È forse giunta, dopo quasi due anni, la parola fine all’epopea che ha visto coinvolto tutto il mondo videoludico a seguito dell’annuncio dell’acquisizione di Activision Blizzard King da parte di Microsoft nel gennaio del 2022.
La scorsa settimana, infatti, Jacqueline Scott Corley, giudice della corte federale di San Francisco ha rigettato la richiesta di blocco dell’acquisizione formulata dall’FTC al fine di stoppare il gigantesco deal (da 70 miliardi di dollari) in attesa della decisione – quasi certamente negativa – che avrebbe emesso, o meglio, che dovrebbe ancora emettere l’ente regolatore nel prossimo mese di agosto.
I problemi
La prima richiesta di blocco è stata negata così come lo è stata la seconda, avanzata sempre dalla FTC – che nel frattempo ha annunciato di aver fatto ricorso contro la decisione del tribunale di San Francisco – con la quale la commission chiedeva un ulteriore stop all’acquisizione in attesa dell’esito dell’appello. Niente da fare anche questa volta, l’affare va avanti, ma c’è un problema: il tempo. Nonostante il problema FTC sembra essere, almeno per il momento, scongiurato, la deadline per la conclusione dell’acquisizione era infatti stata stabilita dalle parti per il 18 luglio 2023, andare oltre tale data significherebbe o far saltare l’affare oppure rinegoziarne i termini con, verosimilmente, il pagamento di una penale (si parla di circa 4 miliardi di dollari) nei confronti di Activision.
A ciò si aggiunge anche un’altra problematica, ossia che la CMA (la Competition Market Authority, l’ente antitrust del Regno Unito), la quale ha bocciato l’acquisizione lo scorso aprile riscontrando possibili criticità nel settore del cloud gaming, ad oggi non ha né cambiato opinione né trovato un accordo con Microsoft per il via libera, con la stessa Microsoft che aveva presentato ricorso al CAT (Competition Appeal Tribunal), tutt’ora pendente, contro la sentenza negativa della CMA.
La casa di Redmond, dunque, allo stato attuale delle cose, se decidesse di chiudere l’affare per non incorrere in penali dovrebbe trovare una soluzione per la distribuzione dei prodotti Activision nel Regno Unito. Soluzione che potrebbe essere quella di rilasciare i prodotti avvalendosi di un distributore terzo oppure – scenario estremo e decisamente meno probabile – quello di abbandonare temporaneamente il mercato UK.
I due colpi di scena
C’è però un “ma”, anzi, ce ne sono due.
L’accordo con Sony per la distribuzione di Call of Duty
Il primo è che nei giorni scorsi, Phil Spencer, CEO di Microsoft Gaming, ha annunciato che il colosso americano e Sony hanno trovato un accordo per la distribuzione di Call of Duty, titolo di punta di Activision e vero oggetto del contendere dell’acquisizione, dalla durata di 10 anni. A tal proposito è bene ricordare come Sony sia stata la più grande oppositrice alla buona riuscita del deal per la paura che Microsoft, una volta conclusa l’acquisizione, avrebbe reso Call of Duty esclusiva, togliendolo da PlayStation. Il titolo FPS prodotto da Activision non solo è uno dei giochi e dei franchise più giocati e di maggior successo al mondo (si contende il primo gradino del podio con l’ormai ex “FIFA”, ora “FC”), ma, come la stessa Sony ha riportato durante il processo presso il tribunale di San Francisco, esso risulta essere il titolo più giocato in assoluto su PlayStation, motivo per cui anche solo il rischio di vederselo togliere rappresenterebbe un danno ingente per la casa nipponica. Scenario che, con l’accordo decennale siglato ieri, sembra essere scongiurato.
Il dietrofront dell’Antitrust UK
Il secondo “colpo di scena” proviene invece da oltremanica. La CMA ha chiesto al CAT di sospendere il processo di appello in quanto starebbe valutando, insieme a Microsoft, una nuova proposta che potrebbe effettivamente risultare adeguata.
