I contenuti audiovisivi non sono solo un’industria, ma anche un elemento essenziale di una società che condivide valori comuni fondamentali definiti come identità culturale. Ciò che è mancato all’Europa in passato – e forse manca ancora oggi – è il senso di appartenenza a un’unica comunità e la fiducia in idee e valori comuni[1].
Incoraggiare questo senso di identità è un compito ambizioso e vitale, ma anche molto complesso e difficile da realizzare, poiché questo senso di appartenenza si basa su principi mutabili e in continua evoluzione, come il concetto stesso di cultura.
L’Europa si caratterizza infatti per la sua diversità culturale e linguistica e i contenuti audiovisivi, definiti anche come servizi di media audiovisivi – film e serie TV in particolare – possono svolgere un ruolo essenziale per raggiungere questo obiettivo. D’altro canto, in un’epoca di profondi cambiamenti nella società, guidati dalla rivoluzione digitale, tale obiettivo può essere messo ulteriormente in pericolo, poiché la globalizzazione e la trasformazione digitale possono anche portare alla standardizzazione culturale e alla mancanza di diversità.
In particolare, il settore audiovisivo in Europa si trova ora a un bivio: sviluppare una politica volta a preservare l’industria nazionale dall’ingresso di nuovi attori globali, riducendo al contempo la spinta all’innovazione; ovvero competere sulla scena internazionale, come qui auspicato, promuovendo gli investimenti europei e internazionali e valorizzando così le varie componenti creative europee e nazionali del settore.
Come cambia l’industria media col digitale: le tendenze principali
È indubbio che la trasformazione digitale stia cambiando radicalmente l’industria dei media. Dopo la musica, la carta stampata e la radio, anche la televisione sta vivendo lo stesso percorso accidentato e dirompente.
Questa tendenza ha subito un’accelerazione a causa dell’epidemia da COVID-19, che ha portato a un aumento del consumo di media in streaming: il tempo trascorso su TV e video in streaming è cresciuto costantemente dall’inizio del 2020, poiché gli sforzi per arginare la diffusione del virus hanno portato gli individui a godere pienamente dell’intrattenimento in casa. Data la loro crescente popolarità, le piattaforme di video-on-demand (VOD) hanno continuato a registrare un’impennata nell’utilizzo, coinvolgendo anche una parte della popolazione meno incline all’uso della tecnologia digitale.
Ad esempio, in Italia, secondo ITMedia Consulting, la TV online (streaming) raggiungerà oltre 11 milioni di famiglie nel 2022, quasi il doppio rispetto ai 5,9 milioni del 2019, rendendo la TV a banda larga una sempre più popolare modalità di accesso ai contenuti audiovisivi nel Paese[2].
I servizi VOD rappresentano quindi l’ultima rivoluzione nel settore audiovisivo. Hanno cambiato il modo in cui guardiamo i contenuti a casa e in viaggio. Hanno anche portato grandi cambiamenti nella produzione di opere audiovisive e, data la loro posizione sempre più significativa nel mercato dei servizi di media audiovisivi, svolgono un ruolo altrettanto crescente nel promuovere la produzione e la distribuzione audiovisiva nazionale ed europea. Di conseguenza, rappresentano un nuovo punto di riferimento nell’eterno dibattito sull’identità culturale europea.
L’integrazione culturale dell’Europa in mano alle piattaforme Usa
In un noto articolo apparso sull’Economist lo scorso anno, dal titolo indicativo “Come Netflix sta creando una cultura europea comune”[3], un osservatore sostiene che “l’ironia dell’integrazione europea è che spesso sono le aziende americane a facilitarla” e cita l’esempio di Netflix che “riversa gli stessi contenuti nelle case di tutto il continente, rendendo la cultura un’impresa transfrontaliera”. L’autore conclude che “se gli europei devono condividere una moneta, salvarsi a vicenda nei momenti di bisogno finanziario e condividere i vaccini in caso di pandemia, devono avere qualcosa in comune, anche se si tratta solo di guardare le stesse serie”.
