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Musica e creatività “aumentata” dall’IA: come risolvere i nodi del copyright



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L’intersezione tra diritto d’autore e intelligenza artificiale solleva questioni complesse riguardanti la tutela delle opere creative. Artisti e sviluppatori di IA navigano tra potenziali violazioni e nuove modalità di espressione

Aggiornato il 12 dic 2024

Beatrice Marone

Assegnista, IUSS Pavia – Fellow, ICLT



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La relazione fra diritto d’autore e Intelligenza Artificiale è diventata fulcro di discussioni sin dai primi tentativi di costruzione di brani con l’ausilio di sistemi di IA.

    L’angolo visuale finora adottato pare essersi attestato in una direzione ben precisa, sia nell’ambito dei dibattiti di dottrina e esperti, sia alla prova delle autorità competenti. Infatti, i procedimenti sino a ora instaurati, negli Stati Uniti in quantità prevedibilmente molto più ampia rispetto ad altri Paesi, riguardano la violazione di copyright lamentata da artisti impegnati in vari domini nei confronti delle società produttrici e sviluppatrici di Large Language Models.

    Queste, infatti, sono state convenute in giudizio da singoli e da associazioni di autori, giornalisti e musicisti: essi contestano l’utilizzo non autorizzato delle proprie opere, tutelate dal diritto d’autore, per l’allenamento degli algoritmi. Tramite l’utilizzo di tali algoritmi, infatti, per qualsiasi utente è possibile non soltanto manipolare opere già esistenti, ma altresì esercitare la propria creatività in un orizzonte più ampio rispetto al passato.

    Questo scritto parte dal copyright  per indirizzarsi verso il concetto di creatività, in particolare sulle nuove sfumature che esso assume con lo sviluppo di infrastrutture tecnologiche. La giurisprudenza non pare avere ancora affrontato a fondo l’argomento relativo alla possibilità che un brano generato dall’interazione fra uomo e sistema di IA sia tutelato in termini di copyright.

    Il concetto di copyright

    In primo luogo, va chiarito che il termine inglese “copyright” viene troppo spesso e semplicisticamente tradotto con “diritto d’autore”. Il regime giuridico statunitense e quello italiano sono diversi e soluzioni non comuni possono emergere.

    Sia negli Stati Uniti sia in Italia il copyright esiste automaticamente per un’opera che presenti il requisito dell’originalità. La definizione, tuttavia, segue due strade differenti. La legge italiana sul diritto d’autore (D. lgs. n. 633/1941) qualifica il risultato dell’attività creativa come opera d’ingegno e garantisce la tutela alle categorie indicate nell’articolo 1 “qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”. Il Copyright Act statunitense (aggiornato nel dicembre 2022) richiede nella sezione 102 che il mezzo espressivo sia “tangibile”. Contemporaneamente e in maniera affascinante, però, apre alla possibilità che esso sia “ora conosciuto o sviluppato in futuro”.

    Il contenuto dei due corpi normativi fornisce al soggetto che viene definito quale “autore” dell’opera una serie di diritti, suddivisi in due distinte categorie: diritti morali, relativi alla personalità dell’autore e alla sua tutela; diritti di utilizzazione economica sull’opera, che comprendono, tra gli altri, la pubblicazione e la riproduzione. Dall’articolo 22 della legge italiana sul diritto d’autore emerge chiaramente come i diritti morali non siano cedibili. Invece, nella normativa statunitense, tale divieto non sussiste e la disciplina dei diritti morali risulta molto più sfumata e molto meno affrontata nelle dispute. I diritti di utilizzazione economica sono liberamente trasferibili da parte del soggetto identificato come “titolare di copyright”, ben diverso dall’autore.

    Registrazione del copyright

    Come sopra ricordato, il copyright è, quindi, direttamente collegato alla creazione dell’opera da parte dell’autore e alla sua fissazione su un supporto. Tuttavia, è possibile – e suggeribile, secondo i legali specializzati nel settore – richiedere ai competenti uffici amministrativi la concessione della registrazione di copyright. Essa si risolve in una semplice attestazione pubblica relativa alla paternità dell’opera davanti al Copyright Office negli Stati Uniti e al Ministero della Cultura in Italia.

