tecnologia e geopolitica

Microchip, la miopia delle guerre commerciali Usa-Cina

Le continue guerre commerciali, gli embarghi nell’export e nell’import di tecnologie cinesi, continuano a contribuire alla realizzazione di ecosistemi distinti riducendo l’interoperabilità e i principi di design delle tecnologie. Le conseguenze al momento sono imprevedibili, ma sono sicuro a scapito dell’innovazione

Pubblicato il 16 Nov 2022

Antonio Cisternino

Università di Pisa

chip shortage

Le notizie su embarghi tecnologici tra USA e Cina si susseguono ormai quasi quotidianamente, e si concentrano sulle azioni che gradualmente l’amministrazione Biden mette in atto al fine di mantenere la supremazia tecnologica occidentale, specialmente per quanto riguarda la realizzazione di microchip.

Abbiamo già approfondito le mosse di America ed Europa per aumentare la produzione di questi elementi essenziali nelle strategie ICT e cercare di superare nel medio periodo la ridotta disponibilità di questi piccoli diamanti del futuro. Allo stesso tempo importanti tecnologie, come ad esempio le GPU di ultima generazione necessarie allo sviluppo di tecnologie basate sull’Intelligenza Artificiale, vengono negate alla superpotenza cinese per mantenere la supremazia al prezzo di ridurre la naturale competizione di ricerca e sviluppo che spesso ha contribuito allo sviluppo esponenziale di queste tecnologie.

Microchip: la miopia delle attuali politiche di Usa e Cina

Si tratta di politiche miopi nel contesto della realizzazione dei microchip: questi piccoli gioielli microscopici richiedono molta conoscenza non solo nel loro design, ma anche nel processo che porta alla loro produzione a scale nanometriche. Sono poi necessari materiali, come ad esempio le terre rare, che, contrariamente al silicio, non sono disponibili in abbondanza sul nostro pianeta e sono limitate a particolari zone (tra cui anche alcune zone dell’Ucraina). In effetti la realizzazione dei chip è un esempio di sforzo collettivo globale che sembra difficilmente sostenibile su scala nazionale o di blocchi geopolitici, e sicuramente non senza una diminuzione nel loro sviluppo.

Non è la prima volta che alla Cina vengono negate tecnologie: in guerre commerciali precedenti i sistemi operativi delle big tech americane sono stati sottoposti a embargo provocando la necessaria reazione cinese a sostegno delle proprie realtà tecnologiche. Non a caso nel 2015 la Cina ha inaugurato il programma “Made in China 2025” al fine di sviluppare i propri settori industriali per competere in automazione, microchip e autoveicoli a guida autonoma. Compagnie come Huawei hanno cominciato ad investire in sistemi operativi propri, e a sviluppare servizi come assistenti vocali e altri servizi cloud orientati al supporto del proprio mercato interno.

Tech-war tra Usa e Cina: perché è cambiato tutto in pochi mesi

Ke jiao xing guo

Per la prima volta il congresso del Partito Comunista ha aggiunto la categoria “ke jiao xing guo” in cima alle proprie priorità: letteralmente un grande potere sostenuto da tecnologia, scienza e istruzione. Lo sviluppo autoctono di tecnologia e scienza è quindi divenuto centrale nelle strategie cinesi e nell’allocazione dei budget governativi.

Il giorno successivo all’annuncio del Presidente Biden degli ultimi embarghi il tecnopolo di Shenzen ha avviato programmi molto aggressivi per lo sviluppo delle tecnologie basati su semiconduttori a sostegno dei settori ritenuti chiave dal governo. La fetta di investimenti è sicuramente importante dato che la Cina ha importato circa 400 miliardi di dollari di microchip nel 2021 e che ora punta a coprire il 70% del proprio fabbisogno mediante il mercato interno entro il 2025.

Investimenti in altri settori chiave, come ad esempio il Quantum Computing, nel triennio 2009-2011 hanno superato significativamente quelli americani: nel quantum in quegli anni la Cina ha investito 11 miliardi di dollari contro i 3 miliardi investiti negli stati uniti. Il governo ha poi introdotto strumenti finanziari per sostenere lo sviluppo attraverso la banca centrale che ha offerto prestiti fino a 30 miliardi di dollari a interessi molto bassi per favorire le ricerche nel settore privato nazionale.

Il gap culturale che la Cina deve colmare

La ricerca, e in Italia lo sappiamo bene, non è necessariamente legata agli investimenti governativi: gli investimenti possono aiutare ad accelerare lo sviluppo di processi già in essere, ma è necessario disporre anche del capitale umano che possa sviluppare le idee necessarie all’innovazione. E in questo contesto il sistema cinese mostra ancora di faticare nel supportare la creatività individuale, e infatti l’associazione Cinese delle industrie dei semiconduttori stima la mancanza di oltre 300.000 esperti nel settore entro il 2025.

D’altronde molto dello status odierno della Cina è dovuto alla capacità di prendere spunto dall’occidente per sostenere la modernizzazione, e adesso il governo sta passando dal prendere spunto dalla singola tecnologia all’ispirarsi all’intero processo di finanziamento nella speranza di ricreare nuclei come possono essere le aree hi-tech americane.

D’altronde l’approccio culturale ha sicuramente differenziato Europa e America nello sviluppo dei sistemi sin dal dopoguerra, testimoniando come l’approccio meno “riflessivo” e più “operativo” tipicamente americano si è dimostrato efficace in questo settore complesso dove sembra impossibile produrre artefatti robusti e innovativi e il rilascio di prodotti, spesso ancora incompleti e non adeguatamente testati non ha arrestato l’adozione sul mercato.

Conclusioni

Le continue guerre commerciali, gli embarghi occidentali sia nell’export che nell’import di tecnologie cinesi, continuano a contribuire alla realizzazione di ecosistemi distinti riducendo l’interoperabilità e i principi di design delle tecnologie. Non è impossibile pensare un futuro di sistemi che a stento dialogano a causa di queste barriere artificiali che le mutate relazioni geopolitiche stanno introducendo. La ridotta competizione sul mercato italiano dovuta alla restrizione dell’accesso ai prodotti cinesi in alcuni settori IT sta già contribuendo a un incremento dei prezzi.

Solo il tempo ci consentirà di apprezzare le conseguenze di queste scelte, ma sono sicuramente a scapito dell’innovazione e della realizzazione di una comunità globale per le tecnologie digitali. Ma una cosa è certa: il principio di azione e reazione si applica anche in geopolitica, e le restrizioni americane portano a una reazione organica da parte del governo cinese che non può semplicemente subirne le conseguenze.

È lecito chiedersi se l’occidente sia pronto a entrare in competizione per preservare il proprio vantaggio. La storia ha insegnato che le persone creative nascono a prescindere dai confini, e gli impulsi economici potrebbero contribuire a un sorpasso, almeno in qualche settore strategico. Sicuramente la natura del conflitto è attraversata da una presunzione di superiorità occidentale in questo settore.

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