Inoltre, i dati rilevanti di uno studio del 2021 condotto dalla società di ricerca Digital i sui Big Five europei (Regno Unito, Francia, Italia, Germania e Spagna) sostengono una tesi suggestiva e altrettanto controversa. Utilizzando la sua metodologia per tracciare le visualizzazioni complete degli account Netflix e Prime Video da un panel europeo armonizzato, i dati mostrano che le due piattaforme di streaming stanno iniziando a “democratizzare” i contenuti non in lingua inglese.
Di conseguenza, dal 2019, la percentuale di contenuti in lingua non inglese disponibili su Netflix è aumentata dal 25% al 31%. Nonostante la composizione del catalogo sia aumentata tra i 5 e i 6 punti percentuali, il comportamento degli spettatori è cambiato in modo più drastico. Gli spettatori di Netflix nel Regno Unito hanno trascorso il 22% del loro tempo di visione a guardare contenuti in lingua non inglese nell’ottobre 2021, rispetto al 10% del primo trimestre del 2019. I principali titoli non in lingua inglese in questo periodo sono stati Money Heist, Elite, Squid Game, Dark e Lupin.
Per quanto riguarda Prime Video, la percentuale del catalogo di contenuti in lingua non inglese è aumentata dal 19 al 25% dal 2019 al 2021. In termini di visualizzazioni, il tempo di visione dei contenuti in lingua inglese è sceso dal 93% di tutte le visualizzazioni di Prime Video all’84% nello stesso periodo. Digital i prevede che entro il 2030 i contenuti in lingua inglese scenderanno al 50% di tutte le visualizzazioni di video-on-demand su abbonamento (SVoD) in Europa.
Il ruolo della regolamentazione: l’approccio dell’Ue
In questo scenario in rapida evoluzione, è opportuno dunque iniziare a porsi alcune domande legate alla necessità o meno di una regolamentazione. E in particolare a quale scopo?
Tornando indietro nel tempo, quando la televisione era un’attività sviluppata su base nazionale e soggetta alla legislazione nazionale, la regolamentazione dell’UE è stata creata appositamente per imporre alle emittenti nazionali, compresi i servizi pubblici, una serie di regole per armonizzare il sistema e aumentare le produzioni europee. Negli anni ’80, inoltre, la sovrabbondanza di film e serie televisive americane sul piccolo schermo, che alimentava l’offerta dei nuovi canali televisivi privati, era considerata una grave minaccia per le industrie audiovisive nazionali.
La direttiva “Televisione senza frontiere”
A questo proposito, nel 1989, attraverso la direttiva “Televisione senza frontiere”, l’UE ha ritenuto necessario incrementare le produzioni negli Stati membri non solo stabilendo norme comuni che aprissero i mercati nazionali, ma anche imponendo quote per le produzioni europee. In particolare, più del 50% del tempo di trasmissione doveva essere dedicato a opere europee; il 10% del tempo di trasmissione o, in alternativa, il 10% del budget di programmazione doveva essere dedicato a produttori europei indipendenti.
La direttiva “Televisione senza frontiere” è stata radicalmente rivista nel 2007, successivamente modificata in direttiva sui servizi di media audiovisivi (SMA) nel 2010, rivista e aggiornata nel 2018 e infine incorporata nel diritto nazionale dalla maggior parte degli Stati membri dell’UE a partire dal 2019. Tuttavia, gli obblighi di quota che si applicano ai servizi televisivi non sono cambiati da quando sono stati introdotti per la prima volta nel 1989.
Per quanto riguarda i servizi VOD, la versione 2010 della direttiva AVMSD ha introdotto per la prima volta la distinzione tra servizi lineari (broadcasting) e non lineari (VOD), ma allo stesso tempo ha richiesto solo un livello minimo di regolamentazione per questi ultimi, dato che i servizi VOD, all’epoca, erano ancora agli albori.
Nel 2018 le cose sono cambiate radicalmente, come abbiamo visto, e di conseguenza il regime delle quote per i servizi lineari si è esteso ai servizi VOD, ai quali è stato richiesto non solo di dedicare almeno il 30% dei loro cataloghi a opere europee, ma anche di dare loro visibilità. Obblighi come gli investimenti nella produzione europea sono rimasti facoltativi, ma, se introdotti, potevano anche essere imposti a livello nazionale sulla base dei ricavi ottenuti in ogni Stato membro.