    In gran parte dei casi, l’autore corrisponde a chi effettua l’istanza di registrazione. In altri, invece, i due ruoli possono spettare a due soggetti distinti; tuttavia, in quest’ultima circostanza, la qualifica di autore risulta dall’atto di registrazione. Il provvedimento rinforza la posizione degli autori nel caso essi scelgano, come attori, di proporre azione legale contro la violazione di uno dei diritti appartenenti all’insieme che viene concesso dalla normativa, ma anche quando sono gli stessi autori a essere convenuti in giudizio per violazione di presunti diritti di terzi. Tuttavia l’assenza di registrazione non esclude, in ogni caso, la possibilità di far valere giudizialmente i propri diritti, anche se l’onere della prova risulterà più gravoso da assolvere.

    Musica e copyright: la prospettiva del Copyright Office Usa

    Non esiste, in Italia, un Ufficio esclusivamente dedicato al tema da poter essere considerato quale l’equivalente del Copyright Office statunitense. Quest’ultimo, proprio in ragione del contesto nel quale è inserito, ricopre una posizione particolarmente rilevante: è un faro per ciascun ufficio nazionale, in ogni Paese del mondo, in merito all’approccio, da un lato, ai temi tradizionali e, dall’altro, alle porte recentemente aperte. Dunque, è assai utile verificare la prospettiva finora assunta dal Copyright Office nei casi sottoposti all’attenzione dei competenti “esaminatori” (i funzionari amministrativi a cui è assegnato il compito di analizzare le domande di registrazione di copyright) all’atto di richiesta del sigillo © su opere create con l’ausilio di sistemi di IA.

    Nel luglio 2024, il Copyright Office ha pubblicato la prima parte del report intitolato “Copyright and Artificial Intelligence”, dedicato al concetto di “repliche digitali”[1]. L’Ufficio ha dimostrato la volontà di affrontare con priorità le questioni scaturite da un ben preciso fatto di cronaca, tra i primi a sollevare dubbi e timori relativi all’utilizzo dei sistemi di IA nei mondi creativi. L’ episodio è avvenuto nell’aprile 2023, quando numerosissimi utenti del web sono stati tratti in inganno dal “finto Drake”. Un utente anonimo ha caricato su una piattaforma atta anche a riprodurre brani musicali una canzone che il pubblico ha immediatamente creduto fosse una nuova collaborazione fra due celebri cantanti e produttori canadesi, Drake e TheWeeknd. Grande sorpresa è dilagata con la scoperta che nessuno dei due artisti era stato coinvolto in alcuna fase della produzione. L’identità del soggetto dietro la creazione e diffusione dell’opera è, tuttora, anonima[2].

    In questo scritto si affronterà una questione diversa: se e in che modo sia possibile ottenere la tutela copyright per brani generati con l’ausilio di sistemi di IA utilizzati in maniera completamente lecita.

    L’attuale tabula rasa in materia musicale

    Gli artisti lottano per vedere riconosciuta la propria posizione sia tramite le associazioni di categoria, sia proponendo procedimenti dinanzi alle corti: la richiesta è di un compenso adeguato quale corrispettivo per l’utilizzo delle proprie opere da parte di sviluppatori e fornitori di sistemi di IA.

    Le multinazionali come OpenAI hanno scelto di difendere la propria posizione sulla base della dottrina del “fair use”, così evidentemente escludendo la possibilità di individuare una modalità alternativa per il miglioramento delle performances dei propri sistemi. Infatti, sembra che per massimizzare la produttività dei sistemi non sia sufficiente l’allenamento su quanti più dati possibili, ma sia necessario includere nei dataset contenuti tutelati dal diritto d’autore.

    Anche se le istanze degli artisti dovessero ottenere un riconoscimento tramite un reticolo di contratti di licenza, rimane comunque aperta la questione, ontologicamente affascinante ed economicamente rilevante, della possibilità di ottenere la tutela del diritto d’autore su opere create da soggetti che non abbiano le competenze tipiche del mondo musicale, cioè parolieri, musicisti o tecnici del suono. Tali soggetti possono essere considerati autori e/o titolari di copyright anche se si siano limitati a fornire semplici indicazioni ai sistemi di IA? I ruoli di autori, artisti, interpreti ed esecutori sono destinati a modificarsi a causa dell’avvento della figura del prompt engineer?

