tecnologia e potere

Microchip, è corsa globale per la supremazia: ecco i tasselli chiave



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Nel settore dei microchip, tecnologia e geopolitica saranno sempre più intrecciate. La comunicazione e il compromesso internazionale saranno fondamentali per evitare l’isolamento economico dei paesi ed evitare il fallimento di settori emergenti quali IA, informatica quantistica, rinnovabili. Il punto

Pubblicato il 5 set 2023

Paola Pisano

Professore di Economia e Gestione dell’innovazione, già Ministro della Digitalizzazione e Innovazione



chip stm

La transizione da un ‘economia globalizzata ed efficiente ad una economia multipolare è in atto. Molti settori in cui significative quote di mercato globale si erano concentrate nelle mani di pochi paesi, sono entrati in crisi durante la pandemia di Covid-19.

Oggi sovvenzioni, controlli sulle esportazioni e sugli investimenti e nuovi quadri normativi in diversi paesi provano a sostenere il ritorno in patria delle catene di approvvigionamento di alcuni settori. Tra questi il complicato settore dei microchip.

Proviamo allora a raccogliere le ultime informazioni del settore e tracciare un possibile trend futuro.

Microchip, tra America e Cina

Se da un lato il segretario al Commercio degli Stati Uniti, Gina Raimondo, è impegnata nella ricerca di nuovi meccanismi per risolvere le divergenze commerciali tra Cina e America, dall’altro l’amministrazione Biden sta valutando di intensificare le limitazioni alla vendita di microchip imposte alla Cina lo scorso ottobre. Le regole del blocco ad oggi in atto richiedono non solo alle aziende statunitensi di ottenere una licenza dal Dipartimento del Commercio per esportare chip avanzati, macchinari e software per la produzione dei chip, ma anche ad aziende che producono microchip fabbricati con tecnologia statunitensi.

Usa, questione di sicurezza nazionale

Restrizioni necessarie, a detta dell’America, per motivi di sicurezza nazionale. Impedire alla Cina di migliorare le forze armate, sviluppare nuovi armamenti e potenziare la sua rete di sorveglianza. Un forte segnale questo di cambiamento nel paradigma economico. Non più l’efficienza economica in primo piano ma la sicurezza.

Per realizzare il blocco tecnologico, gli Stati Uniti non possono agire da soli. Hanno bisogno di coordinarsi strettamente con i governi che controllano i processi chiave della produzione di chip che la Cina, ad oggi, non può sostituire con alternative nazionali. Tra questi i Paesi Bassi, il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan, che però, hanno forti interessi economici a mantenere relazioni commerciali con la Cina.

ASLM -azienda olandese che rifornisce il 90% del mercato globale con macchine a litografia EUV per la creazione di semiconduttori avanzati, dal 1° settembre ha deciso di assecondare i piani strategici statunitensi. Anche Taiwan subisce la pressione americana e molte aziende taiwanesi produttrici di chip, come Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (TSMC), che vendono a società cinesi si trovano nella difficile situazione di dover fare delle scelte. Nell’ottobre 2022, gli Stati Uniti hanno concesso a TSMC un’esenzione di un anno dalle restrizioni all’esportazione, ma già quest’anno la benevolenza statunitense potrebbe non essere rinnovata. Per limitare l’incertezza geopolitica alla quale è sottoposta, TSMC ha deciso di investire 40 miliardi di dollari in due stabilimenti di produzione negli Stati Uniti e in uno in Giappone. Gli azionisti dell’azienda, preoccupati per la troppa apertura mostrata da TSMC sono stati rassicurati dall’azienda stessa a parole e con i fatti.

Mentre il vertice di TSMC ha dichiarato che la maggior parte della capacità produttiva e tecnologica rimarrà a Taiwan e solo il 10% della produzione di TSMC verrà effettuato all’estero -dove ci saranno sovvenzioni per renderli redditizi- il Tongluo Science Park di Miaoli, una contea a sud della sede centrale di TSMC, ha approvato la richiesta dell’azienda di affittare il terreno per la fabbrica, che darà lavoro a 1.500 persone. Obiettivo raddoppiare la capacità di packaging avanzato. Anche in queste alleanze tra paesi si può individuare una nuova tendenza che lascia alle spalle la globalizzazione in favore di un mondo più polarizzato.

