il prezzo del nichel è aumentato di oltre il 70 % e quello del litio dell’870 %.
  • gli auditor criticano anche la carenza di valori-obiettivo quantificati e vincolati a scadenze precise. Entro il 2030, si prevede che sulle strade europee circoleranno circa 30 milioni di veicoli a emissioni zero e, potenzialmente, quasi tutti i nuovi veicoli immatricolati a partire dal 2035 dovrebbero essere alimentati da batterie. L’attuale strategia dell’UE non valuta però se la sua industria delle batterie sia in grado di soddisfare tale domanda.

Gli scenari critici prospettai dalla Corte Ue

Complessivamente, la Corte mette in guardia contro due potenziali scenari peggiori nel caso la capacità di produzione dell’industria delle batterie dell’UE non dovesse crescere come previsto:

  • nel primo, l’UE potrebbe essere costretta a posticipare lo stop ai veicoli con motori termici al di là del 2035, mancando così gli obiettivi relativi alla neutralità in termini di emissioni di carbonio;
  • nel secondo, l’UE potrebbe dover dipendere fortemente da batterie e veicoli elettrici non-UE, a scapito dell’industria automobilistica europea e della relativa manodopera, per riuscire a disporre di un parco veicoli a emissioni zero entro il 2035.

Quanto conta l’influenza di Pechino sulle decisioni dell’Ue

Quanto ha inciso l’influenza di Pechino nel processo decisionale europeo in materia?La domanda è più che legittima dato che il Partito Comunista Cinese (PCC) ha condotto all’interno delle istituzioni europee “operazioni di influenza” con l’interferenza politica, la cooptazione delle élite, i coinvolgimenti istituzionali, la diplomazia commerciale e l’uso dei think tank, al fine di perseguire politiche coerenti con gli interessi del regime cinese.

“Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”. Al di là delle eventuali motivazioni sottese a tale “irrazionale” (da un punto di vista dei mezzi a disposizione, della tempistica e della geopolitica) decisione, il Green Deal rischia seriamente di consegnare gli Stati membri nelle mani della Cina di Xi Jinping. Cina che, peraltro, ha fatto della dipendenza degli Stati, della coercizione e della cooptazione economica una strategia – di valenza anche militare – per il dominio negli affari globali.

La dipendenza europea e quella statunitense

Le batterie agli ioni di litio sono particolarmente importanti per la produzione di veicoli elettrici e sono sempre più utilizzate per l’accumulo di energia e in altre applicazioni industriali come macchinari, utensili elettrici o carrelli elevatori.

“Le batterie sono fondamentali per consentire la trasformazione verde e digitale dell’UE. Sono essenziali per realizzare l’ambizione del Green Deal europeo di rendere l’UE neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050”, afferma la Commissione Europea.

Tuttavia, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno in questo una dipendenza strategica da Pechino. Idem, come si vedrà, per tutte le materie prime utilizzate per la loro produzione.

Attualmente, l’UE importa dalla Cina circa il 70% delle batterie agli ioni di litio. L’UE produce appena l’1% delle relative materie prime, mentre l’84% dei materiali e dei componenti lavorati proviene dall’Asia, in particolare dalla Cina. Litio, nichel classe 1, cobalto, manganese, grafite e rame sono gli elementi necessari per la loro realizzazione. La produzione globale di litio, cobalto e grafite dipende principalmente dalla Cina, che ne controlla oltre il 60%

I veicoli elettrici rappresentano tra l’80-85% dell’utilizzo delle batterie agli ioni di litio. Pechino, a sua volta, è anche il più grande mercato mondiale dei veicoli elettrici e domina la catena di approvvigionamento per la produzione di tali batterie.

A sua volta, gli Stati Uniti importano dalla Cina circa il 75% delle batterie agli ioni di litio.

Le iniziative politiche

L’UE ed altri Paesi stanno sviluppando iniziative politiche e programmi per contrastare la posizione di leadership della Cina e per localizzare le catene di approvvigionamento al proprio interno. In particolare, la Commissione europea ha varato nel 2017 la European Battery Alliance che prevede la costruzione di almeno 15 stabilimenti per la produzione su vasta scala nell’UE entro il 2025 e fornire celle di batterie per alimentare 6 milioni di auto elettriche (360 GWh).

L’obiettivo dichiarato dall’UE è diventare il secondo produttore più grande di celle agli ioni di litio entro il 2024. “La nostra quota della capacità di produzione globale potrebbe aumentare al 14,7% entro il 2024 e al 16,6% entro il 2029, rispetto al 5,9% nel 2019”.