Da un punto di vista storico, è evidente la necessità di una regolamentazione, ma in pratica la regolamentazione è ben lungi dall’essere realizzata. Se da un lato l’industria audiovisiva nazionale ha mantenuto un certo livello di produzione, in termini di qualità e quantità, dall’altro è stata inefficace nel promuovere i contenuti europei e la diversità culturale. Il livello di co-produzione è leggermente aumentato, mentre la circolazione dei contenuti nazionali negli Stati membri ha continuato a essere molto limitata.
In sintesi, i contenuti europei hanno continuato a essere principalmente un affare nazionale, con rare eccezioni. Solo con l’arrivo degli attori globali questo scenario è finalmente cambiato, garantendo una maggiore circolazione delle opere nazionali negli Stati membri.
Opere europee e diversità culturale
Questo ci porta a un’ulteriore necessaria domanda: la promozione dei contenuti europei richiede ancora una regolamentazione?
La risposta, come per le domande precedenti, dipende ancora una volta dall’ambito di applicazione. Se vogliamo aumentare la quantità di opere europee e la loro circolazione nel mondo, senza dubbio i servizi on-demand sono oggi i maggiori produttori in Europa e quelli che rendono possibile la più ampia circolazione e consumo di opere europee. Netflix ha speso 4 miliardi di euro in film e serie europee tra il 2018 e il 2021, mentre Disney e Comcast hanno seguito lo stesso percorso.
In questo senso, gli streamer sono riusciti a far circolare le opere europee in tutta l’UE come non era mai stato fatto prima, senza bisogno di obblighi normativi o di incentivi, poiché la direttiva SMA non era ancora in vigore. Allo stesso tempo, poiché il loro ruolo sarà sempre più fondamentale per lo sviluppo delle produzioni audiovisive europee nei prossimi anni, è essenziale continuare ad attrarre gli investimenti di questi operatori.
Una regolamentazione prescrittiva e rigida, lasciata alla discrezione dei singoli Stati membri, che imponga in pochi casi forti investimenti fissi nella produzione per i servizi VOD, è lo scenario peggiore per un operatore globale che deve decidere in quale Paese investire maggiormente. Ciò comporta anche il rischio di spostare l’attenzione dalla produzione di contenuti di alta qualità che i consumatori desiderano, e potrebbe in ultima analisi portare a una minore diversità, a una minore innovazione e a una minore disponibilità di contenuti di qualità. La normativa in questo caso finirebbe per gettare sabbia nel motore.
Infine, oltre ad alterare le dinamiche del mercato, sebbene la maggior parte degli streamer spenda già abbastanza per soddisfare gli obblighi di investimento con relativa facilità ovunque, a un certo punto nel futuro, quando il mercato non crescerà più alla stessa spettacolare velocità del passato, questi operatori globali potrebbero trovarsi nella posizione di dover ripiegare su un modello di produzione più sostenibile. Alcuni segnali in questo senso si sono peraltro già manifestati negli ultimi tempi.
A partire infatti dalla fine del 2021 Netflix ha smesso di crescere e nei primi 6 mesi del 2022 ha registrato una costante riduzione nel numero degli abbonati, mentre nel Regno Unito, anche a seguito della crisi economica, sono diminuiti coloro che si abbonavano a più di un servizio SVOD, cosa che rappresentava la normalità rispetto a questo modello di business. La stessa ITMedia Consulting stima alla fine del 2022 in Europa una forte riduzione della crescita annuale, tipica di un mercato ormai maturo che supera i 14 mld di euro, scendendo al 7 per cento nel 2022 rispetto al 25% nel 2021[4].
Un concetto dinamico di identità culturale europea
Una soluzione (e una risposta) più strutturale e meno legata alla congiuntura economica potrebbe essere trovata se ci spostassimo da una mera prospettiva di mercato a una prospettiva culturale legata a un tema come l’identità culturale europea.