La risposta della Cina

Visto il blocco sulle macchine per la produzione di microchip di ultima generazione, la Cina ha iniziato ad investire nella creazione di fabbriche che producano almeno microchip di generazione precedente ma comunque utili per settori come la mobilità elettrica, la transizione al green e le applicazioni industriali e nell’importare ciò che rimane libero da restrizioni. Nel mese di giugno e luglio, come riportato dal Financial Times, la Cina ha aumentato le importazioni di macchine per la produzione di microchip meno avanzati del 70% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sfiorando i 5 miliardi di dollari. Giappone e Olanda rappresentano i due principali fornitori.

Il paese è consapevole della sua dipendenza dall’Occidente e sta provando a recuperare il ritardo sostenendo le aziende nazionali con un investimento pari a 143 miliardi di dollari per 5 anni annunciato a fine 2022. L’investimento, erogato in forma di sussidi e crediti d’imposta, si unisce ai 15 fondi locali già istituiti per i semiconduttori. L’obiettivo è di servire almeno il 70% del proprio mercato entro il 2025. L’offerta di generosi sussidi è un metodo collaudato che nell’ultimo decennio ha contribuito a stimolare l’industria cinese dei semiconduttori. Tuttavia, rimane il problema di come allocare tali finanziamenti in modo efficiente, ossia come individuare le aziende migliori, soprattutto dopo che l’efficienza del fondo governativo di investimento nei chip, fiore all’occhiello della Cina, è stata messa in discussione nel 2022 e scosso da indagini sulla corruzione. Alcuni nomi di grandi aziende che potrebbero avere accesso a questo capitale sono già stati fatti nei mesi passati. Tra questi NAURA Technology Group, Advanced Micro-Fabrication,Equipment Inc China, e Kingsemi.

Il malcontento delle aziende

Mentre la Repubblica Popolare cinese sa di non poter ancora far a meno dell’occidente, le aziende americane hanno sensazioni analoghe nei confronti della Cina. Per la maggior parte di questo secolo, la Cina ha speso più nell’importazione di microchip che in quella del petrolio, creando un mercato enorme e redditizio per le aziende straniere. Le sovvenzioni messe in atto dall’America con il Chip and Science Act -52 miliardi di dollari per la produzione e la ricerca sui semiconduttori di cui 39 miliardi utilizzati per sovvenzionare la costruzione di fabbriche a livello nazionale e aiutare fabbriche già operative sul territorio, fino al 2026- potrebbero non essere sufficienti a coprire le perdite delle mancate vendite in Cina. Numerose aziende produttrici di chip stanno pianificando grandi progetti di produzione negli Stati Uniti dopo l’approvazione del Chips Act. Tra queste Intel, Micron, Samsung e TSMC che insieme stanno investendo decine di miliardi di dollari in nuovi impianti.

Due controindicazioni della strategia Usa

Oltre al malcontento delle aziende, acuito in questi giorni dall’idea di ulteriori restrizioni anche a microchip non di ultima generazione, riportare le catene di produzione in patria e aumentare la produttività di microchip negli Stati Uniti, bloccando l’accesso al mercato cinese, potrebbe avere almeno due controindicazioni nel breve termine.

La prima controindicazione riguarda la componente di costi, che renderebbero i microchip americani meno appetibili dal punto di vista commerciale per aziende come Apple, Qualcomm e Invidia. Non bisogna dimenticare però, che una sovvenzione di tale portata, unita ad investimenti privati di quasi 140 mld annunciati dalle aziende dopo l’approvazione del Chips Act, potrebbe aiutare non solo le aziende produttrici di microchip ad aprire in America una nuova sede, ma anche a rendere i prezzi dei chip più competitivi.

La seconda controindicazione è la risposta della Cina.