Il piano d’azione Ue sulle batterie

Nel 2018 la Commissione ha adottato un piano d’azione strategico per le batterie (censurato dalla Corte dei Conti UE) Definisce un quadro completo di misure normative e non normative per supportare tutti i segmenti della catena del valore delle batterie e comprende le 6 aree prioritarie riportate di seguito:

Nel dicembre 2019, l’UE ha dichiarato che il settore delle batterie è di “interesse strategico” e ha annunciato un fondo di 3,5 miliardi di dollari per promuovere la ricerca e lo sviluppo delle batterie per aumentare la competitività globale dell’Europa.

In linea con il Green Deal europeo, il piano d’azione per l’economia circolare e la strategia industriale, la Commissione Europea afferma di “lavorare a una catena del valore competitiva, circolare, sostenibile e sicura per tutte le batterie immesse sul mercato dell’UE. La European Battery Alliance si integra con gli interessi della Commissione”.

Supportata dalla Commissione e dalla Banca europea per gli investimenti (BEI), la European Battery Alliance (EBA) riunisce le autorità nazionali, le regioni, gli istituti di ricerca industriale e altri soggetti interessati nella catena del valore delle batterie dell’UE.

Il 14 marzo 2022, la Commissione e il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE) hanno annunciato il sostegno a una collaborazione tra la European Battery Alliance e l’alleanza statunitense Li-Bridge “per accelerare lo sviluppo di solide catene di approvvigionamento per le batterie agli ioni di litio e di prossima generazione, comprese le batterie i segmenti critici delle materie prime”.

La strategia francese

A maggio, la Francia ha aperto la sua prima fabbrica di batterie per auto elettriche, una joint venture tra i giganti industriali europei Stellantis, TotalEnergies e Mercedes. Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire ha sottolineato la sfida futura.

“L’obiettivo non è che ci siano solo fabbriche di batterie”, ha detto Le Maire in una conferenza stampa dopo l’apertura della fabbrica. “Dobbiamo controllare l’intera catena del valore. Per prima cosa stiamo lavorando sui materiali critici di cui abbiamo bisogno di produrne di più, di cui abbiamo bisogno di trovarne di più. Non possiamo dipendere totalmente dall’Asia per la fornitura di materiali critici. Quindi dobbiamo riciclare le batterie”.

Quanto agli Stati Uniti, le batterie agli ioni di litio sono state riconosciute nei rapporti sulla catena di approvvigionamento del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE) e del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (DOD) come una tecnologia importante per la sicurezza economica e nazionale. La dipendenza dalle relative importazioni cinesi è descritta come seria vulnerabilità.

La leadership cinese nella produzione di batterie ad alta capacità

L’US Geological Survey (USGS) ha recentemente rilevato che la Cina è il principale produttore di 16 dei 32 minerali critici, tra cui cobalto, ferro, nichel (C1), manganese, litio e grafite, necessari per la produzione di batterie agli ioni di litio.

La Cina è anche leader mondiale nell’estrazione di materie prime di grafite, con una quota pari all’82% della produzione globale. Il DOE ha scoperto che “la Cina ha il predominio quasi assoluto dell’odierna capacità di raffinazione dei metalli necessari per le batterie agli ioni di litio”, come solfato di cobalto (62%), manganese ad alta purezza solfato (95%), idrossido di litio carbonato (61%); idem per i sottocomponenti, come i catodi (63%), i materiali anodici (84%), i separatori (66%) e gli elettroliti (69%).

Pechino è anche leader nella produzione di celle per batterie (80%) e si prevede che guiderà il mercato del riciclaggio delle batterie (50%).

Gli Stati Uniti, come altri Paesi, stanno tentando di mitigare alcune di queste vulnerabilità. Sono attivi in questo il Critical Minerals Institute, il programma Minerals Sustainability e il Consorzio Federale per le Batterie Avanzate.

Il dominio globale della Cina è la conseguenza di diversi fattori, quali le politiche ambientali discutibili, le distorsioni dei prezzi, la costituzione di entità statali che riducono al minimo la concorrenza e gli ingenti sussidi pubblici lungo tutta la catena di approvvigionamento delle batterie. Il ferreo controllo economico consente al governo di Pechino di sviluppare infrastrutture per materiali critici per le batterie ben prima dei driver di mercato. In particolare negli ultimi anni, le società cinesi hanno investito molto in questo settore.

I prezzi dei materiali dei fornitori cinesi sono inferiori ai normali prezzi di mercato e, secondo gli USA, la combinazione di ciò con i massicci sussidi del governo cinese solleva interrogativi commerciali. Ci sono prove diffuse secondo cui la Cina starebbe operando al di fuori delle pratiche accettate a livello globale per il commercio internazionale (OMC).

Gran parte dei 100 miliardi di dollari di sussidi governativi diretti cinesi erano o sono disponibili esclusivamente per aziende con sede in Cina o per la produzione nazionale.