    Sebbene il citato report del Copyright Office tragga spunto proprio da una situazione occorsa in ambito musicale, non sono state rese note richieste di concessione di copyright su opere musicali. Con tutta probabilità, chiarimenti in merito giungeranno soltanto dalla divulgazione dei successivi studi dell’AI Initiative dell’Ufficio statunitense. Di conseguenza, per individuare i requisiti di chi chiede la tutela autorale è inevitabile fare riferimento alle decisioni sinora rese in ambiti artistici diversi, in primo luogo quello delle arti figurative.

    A un primo sguardo, un brano musicale emerso dalla “collaborazione” fra uomo e IA presenta a pieno titolo i presupposti per la tutela copyright, ossia l’originalità e il fatto di essere reso su un supporto tangibile. Qualsiasi rimostranza relativa al primo requisito può essere sollevata per un qualsiasi brano, anche scritto di proprio pugno ed eseguito da umani con veri strumenti musicali. Infatti, il sistema adeguatamente allenato è indubbiamente destinato a riportare all’interno della canzone una molteplicità di fonti di ispirazione, reperite grazie a un dataset di un’ampiezza tale da essere difficilmente concepibile dalla mente umana. Un’ispirazione proveniente da un’elevata quantità di fonti diverse potrebbe addirittura escludere che si possa parlare di plagio.

    Peraltro, il tema stesso del plagio musicale ha registrato un netto cambio di rotta nel corso del tempo, con una svolta giunta già decenni fa con il procedimento che ha visto coinvolti Al Bano e Michael Jackson. La decisione in tale vertenza ha dato il via a una prassi sempre più comune: il convenuto si difende dalle contestazioni ricercando elementi che dimostrino l’assenza del requisito di originalità nel brano presunto oggetto di plagio. Proprio per tale ragione, gli artisti preferiscono risolvere dispute derivanti da eventuali similarità fra i brani nel contesto stragiudiziale, tramite accordi che, a titolo di esempio, prevedono l’attribuzione di crediti retroattivi nelle parti oggetto di samples e interpolazioni.

    Processo di creazione e crisi delle categorie tradizionali

    Tuttavia, è necessario che il focus del discorso si sposti dall’oggetto, ossia l’opera, verso i soggetti coinvolti nella costruzione della stessa. L’opera musicale è esplicitamente riconosciuta come oggetto di tutela del diritto d’autore. Non è il prodotto finale a mettere in crisi le categorie tradizionali, ma il processo di creazione. Già la lettura superficiale della norma di legge italiana consente di cogliere una differenza sostanziale fra l’autore quale creatore dell’opera, disciplinato secondo l’articolo 6, e l’artista interprete o l’artista esecutore.

    Secondo l’articolo 80, questi sono i soggetti che rappresentano, cantano, recitano, declamano o eseguono in qualunque modo opere dell’ingegno. Essi godono del diritto esclusivo di autorizzare, tra le altre attività, la fissazione delle loro prestazioni artistiche e la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, ma anche la comunicazione al pubblico della prestazione artistica dal vivo. Tali diritti sono facilmente sovrapponibili ad alcuni di quelli che spettano all’autore dell’opera secondo la sezione II della stessa legge. Vi sono, però, due distinzioni chiave: da un lato, i diritti appena elencati spettano a soggetti diversi dall’autore e, dall’altro, sono in un numero molto più limitato.

    Vi sono anche altri soggetti coinvolti nella creazione dell’opera musicale oltre quelli fin qui menzionati. Secondo l’articolo 82, rientrano nella definizione di “artisti interpreti esecutori” anche coloro i quali ricoprono nell’opera una parte di notevole importanza artistica, ma anche  orchestre, cori e i relativi direttori, sempre che abbiano un valore artistico a sé stante.

    Sia il concetto di “notevole importanza artistica” sia quello di “valore artistico a sé stante” hanno contenuti variabili, che garantiscono la necessaria flessibilità ma che possono essere colti soltanto esaminando la giurisprudenza di merito. Naturalmente questa flessibilità ha il limite di produrre orientamenti incostanti a seconda del tribunale in questione (sezioni specializzate in materia di imprese). Nella prassi italiana pare essersi elaborato un rimedio: sono le dichiarazioni rilasciate dai produttori di fonogrammi nei credits o le informazioni fornite alle società di collecting il mezzo per far fronte alla valutazione quantitativa richiesta dalla legge. Le società di collecting sono gli organismi che esercitano (sulla base di un contratto di mandato esclusivo) i diritti di utilizzazione economica relativi alle opere dei soci nei confronti di coloro che utilizzano tali opere.