È aprile 2023 quando la Cyber Administration of China, annuncia prima un’indagine di sicurezza sull’azienda Micron Technology, azienda americana che genera l’11% delle proprie entrate vendendo microchip di memoria in Cina, e poi il blocco all’uso di prodotti di Micron Technology nelle sue infrastrutture critiche. Inoltre, il 3 luglio scorso la Cina ha annunciato nuovi regolamenti per limitare le esportazioni dal primo agosto di gallio e germanio e di metalli composti correlati come risposta al blocco delle vendite di macchine litografiche per la produzione di chip di ultima generazione da parte di ASML. Il Paese controlla l’80% della capacità di raffinazione mondiale dei materiali di terre rare, che sono essenziali per la produzione di prodotti militari ma anche di componenti per dispositivi di consumo quotidiano, come batterie e schermi. Limitare le esportazioni potrebbe dare alla Cina una certa influenza, ma anche aumentare il rischio di essere tagliata completamente fuori dalla catena di fornitura globale.

Queste due controindicazioni di breve sono però smorzate dagli effetti favorevoli di lungo periodo portati dagli investimenti. Questi programmi rappresentano un motore per la domanda e l’occupazione, intensificano la concorrenza che porterà ad un miglioramento della produzione di microchip dal punto di vista tecnologico. Non c’è quindi da stupirsi se molti paesi stiano mettendo in atto strategie per la crescita interna del settore dei microchip introducendo politiche per mantenere e migliorare le proprie posizioni nel settore.

A novembre 2023 Taiwan ha approvato una legge sui sussidi che concede alle aziende di chip grandi agevolazioni fiscali. In India, è in corso un programma da 10 miliardi di dollari (872,28 miliardi di rupie) per attrarre aziende straniere, tra cui Intel. In Corea del Sud, l’Assemblea Nazionale ha approvato norme e incentivi fiscali per sostenere l’industria nazionale dei semiconduttori per circa 450 miliardi di dollari fino al 2030 . Infine il Giappone ha recentemente annunciato lo stanziamento di 8 miliardi di USD di finanziamenti pubblici per gli investimenti nazionali nei semiconduttori, che saranno integrati da ulteriori finanziamenti.

Microchip, la situazione in Europa

Anche l’Unione Europea sta lavorando per diventare un attore di rilievo. L’EU Chips Act tiene fede all’impegno politico della presidente Von der Leyen che nel 2021 aveva annunciato di voler creare un ecosistema europeo dei chip.

Gli obiettivi del Chips Act Ue

Cinque essenzialmente gli obiettivi del Chips Act: rafforzare la sua leadership nel campo della ricerca e della tecnologia; costruire e rafforzare la propria capacità di innovazione nella progettazione, nella fabbricazione e nell’imballaggio di chip avanzati e nella loro trasformazione in prodotti commerciali; aumentare considerevolmente la capacità produttiva entro il 2030, sfiorando il 20% della produzione mondiale di Chip; far fronte alla grave carenza di competenze, attraendo nuovi talenti e sostenendo il profilarsi di una forza lavoro qualificata; acquisire infine una conoscenza approfondita delle catene di approvvigionamento mondiali dei semiconduttori.

Lo scopo della proposta di normativa sui chip è aumentare la resilienza dell’ecosistema europeo dei semiconduttori, la relativa quota di mercato mondiale nonché agevolare la rapida acquisizione di nuovi chip da parte dell’industria europea aumentando la competitività dell’Europa. Non si tratta di diventare autosufficienti, un obiettivo che sarebbe irraggiungibile, ma di rinvigorire i punti di forza dell’Unione e collaborare con i paesi terzi istituendo catena di approvvigionamento in cui le interdipendenze possano rimanere solide.

Gli investimenti

Il livello complessivo degli investimenti strategici a sostegno della normativa dell’UE sui chip è stimato a oltre 43 miliardi di euro fino al 2030. L’Europa spera di mobilitare investimenti privati a lungo termine e di pari volume nonché investimenti degli Stati membri. La combinazione di queste diverse azioni dovrebbe tradursi direttamente in investimenti pubblici e privati ben superiori ai 15 miliardi di euro. Tutto questo andrà a sommarsi ai prestiti che la BEI potrebbe concedere all’intero ecosistema dei semiconduttori.