L’epoca in cui viviamo è ormai chiaramente legata a profondi cambiamenti culturali e sociali. Il concetto stesso di identità non è più legato al passato e la rivoluzione culturale portata dalle nuove generazioni ha significato una maggiore attenzione alla diversità e all’inclusione. Non possiamo aspettarci che questo cambiamento sia giusto per tutti o che venga accettato da tutti nel breve periodo. Tuttavia, è un dato di fatto che il mondo è cambiato, la società e i suoi valori sono cambiati e di conseguenza anche l’industria dell’arte e i suoi protagonisti. Questo fenomeno ha portato a polemiche e scontri, nonché a una notevole chiusura e ostilità da parte di chi è cresciuto guardando film o serie televisive in cui i protagonisti erano essenzialmente maschi bianchi ed etero. Le donne, così come gli appartenenti a qualsiasi minoranza, erano spesso invisibili o relegate in ruoli molto limitati.
In questo contesto, il cinema e la fiction televisiva svolgono dunque un ruolo fondamentale, specifico della cultura popolare: plasmare la percezione sociale dell’Europa e dell’identità europea e incoraggiare lo sviluppo di formati narrativi coinvolgenti fatti per esaltare i valori della diversità, della mobilità e dello scambio transculturale nella costituzione di un’identità europea.
In questo caso, si può affermare che serie internazionali di successo come La casa di carta, Lupin e Call My Agent! non avrebbero avuto la stessa portata transfrontaliera senza la piattaforma globale fornita da Netflix.
Allo stesso tempo, però, la politica dei contenuti transfrontalieri di Netflix non ha necessariamente origine nell’UE. Un esempio spettacolare è la serie sudcoreana Squid Game, che è diventata la serie di maggior successo nella storia di Netflix. Ne consegue che se i forti investimenti di Netflix nella produzione locale non dipendono da un territorio specifico, come possiamo aspettarci che Netflix si preoccupi davvero della diversità culturale europea?
Se vogliamo che non siano solo le dinamiche di mercato ad occuparsi di questo obiettivo, è chiaro che la direttiva AVMSD non è lo strumento giusto. La direttiva AVMSD si basa su un quadro settoriale specifico derivante dall’era della televisione analogica, che cerca di adattarsi a un ambiente completamente cambiato. Non tiene in debita considerazione le innovazioni dirompenti che hanno rimodellato l’industria dei media e delle comunicazioni nell’era digitale e, in pratica, è solo un improbabile tentativo di estendere, riadattare e adeguare le regole del passato al nuovo ecosistema. Pertanto, nel contesto della trasformazione digitale, una regolamentazione “adattativa” non può essere il modo giusto per promuovere l’industria europea nell’innovativo mercato globale dei contenuti o per promuovere i valori e l’identità culturale dell’Europa.
In questo nuovo quadro, un approccio più orizzontale che tenda ad armonizzare i diversi settori in un mercato unico (digitale) sembra una politica più coerente e auspicabile. La Commissione europea si è mossa in questa direzione quando ha proposto due iniziative legislative per aggiornare le norme che regolano i servizi digitali nell’UE: il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA). Queste iniziative[5] formano un unicum di nuove regole applicabili in tutta l’UE per creare uno spazio digitale più sicuro e aperto, in cui i diritti fondamentali degli utenti siano protetti e per stabilire condizioni di parità per le imprese.
L’estensione di queste proposte legislative, a partire dal DSA, al mondo dei servizi di media audiovisivi, attraverso questi strumenti di policy orizzontali più avanzati ed efficaci, sembrerebbe quindi una conclusione scontata. In realtà, però, i servizi di media audiovisivi sono a malapena interessati ai DSA, solo nelle parti di coordinamento con l’AVMSD, che formalmente rimane l’unico responsabile dello sviluppo delle politiche europee dei media audiovisivi, compresa l’identità culturale.
- Questo contributo trae spunto da un report su questo tema realizzato dall’autore per l’European Liberal Forum dal titolo, “Decoding EU digital strategic autonomy – Sectors, isses and partners,” co-finanziato dal Parlamento Europeo. ↑
- ITMedia Consulting, Il mercato TV in Italia: 2022-2024, report multiclient – novembre 2022 ↑
- The Economist, How Netflix is creating a common European culture: Streaming subtitled box sets is the new Eurovision, 31 March 2021. ↑
- ITMedia Consulting, Vod in Europe 2022-2025, report multiclient – giugno 2022 ↑
- A cui si è aggiunto di recente il Media Freedom Act, che però si concentra principalmente sui temi dell’informazione e della disinformazione ↑