    Occorre precisare che i diritti di utilizzazione economica discendono sia dai diritti dell’autore, sia dai cosiddetti diritti connessi. La distinzione è rilevante non soltanto dal punto di vista dell’analisi astratta, ma anche e soprattutto nell’ottica delle ricadute economiche. Infatti, le collecting societies coinvolte nella gestione dell’uno o degli altri, nella sola industria musicale, sono differenti: se per il diritto d’autore alla Società Italiana Autori e Editori (SIAE) si è affiancata principalmente Liberi Autori e Esecutori (LEA), nella gestione dei diritti connessi per artisti interpreti esecutori i due maggiori organismi di gestione collettiva sono il Nuovo Istituto Mutualistico Artisti Interpreti Esecutori (Nuovo Imaie) e l’Itsright S.r.l..

    La complessità cresce ulteriormente considerando le peculiarità dell’industria musicale, dove i brani sono oggetto sia di contratti di edizione, sia di contratti discografici. Essi introducono questioni anche paradossali in tema di legittimazione, fino a contenziosi tra l’autore o l’artista interprete esecutore, da un lato, e i soggetti cui ha assegnato i diritti di utilizzazione economica sull’opera, dall’altro. Nell’ottica del diritto, non rileva più chi ha scritto, composto o eseguito l’opera, ma chi abbia diritti sull’opera in base ai regolamenti contrattuali sottoscritti.

    L’utilizzo di IA nella costruzione di un’opera musicale mette in dubbio, in primo luogo, i differenti ruoli che le norme hanno diligentemente stabilito. Inoltre, sebbene il diritto d’autore includa regole molto specifiche date dall’estrema complessità e tecnicità del settore, rimane ancorato alle categorie e agli istituti del diritto civile, in primis al contratto di diritto privato, disciplinato dalla normativa in larga parte nazionale e, in misura minore ma non meno rilevante, internazionale. Pertanto, qualsiasi tentativo di sistematizzazione è destinato a incontrare difficoltà.

    Le conseguenze della nuova normativa italiana

    La cornice normativa in materia è destinata a cambiare. In Italia, il momento dell’approvazione del cosiddetto “DDL Intelligenza Artificiale” non è lontano. Tale testo è stato oggetto di delibera da parte del Consiglio dei Ministri lo scorso 23 aprile e si trova attualmente davanti al Senato. Il disegno di legge pone la tutela del diritto d’autore tra i cinque ambiti in cui l’IA è coinvolta per i quali è stata individuata una direzione strategica a livello nazionale. La volontà di fornire una disciplina specifica per le opere create con l’ausilio di sistemi di IA emerge dall’articolo 24, il quale prevede emendamenti al testo della legge sul diritto d’autore. L’entrata in vigore del disegno di legge nella versione attualmente in esame condurrebbe a una modifica qualitativamente rilevante nell’articolo 1 della legge n. 633/1941. Sarebbero tutelate le “opere dell’ingegno umano” (aggettivo aggiunto al testo attualmente in vigore), “anche laddove create con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale, purché costituenti risultato del lavoro intellettuale dell’autore”.

    Quesiti non trascurabili emergono dalla nuova formulazione. Pare intravedersi una prima crepa nella barriera, finora abbastanza solida, all’accesso alla tutela copyright di opere dell’ingegno create con l’assistenza di sistemi di IA. Peraltro, uno spunto in questa direzione era già stato fornito dalla Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 1107 del 16 gennaio 2023, quando ha affermato la necessità di un accertamento di fatto che consentisse di verificare se e in quale misura l’utilizzo di un software per generare un’opera digitale avesse assorbito – o meno – l’elaborazione creativa dell’artista.

    Il punto focale è il contributo umano che, nella precedente versione del DDL, doveva essere qualificato come “creativo, rilevante e dimostrabile” ai fini dell’ottenimento della tutela. Negli aggettivi “rilevante” e “dimostrabile”, riferiti al contributo umano, sembravano riecheggiare le formule “notevole importanza artistica” e “valore artistico a sé stante” relative ai titolari dei diritti esclusivi connessi al diritto d’autore. Seguendo tale filo conduttore, si potrebbe giungere ad affermare che persona umana e IA non si pongano in un rapporto di attore e strumento, ma come componenti di una squadra che lavorano insieme per la realizzazione di un prodotto.