Il braccio di ferro Usa-Cina

Per la Casa Bianca, questi sussidi sono stati inizialmente trattenuti anche dalle aziende che utilizzavano cellule di società con sede all’estero attraverso una certificazione opaca dei requisiti. Tali requisiti di certificazione sembrano anche volti ad estrarre PI sulla composizione e sulla costruzione delle celle da fornitori con sede all’estero.

Gli Stati Uniti accusano la Cina di aver sfruttato la sua posizione sostenuta dallo Stato come principale produttore e consumatore di celle agli ioni di litio per limitare ulteriormente la concorrenza nella catena di approvvigionamento. L’approccio della Cina, aggiunge l’Amministrazione Biden, consiste nel garantire un accesso preferenziale alle imprese nazionali, in gran parte statali, per fare investimenti precompetitivi nella capacità di raffinazione dei materiali e delle materie prime e lo Stato sovvenziona questa capacità fino a quando non viene creata una domanda e, a volte, anche per immettere prodotti e materiali nei mercati internazionali. Come si vedrà, le aziende cinesi hanno effettuato numerosi ed ingenti investimenti in operazioni minerarie in tutto il mondo per garantirsi la fornitura di materiali critici come cobalto, nichel e litio.

Secondo Benchmark Minerals Intelligence, un’agenzia di rapporti sui prezzi con sede a Londra, la Cina ha anche un ulteriore vantaggio: riesce a mantenere una posizione significativa nella catena di approvvigionamento globale dalla raffinazione fino alla produzione a valle delle celle per batteria, nonostante produca solo il 23% della fornitura globale di materie prime. Il predominio della Cina nel settore delle batterie si concentra sulla produzione mid-stream e downstream. Nel 2019, la produzione chimica cinese di materie prime di Classe 1 si è attestata all’80% della produzione globale totale. La Cina è il principale trasformatore mondiale di carbonato di litio in idrossido di litio, cobalto in solfato di cobalto, raffinazione del manganese e raffinazione della grafite sferica non rivestita.

Con i programmi economici a lungo termine Made in China 2025 e Industrie strategiche emergenti, Pechino ha identificato come “industrie critiche” i veicoli elettrici e le apparecchiature della rete elettrica (ad esempio i sistemi di accumulo). Nel perseguimento di questo obiettivo, la Cina ha messo in campo una serie di politiche per assistere le imprese automobilistiche e le società energetiche interne nello sviluppo o nell’acquisizione di tecnologie e nella localizzazione della produzione nel Paese che spesso generano asimmetrie normative a svantaggio delle imprese straniere. Un esempio ne è il programma di certificazione delle batterie, implementato proprio per impedire o ostacolare la vendita locale di batterie prodotte da società straniere nonché per inibire l’ingresso di queste imprese nel mercato dei veicoli elettrici cinese e per escluderle dal beneficio degli incentivi. Va anche detto che, sebbene la Cina abbia livelli di produzione elevati di celle per batterie agli ioni di litio, fino ad oggi una parte sostanziale della produzione è stata di qualità inferiore rispetto a quelle di altri Paesi.

L’indagine dell’Ue

Intanto, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato un’indagine sui sussidi cinesi ai produttori di veicoli elettrici, che stanno cercando di farsi strada nel mercato europeo con prezzi significativamente inferiori a quelli fissati dai loro concorrenti europei.

“La Commissione sta avviando un’indagine antisovvenzioni sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina. L’Europa è aperta alla concorrenza, ma non a una corsa al ribasso. Dobbiamo difenderci dalle pratiche sleali”, ha affermato von der Leyen il 13 settembre nel suo discorso sullo stato del sindacato.

Pechino ha criticato l’indagine dell’UE.

“Le misure adottate dall’UE violano i principi dell’economia di mercato e le regole del commercio internazionale. La [mossa] non favorisce la stabilità della catena di fornitura globale dell’industria automobilistica e non è nell’interesse di nessuno, compreso il UE”, ha detto mercoledì ai giornalisti Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese.

L’approvvigionamento di terre rare

Stati Uniti e Unione Europea dipendono strategicamente anche da un’ampia gamma di minerali e materiali critici che sono gli elementi costitutivi delle batterie, oltre che dei prodotti che si utilizzano tutti i giorni.

Gli elementi delle terre rare (REE) e i minerali critici sono un gruppo di 17 metalli: 15 elementi della serie dei lantanidi e due chimicamente simili, lo scandio e l’ittrio. Ciascuno con proprietà uniche vitali, essi sono alla base di produzione, sviluppo, consegna e sostegno di servizi essenziali come telecomunicazioni e informatica, alimentazione e agricoltura, finanza, assistenza sanitaria, istruzione, trasporti e pubblica sicurezza.

Si prevede che la loro domanda aumenterà nei prossimi due decenni, in particolare quando il mondo agirà per eliminare le emissioni nette di carbonio entro il 2050.