Il motivo per cui l’Authority britannica, che sembrava inamovibile sulle proprie posizioni tanto da criticare apertamente, via Twitter, il parere favorevole che la Commissione Europea ha dato sull’acquisizione, avrebbe dunque fatto un dietrofront all’ultimo secondo è piuttosto semplice: la decisione negativa che aveva emesso lo scorso aprile aveva – verosimilmente – il solo obiettivo di prendere tempo in attesa dell’operato della FTC. Sia la CMA che la FTC, infatti, speravano nell’esito positivo del ricorso giudiziale promosso da quest’ultima il quale, se fosse andato in porto, avrebbe di fatto costretto Microsoft ad abbandonare il progetto di acquisizione per motivi di tempo. Avendo però l’FTC incassato la sconfitta in aula, la CMA si è ritrovata in una posizione abbastanza, per non dire molto, scomoda. Da una parte, infatti, più di 30 enti regolatori di altrettanti paesi hanno dato il loro via libera all’operazione, e tra questi spicca ovviamente il benestare concesso dalla Commissione Europea. Dall’altra, a questo punto, è molto probabile che la FTC, dopo aver incassato i due “no” e con l’accordo Microsoft – Sony appena firmato, rinunci ad ulteriori azioni di opposizione.
Morale della favola, la CMA è ora rimasta – relativamente – sola in questa “battaglia”. Relativamente perché ci sono un paio di enti regolatori che devono ancora esprimersi (ad esempio quello della Nuova Zelanda), ma comunque ha perso l’appoggio della FTC e a questo punto è costretta a venire in contro a Microsoft per trovare un accordo. Accordo che, per mantenere le apparenze e per essere coerenti con le ragioni del blocco di aprile è probabile che veda Microsoft fare delle concessioni per quanto riguarda il cloud gaming (segmento di mercato ad oggi estremamente marginale, per non dire quasi irrilevante) a fronte di una approvazione anche da parte dell’Authority britannica.
Cosa cambia nel mercato videoludico
Cosa cambia nel mercato videoludico? Fatte le doverose premesse, ora che l’acquisizione è praticamente certa, c’è da chiedersi cosa cambierà effettivamente nel mondo del gaming, se cambierà qualcosa.
Cosa cambia per Microsoft
Partiamo da Microsoft. Con le due acquisizioni fatte, quella di Zenimax nel 2020 e quella di Activision ora, per un totale di circa 80 miliardi di dollari complessivi, ora le aspettative sono altissime. Phil Spencer è chiamato a coordinare un gruppo spaventoso di studi di primissimo ordine (Bethesda, Arkane, Activision, Blizzard e Obsidian solo per citare i più importanti), con le potenzialità di far uscire, esagerando ma neanche troppo, un titolo tripla A al mese, o quantomeno ogni due/ tre mesi e con un Game Pass– servizio in abbonamento di Microsoft – che si preannuncia ricchissimo di contenuti, a fronte anche dell’imminente aumento di prezzo (da 12,99 euro a 14,99).
C’è ovviamente da capire quando il catalogo Activision sarà effettivamente disponibile all’interno del Pass ma la sensazione è che, almeno per i giochi già pubblicati, non si debba attendere più di tanto, verosimilmente verso la fine del 2023. Per i nuovi giochi invece (e nello specifico per Cod), come trapelato anche dalla documentazione fornita da Microsoft nel corso del procedimento presso il tribunale californiano, si parla di tempi più lunghi: fine 2024 o inizio 2025.
Cosa cambia per Sony
Passiamo a Sony, forse la grande sconfitta di tutta questa storia. È evidente che l’epilogo della storia non è andato come speravamo i vertici del colosso giapponese – Jim Ryan tra tutti – ma d’altro canto, è bene sottolinearlo, Sony rimane leader indiscussa nel mercato del gaming con una PS5 che nonostante le difficoltà iniziali dovute alla penuria di scorte a causa della pandemia, sta facendo registrare numeri eccezionali per quanto riguarda le vendite. Ma, si dice, non tutto il male vien per nuocere. Ora che Microsoft è cresciuta e sta crescendo a dismisura, è forse giunto il momento (si spera) per la divisione gaming di Sony, di mettere in atto scelte più audaci e di smettere di crogiolarsi nella propria – ultra-fidelizzata – clientela.