    La scelta della nuova formulazione potrebbe essere dovuta alla necessità di rispondere alle rimostranze sollevate in merito al fatto che l’uomo sia chiamato a dimostrare l’effettiva portata rilevante del proprio contributo al prodotto risultato anche dell’applicazione di IA. Pare, però, che, quantomeno a livello astratto, sia possibile ricondurre ad unità le posizioni attualmente sul campo. Da un lato, si solidificherebbe il generale divieto di attribuzione della tutela copyright all’opera dell’ingegno risultato di un procedimento congiunto uomo-IA. Dall’altro, si stabilirebbe una sorta di presunzione legale relativa, alla quale coloro che formulano richiesta di accertamento della tutela copyright avranno la possibilità di opporre prova contraria. Peraltro, la valutazione dell’entità del contributo umano spetta tuttora all’autorità chiamata a emettere decisioni in tema di copyright, sia essa amministrativa o giudiziaria. Alcuni casi, sia di accoglimento sia di rigetto (i più numerosi), possono rendere il ragionamento più trasparente.

    L’arte figurativa è senza alcun dubbio, settore accessibile a chiunque, sin dall’infanzia, come fruitore o creatore. Non stupisce che la tematica esaminata si sia posta per la prima volta proprio in questo dominio né che le vie seguite costituiscano un’importante cartina al tornasole delle considerazioni e della sensibilità sul tema. Il Copyright Office statunitense ha disegnato una linea di sostanziale continuità e coerenza, a partire dall’ormai celebre caso di “A recent entrance to paradise[3] del febbraio 2022 sino alla decisione su “SURYAST[4] del dicembre 2023.

    Tutte le decisioni datate 2023 contengono riferimenti più o meno ampi alle Linee Guida pubblicate nel mese di marzo e dedicate a opere contenenti materiale generato dall’IA[5]. L’Ufficio ha chiarito la centralità del connotato di umanità dell’autore e il conseguente diniego della tutela autorale per opere o parti di opere generati da soggetti non umani. Secondo la giurisprudenza, in tale categoria rientrano anche casi di opere create da esseri viventi appartenenti alla specie animale. L’Ufficio ha sottolineato la propria lunga esperienza nell’affrontare situazioni in cui l’autorialità umana convive, all’interno della medesima opera, con elementi non assoggettabili alla tutela del copyright. La posizione non è granitica, ma adattabile agli specifici scenari. Per esempio, la presente analisi non esamina la decisione che ha dato origine al contenzioso civile nella causa Thaler v. Perlmutter (dai cognomi, rispettivamente, dell’inventore del sistema DABUS e del Direttore del Copyright Office) poiché la vicenda si riferisce a un’opera dell’ingegno che non soddisfa il requisito minimo di umanità dell’autore.

    Al contrario, nei casi in cui l’apporto artificiale e quello umano sono presenti in concomitanza, pare che vi sia spazio per il riconoscimento del copyright sull’opera. L’Ufficio afferma a chiare lettere che l’indagine dovrà essere condotta nei singoli casi, verificando di volta in volta la natura del contributo fornito dal sistema di IA. Se tale contributo si risolve semplicemente nella riproduzione meccanica, la tutela copyright è negata per la totalità del materiale generato. Nel caso in cui l’IA fornisce, invece, semplicemente forma tangibile alla originale concezione mentale propria dell’autore umano, la tutela si estenderà soltanto a quei profili dell’opera riconducibili all’autore stesso. L’opera non è più un unicum, ma si suddivide in una parte tutelata dal diritto d’autore e in un’altra che, invece, ricade nel pubblico dominio.