La strategia tedesca

Gli stati dell’unione europea lavorano per sostenere gli obiettivi dell’Europa.

La Germania sta preparando un pacchetto di sovvenzioni di oltre 43 mld per la costruzione di un impianto di TSMC a Dresda e per sostenere l’annuncio fatto da Intel di voler spendere un totale di 30 mld di euro per due nuovi impianti nella città di Magdeburgo. Questi ultimi diventeranno attivi entro cinque anni e potrebbero avere una ricaduta di circa 3000 posti di lavoro nel settore dell’IT. Intel, presente già in Irlanda, sta costruendo anche un impianto di testing e assemblaggio in Polonia che sarà funzionante entro il 2027. Infine grazie a 400 ml di finanziamenti degli IPCEI (important project for European Common Interest) la Globalfounderies e STmicroelettronics si uniranno per costruire una fabbrica in Francia.

Chip, come si sta muovendo l’Italia

In Italia il Decreto Omnibus del 10 agosto scorso, all’articolo 5 dà avvio ad un nuovo bonus R&S per le imprese che investono in ricerca e sviluppo certificata alla produzione di chip. I requisiti per l’accesso al nuovo Bonus Chip, le modalità di richiesta e soprattutto il dettaglio degli importi, sono demandati ad un successivo provvedimento del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT). Si dovrebbe trattare di un credito di imposta in compensazione dall’anno successivo alle spese che le aziende sosterranno da agosto 2023 fino a dicembre 2027, certificate da un revisore legale. Ogni singolo beneficiario potrà ottenere il 100% dei costi ammissibili per la ricerca fondamentale e il 50% dei costi destinati alla ricerca industriale. Saranno inclusi anche costi relativi all’assunzione di personale e acquisto di attrezzature. Mentre saranno esclusi gli immobili.

Al credito d’imposta potranno accedere tutte le aziende residenti sul territorio nazionale siano esse piccole medie imprese italiane o multinazionali che decidono di venire ad operare nel nostro territorio. In questo modo, il governo Meloni potrebbe raggiungere un duplice obiettivo: sostegno delle aziende impegnate nella catena del valore dei microchip e attrazione di nuove aziende all’interno del nostro paese.

Gli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo, pari a 10 milioni di euro nel 2024 e 130 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2028, non sono nuovi stanziamenti ma poggiano sul Fondo per la microelettronica istituito dal governo Draghi nel marzo 2022.

Sempre nel decreto omnibus troviamo anche la costituzione di un “Comitato tecnico permanente per la microelettronica” incaricato di monitorare le politiche pubbliche nel campo dell’elettronica e della catena del valore dei semiconduttori e di prevenire e segnalare eventuali crisi nell’approvvigionamento. Il comitato dovrà anche sottoporre ogni 3 anni un Piano nazionale triennale in cui indicare obiettivi, azioni e fondi per l’avanzamento del settore. Composto da rappresentanti dei Ministeri dell’Economia, delle Imprese e dell’Università, il Comitato si avvarrà dal punto di vista tecnico del Centro italiano per il design dei circuiti integrati e semiconduttori che nascerà come fondazione senza oneri aggiuntivi per lo stato.

Gli scenari all’orizzonte

Nel settore dei microchip, tecnologia e geopolitica saranno sempre più intrecciate. La comunicazione e il compromesso internazionale saranno fondamentali per evitare l’isolamento economico dei paesi evitando il fallimento di settori emergenti come l’intelligenza artificiale, l’informatica quantistica, le energie rinnovabili e i microchip di fascia alta. Questi ultimi sono il prodotto di un processo produttivo altamente concentrato in cui un numero esiguo di aziende costituisce un punto di strozzatura globale invalicabile. Se non si può lavorare con ASML, non si può produrre un chip di fascia alta; se la produzione non viene fatta da TSMC, Samsung o Intel, non ha senso progettare un microchip di fascia alta[1]. Il controllo sulla produzione di chip avanzati nel XXI secolo potrebbe rivelarsi l’equivalente del controllo dell’approvvigionamento di petrolio nel XX. Il paese che riuscirà in questa impresa, ammesso che ce ne sia uno, potrebbe controllare il potere militare ed economico degli altri.