Per prima cosa si sottolinea come l’accordo stretto tra Microsoft e Sony si riferisca solo a Call of Duty e, come già detto, abbia una durata di “soli” 10 anni. L’accordo, infatti, per volontà stessa di Sony, a quanto pare, non ricomprende anche tutti gli altri titoli prodotti da Activision, alcuni dei quali (Crash, Spyro e Diablo, giusto per fare qualche nome) oltre ad essere delle vere e proprie pietre miliari nella storia di PS, rischiano di non venire più pubblicati per la console di casa Sony, così come è accaduto per i titoli Bethesda e co. Non solo, la durata dell’accordo relativo a Cod, 10 anni, può sembrare un tempo relativamente lungo ma, a ben vedere, si tratta di un lasso di tempo assai breve se si considera che trascorso tale termine, molto probabilmente, anche Cod diverrà esclusiva Microsoft e che, ad oggi, Sony non produce nessun titolo first party con le stesse caratteristiche. Molto probabilmente quindi, conscia dei possibili scenari futuri, Sony si starà mettendo già al lavoro per prepararsi a sostituire il titolo FPS prodotto da Activision con un titolo first party per PlayStation. D’altro canto, a Sony non manca certamente né il know-how per realizzare un FPS (non dimentichiamo l’acquisizione di Bungie) né la possibilità di revitalizzare e riproporre titoli con le medesime caratteristiche che sono stati – inspiegabilmente – lasciati morire e che non hanno avuto più seguito (qualcuno ha detto Killzone?). Certo, creare un prodotto che possa impensierire Cod non è impresa semplice ma Sony, come già detto, ha le risorse e il tempo per riuscirci oltre al fatto che dovrà necessariamente farlo se non vuole vedere una fetta considerevole della propria utenza migrare verso altri lidi.
Veniamo ora all’altra “nota dolente” in casa Sony: il PS Plus. Nonostante le indubbie migliorie introdotte con l’incorporazione dell’ex PS Now al PS Plus, la differenza tra la versione Premium del Plus (che ha un prezzo simile al Game Pass) in termini di quantità e qualità rispetto al Pass di Microsoft è considerevole. Pur offrendo delle feature tutto sommato accettabili -come la versione di prova di alcuni titoli o il catalogo dei classici – il fatto che Sony abbia deciso di non inserire le proprie IP al lancio nell’abbonamento, quantomeno nella versione Premium, pesa, e molto. Anche in questo caso, Sony dovrà essere audace. Una volta che tutto il parco titoli Activision sarà accessibile sul Game Pass, Sony dovrà dare un segnale di vita e dimostrare che il proprio servizio ha un senso. Per fare ciò, inevitabilmente, dovrà seguire la strada tracciata da Microsoft con il Game Pass e cominciare quindi ad inserire i propri titoli di punta, al lancio, all’interno del PS Plus magari a fronte di un aumento di prezzo, ma dovrà necessariamente farlo se non vuole essere obliterata dai servizi della concorrenza.
Conclusioni
Benché da un punto di vista giuridico l’acquisizione non sia stata ancora completata la sensazione è che dopo l’accordo siglato tra Microsoft e Sony, siamo giunti definitivamente ai titoli di coda.
Occorre tuttavia fare delle riflessioni a valle di quanto è accaduto e di quanto si è visto in questi mesi.
Il primo fatto da sottolineare è che nonostante sia cosa nota (almeno agli addetti ai lavori) che le acquisizioni o fusioni che siano, tra aziende di questo calibro e con cifre di questa portata, siano più una questione politica che non giuridica, in questo caso si è andati ben oltre la soglia della ragione. È abbastanza preoccupante constatare come alcune autorità antitrust abbiano cercato in tutti i modi di sabotare la buona riuscita dell’operazione senza aver portato una sola prova degna di nota a sostegno delle proprie tesi. Non è un caso, infatti, che il Congresso statunitense abbia pesantemente redarguito Lina Khan, presidente della FTC, per aver sprecato ingenti risorse pubbliche in azioni legali spericolate che si sono poi concluse con sonore sconfitte. E non è neanche un caso che il Parlamento inglese abbia, da mesi ormai e prima della vicenda Microsoft – Activision, avviato un’indagine interna per valutare l’operato della CMA la quale sembra stia portando avanti una sorta di crociata contro le Big Tech di dubbia utilità e con ingenti costi per le casse dello Stato.
Fatta questa doverosa premessa, tornando al gaming, è chiaro che da una parte gli effetti, positivi o negativi che siano, dell’acquisizione si vedranno solo con il tempo. È altrettanto evidente però che il mondo videoludico sta vivendo, anche e soprattutto attraverso questi passaggi, una rivoluzione assimilabile a quella vista nel mercato dell’intrattenimento con l’avvento di Netflix. Il futuro del settore è delineato: servizi in abbonamento e Gaas (game as a service) saranno i protagonisti delle prossime annate con buona pace di chi, ancora, colleziona CD e scatole di plastica.