    Il principio si manifesta in maniera brillante nella decisione del Copyright Office sulla domanda del Sig. Allen relativa all’opera figurativa bidimensionale “Théâtre D’opéra Spatial[6]. Una decisione che si pone in una relazione diretta con quanto affermato dallo stesso Ufficio in relazione a “Zarya of the Dawn” nel febbraio 2023[7]. L’opera figurativa bidimensionale era stata creata dal Sig. Allen attraverso una combinazione di attività: prima, la generazione di un’immagine tramite il sistema Midjourney e, successivamente, l’inserimento di alcune modifiche tramite il programma Adobe Photoshop. L’Ufficio ha negato la tutela poiché il richiedente non era stato in grado di fornire elementi sufficienti a dimostrare il proprio apporto creativo. Secondo l’opinione dell’Ufficio, l’immagine generata dal sistema di IA “rimane nella propria forma sostanziale nell’opera finale”. Al contrario di quanto avvenuto con l’opera di Kris Kashtanova, l’Ufficio giunge alla conclusione che l’opera che non è suscettibile di tutela copyright a causa dell’impossibilità di distinguere il materiale potenziale oggetto di tutela copyright da quello che, invece, avrebbe dovuto rientrare nel pubblico dominio. 

    Allen aveva, tuttavia, proposto un’argomentazione ulteriore: secondo la sua ricostruzione, il solo fatto di aver fornito una serie di prompt a Midjourney sarebbe stato sufficiente a qualificare sé stesso come autore dell’opera. L’Ufficio, però, non ha condiviso tale argomento. Da un lato, ha tenuto in considerazione i più di seicento prompt che il richiedente affermava di aver inviato a Midjourney; dall’altro lato, ha condotto un’analisi sulle modalità di funzionamento del sistema, concludendo che Midjourney non è in grado di comprendere grammatica, struttura della frase o parole come gli esseri umani. Quindi, il sistema non è in grado di trattare i prompt come istruzioni dirette ed è plausibile che gli utenti abbiano necessità di un grande numero di iterazioni prima di raggiungere un’immagine ritenuta soddisfacente.

    Tale linea argomentativa si pone in pieno contrasto con la decisione emessa da una corte cinese nel novembre 2023. Nella vicenda oggetto del caso Li v. Liu[8], l’attore aveva fornito una serie di input al sistema Stable Diffusion, richiedendo, di volta in volta, la modifica di determinate caratteristiche delle immagini generate. Egli riteneva tale circostanza fattuale sufficiente prova dell’esistenza di un apporto umano non trascurabile. La corte ha condiviso tale opinione, stabilendo che l’opera rientra sotto la tutela copyright e, dunque, la violazione da parte del convenuto è sanzionabile.

    L’orizzonte deve essere contestualizzato. È necessario tener presente la lettera della norma cinese sul copyright, che identifica l’opera come “risultato intellettuale” (formulazione sovrapponibile a quella scelta nell’ultima versione della nuova disciplina italiana). Nella prospettiva della corte, tale locuzione si riferisce al risultato di attività intellettuali e, dunque, l’opera dovrebbe riflettere lo spunto intellettuale di una persona fisica. Il requisito dell’originalità corrisponde alla semplice circostanza che l’opera rifletta la personale espressione dell’autore.

    Ancor più rilevante è l’esame delle caratteristiche del sistema utilizzato. I giudici cinesi hanno condotto puntuali ricerche e sono giunti alla conclusione che Stable Diffusion è allenato su una notevole quantità di immagini e sulle corrispondenti descrizioni delle stesse. Sulla base del prompt ricevuto, il modello è in grado di usare la corrispondenza fra l’informazione semantica veicolata e i pixels dell’immagine per generare un contenuto coerente con il testo. La corte si spinge, addirittura, ad affermare che l’opera presenta la creatività umana in maniera tangibile poiché il livello di personalizzazione dell’immagine è proporzionale alla specificità delle richieste e della descrizione fornite al sistema. Sembra riemergere la dottrina del work-for-hire, tanto cara al mondo anglosassone: quando un sistema è mero esecutore delle istruzioni della persona umana la tutela copyright è riconosciuta, e direttamente, alla persona fisica.

    Tale interpretazione, come anticipato, contrasta con la disciplina del Copyright Office statunitense. Sebbene l’Ufficio riconosca che il sistema di IA possa essere considerato al pari di un artista a cui una certa opera sia stata commissionata, il fulcro del ragionamento riguarda il controllo creativo che la persona umana esercita su tale processo. Laddove è l’IA a determinare gli elementi espressivi dell’output, il materiale generato non è prodotto di autorialità umana. Esso non è, quindi, protetto dal diritto d’autore.