La Cina, sebbene abbia soltanto circa il 30% delle riserve globali di terre rare, controlla il 50-60% della loro estrazione mondiale e l’80-90% del mercato nella fase della lavorazione intermedia.

Attualmente, il 98% della fornitura di terre rare dell’UE proviene dalla Cina. La dipendenza degli USA si stima, invece, intorno all’80%.

Oggi la Cina detiene una posizione di comando nella catena di approvvigionamento globale delle terre rare, dall’estrazione mineraria alla lavorazione fino agli usi finali. Pechino utilizza numerosi strumenti per conservarne il dominio, come i controlli sulle esportazioni, le quote di produzione, gli investimenti statali nella ricerca di base, la nazionalizzazione dell’industria e, più recentemente, il consolidamento dello Stato in una mega-impresa integrata.

Attualmente, il predominio di Pechino è dovuto più al loro investimento nel processo di separazione e raffinazione che alle politiche commerciali o industriali. Nel 2012 il governo cinese ha avviato un processo di consolidamento del settore che ha trasformato l’industria in sei conglomerati statali regionali. A dicembre 2021 c’è stato un ulteriore consolidamento del settore con la creazione di una nuova megaimpresa. Il China Rare Earth Group è il risultato della fusione di tre grandi conglomerati minerari e due istituti di ricerca. Controllerà le terre rare pesanti e medie della Cina, sotto il controllo della Commissione statale per la supervisione e l’amministrazione dei beni di proprietà del Consiglio di Stato (il più alto livello amministrativo). Il nuovo conglomerato controllerà il 30-40% circa dell’offerta globale.828 In futuro saranno consolidate anche le società del nord della Cina, intorno alla miniera di Baotou nella Mongolia interna e Pechino avrà solo due enormi imprese statali integrate verticalmente in grado di gestire l’estrazione di terre rare e la post-elaborazione. L’azienda del sud si concentrerà sui minerali pesanti, mentre quella del nord si concentrerà sui minerali leggeri (compreso il neodimio).

Le vulnerabilità europee e statunitensi delle relative catene di approvvigionamento, dunque, derivano dalla concentrazione del mercato in Cina. Pechino, però, non sarà in grado di soddisfare la propria domanda interna in aumento, né i bisogni globali, in particolare per il neodimio ed altre terre rare chiave necessarie per i magneti permanenti. Senza queste terre rare, diventa di difficile realizzazione anche la politica della transizione energetica globale.

Sfruttare l’asimmetria nelle catene di approvvigionamento globali

Negli ultimi decenni, il PCC ha condotto una guerra economica contro il resto del mondo, ha eroso filiere produttive con l’obiettivo di rendere gli Stati dipendenti da Pechino e questo piano sta riuscendo. Il corollario è che più le industrie si indeboliscono (semiconduttori, telecomunicazioni, minerali critici ed elementi delle terre rare, batterie ad alta capacità, prodotti farmaceutici e attrezzature mediche), più la sicurezza nazionale degli Stati cui appartengono è a rischio. Senza l’accesso a catene di approvvigionamento sicure, nessun Paese è in grado di sostenere la propria economia e sviluppare sistemi d’arma per la difesa nazionale.

Tutto ciò non significa escludere la Cina dalle catene di approvvigionamento globali che si intersecano con quelle di altri Paesi come USA e UE; tuttavia, è doveroso capire quali circostanze creano rischi inaccettabili e quali, invece, rischi tollerabili o benigni. In particolare, ci si dovrebbe preoccupare della cosiddetta interdipendenza asimmetrica che Pechino usa come arma geopolitica. Sono tali le catene di approvvigionamento critiche, cioè che generano una dipendenza strategica rischiosa che sorge quando l’accesso limitato a una categoria di prodotti può sconvolgere l’economia di un Paese o lasciarlo altrimenti vulnerabile. Ciò deve tenere conto della tecnologia, del know-how, dei costi e del tempo necessario per creare fonti alternative per la produzione industriale vitale. La preparazione agli shock è solo un fattore e la diversificazione commerciale, non l’autarchia, è la chiave della soluzione. L’obiettivo è triplice: sicurezza, apertura e prosperità delle catene.

Bisogna formare un’alleanza strategica globale della catena di approvvigionamento, ha detto Stephen Ezell, vice presidente della Global Innovation Policy Information Technology and Innovation Foundation (ITIF). Le nazioni democratiche che la pensano allo stesso modo dovrebbero unirsi per formare una Global Strategic Supply Chain Alliance (GSSCA) ed affrontare collettivamente le esigenze di sicurezza rispetto ad elementi strategici critici, come le reti 5G, i metalli delle terre rare, i principi farmaceutici attivi, le batterie e, forse, riuscire a conquistarsi un componente chiave nella catena di approvvigionamento dei semiconduttori.


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