Stati Uniti e Cina lo sanno bene: mentre negli ultimi decenni i primi hanno trasferito la maggior parte della produzione in Asia, oggi entrambi cercano di disgiungere rapidamente i propri ecosistemi di semiconduttori rimanendo in linea con un approccio di “derisking”. Lo scenario del bipolarismo e di una divisione netta tra due mondi – da un lato gli Stati Uniti e i loro alleati; dall’altro la Cina e i vari Paesi del Sud-Est asiatico, del Medio Oriente e Africa- sarà da evitare a favore di un multipolarismo equilibrato e resiliente, che stimoli la crescita globale migliorando offerta e domanda di tecnologia.

E l’Europa? L’Europa è nuova alle politiche industriali: l’intero sistema è storicamente in grado di sostenere ricerca e sviluppo, ma ha difficoltà nel sostenere l’industria, perché nel settore di fascia alta mancano grandi utenti che trainano il mercato tecnologico. Questo obiettivo va raggiunto insieme alla creazione dell’offerta che si sta provando a incentivare: in caso contrario, l’installazione di un grande stabilimento di microchip in Europa rischierebbe di portare con sé alcune controindicazioni legate alla scarsa presenza di un mercato interno forte.

Nei momenti in cui la tecnologia potrebbe portare forti cambiamenti economici e sociali i leader assumono un peso ancora più rilevante. Non solo i leader politici. Ma anche leader di aziende e leader nella formazione. Se da un lato sono necessarie policy per preservare la società e l’economia da ricadute negative della tecnologia, dall’altro sono necessarie soluzioni che aiutino le economie locali ad abbracciare lo sviluppo e l’uso di nuove tecnologie nei verticali in cui sono più esperte. Partnership tra pubblico e privato possono accelerare lo sviluppo tecnologico mentre un approccio alla formazione continua dei cittadini sosterrà il loro inserimento in nuove opportunità lavorative.

Conclusioni

L’Europa sembra aver chiara questa strategia non puntando all’indipendenza ma alla resilienza nei settori dove ha maggiore capacità economica. Per quanto riguarda l’evoluzione tecnologica, il settore dei semiconduttori è stato tradizionalmente incentrato sulla vendita di dispositivi sempre più densi, più veloci e meno energivori. La legge di Moore e altri progressi tecnologici hanno spinto la spesa in ricerca e sviluppo, migliorando le prestazioni dell’hardware e di conseguenza le prestazioni dei software. Questa complessità potrebbe portare a dei rallentamenti per un aumento fisiologico dei tempi di progettazione e di team più numerosi indirizzando così come avviene nello sviluppo di prodotti complessi, l’attività verso la vendita non solo di dispositivi ma anche di soluzioni.

È già possibile intercettare questo trend secondo il quale le aziende si coordinano con una gamma più ampia di partner dell’ecosistema, tenendo presente il caso d’uso del cliente finale. Per esempio, molti fornitori di chip IA hanno stretto partnership con produttori di automobili e sono diventati indispensabili per il proprio ecosistema, come l’azienda AMD multinazionale americana con sede in California. Questo trend potrebbe giocare a favore dell’Europa dove sono presenti settori industriali che rappresentano una solida base di utilizzatori per stimolare la domanda futura, compresa, ma non solo, quella di chip più avanzati. Questo potrebbe portare ad una collaborazione sempre più stretta tra aziende di microchip e utilizzatori finali nella progettazione di chip. Il governo Meloni potrebbe iniziare a far lavorare il Comitato Tecnico istituito nel decreto Omnibus su questa prospettiva?

Note


[1] C. Miller., Chip War. The Fight for the World’s Most Critical Technology, New York, Simon & Schuster, 2022, p. 104, pp. 1-464.

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