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Influencer: le tasse da pagare per i redditi prodotti dal marketing digitale

Sono sempre più numerose le aziende che affidano la pubblicizzazione del loro brand agli influencer. Ma in quali categorie reddituali vanno inseriti i proventi di questa attività di marketing? Tutto quello che c’è da sapere

Pubblicato il 25 Mag 2022

Francesco Spinello

Comitato Scientifico Assoinfluencer, Dottorando di Ricerca in Diritto Tributario, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Avvocato in Roma

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La rivoluzione tecnologica in atto ha spinto la maggior parte delle imprese ad adottare nuove strategie di marketing e a utilizzare le piattaforme digitali allo scopo di pubblicizzare i propri beni e servizi anche online. È in tale contesto che si innesta il nuovo modello comunicativo di marketing influencer, con cui società legate a brand consolidati o emergenti scelgono di sponsorizzare i propri prodotti attraverso foto, video o post pubblicati sui canali social dagli influencer, personaggi dotati di una certa notorietà sul web.

Influencer marketing, servono regole e responsabilità

L’elemento fondamentale che caratterizza l’attività professionale degli influencer è il numero di followers, il cui ruolo nella genesi del reddito è assimilabile a quello di un fattore di produzione tradizionale.

In attesa di una presa di posizione ufficiale da parte dell’amministrazione finanziaria, la difficoltà di ricondurre i compensi percepiti dagli influencer nelle categorie reddituali previste dall’art. 6, comma 1 del T.U.I.R. deriva essenzialmente dalle concrete modalità di svolgimento delle attività promozionali e dall’organizzazione sottostante.

Quale tassazione per i redditi prodotti dagli influencer?

Nello svolgimento quotidiano della propria attività, l’influencer si avvale di un capitale immateriale (il seguito virtuale) che si combina con gli altri fattori produttivi e sfocia nel confezionamento del contenuto digitale da cui sono ricavati i profitti[1].

In via preliminare è utile osservare che, dal punto di vista civilistico, la fattispecie in esame è generalmente caratterizzata dalla stipulazione di uno o più accordi tra influencer e società/brand di cui si promuove il prodotto, anche per il tramite di agenzie di marketing specializzate.

In forza di tali accordi, l’influencer assume l’obbligo di pubblicizzare i prodotti di un determinato brand attraverso la pubblicazione di foto, video o post sui propri social network, dietro il pagamento di un corrispettivo o la consegna di prodotti da parte dell’azienda proprietaria del marchio.

In tale prospettiva, l’attività generalmente svolta dagli influencer è riconducibile alla categoria dei contratti d’opera (artt. 2222 e ss. cod. civ.), ancorché racchiusa nella veste atipica del contratto di sponsorizzazione.

Nonostante l’assenza di chiarimenti ufficiali da parte dell’Amministrazione Finanziaria, ai fini fiscali che qui interessano sembra potersi ritenere che i compensi percepiti dagli influencer per lo svolgimento delle attività promozionali costituiscano redditi di lavoro autonomo, ai sensi dell’articolo 53, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), in presenza dei requisiti di abitualità e professionalità richiesti dalla citata disposizione[2].

In effetti, le attività esercitate professionalmente dagli influencer (e cioè in modo prevalente, abituale e continuativo) si caratterizzano per l’assenza di vincoli di subordinazione, per la loro natura essenzialmente individuale e per il carattere di originalità delle prestazioni rese, rispetto alle quali l’apporto personale assume decisiva rilevanza; in altri termini, la fattispecie descritta risulta caratterizzata dalla presenza di un nesso di causalità tra la componente personale dell’influencer e i redditi ritratti dall’attività svolta.

In assenza del requisito dell’abitualità dell’attività svolta, i compensi percepiti dagli influencer dovrebbero invece ritenersi ricompresi nella categoria dei redditi diversi ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. l) del T.U.I.R.. In ogni caso, ove l’attività sia organizzata in forma di impresa (e l’analisi dovrà necessariamente implicare un’attenta valutazione di fatto) i compensi percepiti dagli influencer dovrebbero essere ricondotti, ai sensi dell’art. 55 del T.U.I.R., nella categoria dei redditi d’impresa.

Profili fiscali internazionali

Il criterio della residenza fiscale riveste un ruolo fondamentale ai fini della tassazione in Italia del reddito degli influencer che operano regolarmente in ambito internazionale. Tuttavia, la peculiarità delle attività digitali comporta anche l’ulteriore difficoltà legata all’individuazione del luogo di effettivo svolgimento della prestazione.

Dal punto di vista fiscale ciò è rilevante perché, se con riferimento ai contribuenti che risiedono in Italia i redditi sono imponibili, in forza del cosiddetto worldwide principle, ovunque essi vengono prodotti (si pensi al caso di un influencer residente in Italia che riceve un compenso per la sponsorizzazione di un prodotto in Francia), per i soggetti non residenti il reddito potrà essere tassato in Italia in base al criterio della cosiddetta territorialità di cui all’ art. 23 del T.U.I.R., qualora (in estrema sintesi) lo stesso derivi da attività svolte in Italia (salvo diverse previsioni stabilite dalle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con altri Paesi).

Se sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente chiarito che sono imponibili in Italia i redditi conseguiti da un influencer non residente per l’attività di shooting e per i compensi corrisposti per l’acquisizione dei relativi diritti di utilizzazione dell’immagine[3], nulla, ad oggi, è stato precisato in relazione ai redditi (ad esempio) derivanti da un contratto di sponsorizzazione tramite post sui social network tra un marchio italiano e un influencer non residente. Sul punto si rende quindi attualmente necessaria una disamina caso per caso.

Eventuali casi di doppia residenza/imposizione internazionali andranno valutati (e risolti) sulla scorta del Modello di convenzione OCSE. Al riguardo si osserva che l’art. 14 del Modello, che è stato espunto da diversi anni (e ricondotto nell’alveo degli artt. 5 e 7) ma risulta tuttora contenuto nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con altri Paesi, dispone che i redditi che un residente di uno Stato contraente (l’influencer residente in Italia) ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività analoghe di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato (Italia), a meno che il soggetto residente non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle proprie attività[4].

Note

  1. L’importanza del fenomeno trova riscontro non solo nel livello di remunerazione, che in alcuni casi può risultare particolarmente elevato, ma anche nelle strategie di marketing concretamente perseguite dalle aziende: il 72% delle imprese ritiene infatti di poter ottenere migliori risultati con l’influencer marketing rispetto ai metodi di sponsorizzazione tradizionali e il 62% intende investire in tale direzione maggiori somme rispetto al 2021 (sul punto cfr. Influencer Marketing Hub, The State of Influencer Marketing 2020: Benchmark Report del 2 marzo 2022, disponibile al seguente indirizzo web: https://influencermarketinghub.com/influencer-marketing-benchmarkreport-2021).
  2. Secondo quanto previsto dall’art. 53 del T.U.I.R. rientrano infatti tra i redditi di lavoro autonomo “[…] quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l’esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell’articolo 5.”.
  3. Sul punto si veda la Risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 700 dell’11 ottobre 2021.
  4. Sul punto cfr. anche FOTI, Influencer sotto la lente del Fisco grazie a big data e algoritmi, su We Wealth del 15 gennaio 2020.

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