    La rilevanza del prompt nel mondo musicale: soluzioni (normative) creative

    Tutte le decisioni menzionate riguardano prodotti iconografici bidimensionali, ossia opere di arte figurativa. Sia nel caso in cui esse siano totalmente frutto della creatività umana, sia laddove esse siano risultato dell’interazione fra uomo e sistema di IA, tali prodotti presentano una natura sostanzialmente differente da quella dell’opera musicale. Basta esaminare i tradizionali metodi di produzione pittorica: il dipinto finale era attribuito al maestro anche quando gran parte dello stesso fosse stato prodotto dagli aiutanti di bottega. Ciò deriva dal fatto che la distinzione fra i singoli contributi, nell’arte figurativa, è un’attività particolarmente complessa. Allo stesso tempo, il ruolo dell’autore principale è sempre stato, nel tempo, dominante rispetto ai contributi di soggetti altri.

    Nell’opera musicale la prassi è inversa, come testimoniato dalle caratteristiche del panorama degli ultimi anni. Basta scorrere i credits delle canzoni in gara nell’ultima edizione del Festival della Canzone Italiana per notare due circostanze di grande interesse. Dietro ciascun brano si celano squadre di autori, produttori artistici e arrangiatori. Sembra essere terminata la breve stagione in cui gli artisti sul palco rivestivano, contemporaneamente, i panni di autori del testo, della composizione musicale e di interpreti. Pare di essere tornati alle origini, quando coppie inossidabili formate da autore e interprete plasmavano la scena musicale italiana. L’unica differenza è una quantità sempre più rilevante di soggetti coinvolti. Tuttavia, pare che i nomi di autori, compositori e produttori artistici coinvolti siano sempre gli stessi, con l’effetto di appiattire i prodotti finali alle stesse strutture liriche e metriche. Più di qualche critica, infatti, ha riguardato l’incapacità di differenziare testi e sound delle varie canzoni in gara.

    Non è ovviamente dato di conoscere se e in che modo strumenti di IA siano già stati utilizzati e con quale ruolo nelle canzoni proposte. In alcune circostanze, è possibile identificare in maniera immediata il fatto che un brano sia stato interamente redatto e eseguito con sistemi di IA, ma quando il contributo del sistema è meno evidente non è altrettanto scontato identificare le nuances che siano state fornite dallo stesso. Il Copyright Office statunitense concentra la propria attenzione sul fenomeno dei deepfakes e sull’improprio utilizzo delle voci di artisti (viventi o non più viventi) senza il consenso degli stessi o dei titolari del loro catalogo. Tuttavia, non ha ancora reso pubbliche pronunce puntuali su tentativi di ottenere la tutela copyright per un prodotto musicale composto con l’ausilio di un sistema di IA. Nelle Linee Guida, l’Ufficio afferma che il fatto che un brano contenga effetti generati tramite un sistema tecnologico non è incompatibile con l’accertamento della tutela autorale. A ragionare diversamente, infatti, si arriverebbe a escludere dalla tutela anche tutti i brani passati attraverso il meccanismo dell’autotune, e cioè il metodo che consente di nascondere o eliminare inaccuratezze vocali presenti nella registrazione. Questo metodo è ormai utilizzato nella maggior parte dei brani dell’attuale panorama di musica leggera, con potenzialità ulteriormente ampliate grazie all’avvento delle funzionalità dell’IA. Di conseguenza, il tema non ha guadagnato il favore dei riflettori, anche se sta lentamente avanzando anche nella realtà quotidiana.

    La posizione che pare condivisa dalla maggioranza della dottrina, a livello globale, in tema di canzoni create con l’ausilio di IA, ossia all’esito di un’interazione fra soggetto umano e sistema artificiale, è che le stesse non siano tutelabili dal copyright per due inscindibile ragioni. La prima, ha ricadute economiche e riguarda l’illecito utilizzo di brani protetti da copyright per il training dell’algoritmo, fenomeno oggetto di una molteplicità di azioni legali. Tra le ultime a essere proposte, nel mese di agosto 2024, quella iniziata dalla Recording Industry Association of America (RIAA) e da altri player dell’industria musicale, tra cui UMG, Sony, Atlantic e Warner, nei confronti di due servizi di generazione musicale: Suno AI, sviluppato da Suno, Inc.[9], e Udio AI, prodotto di Uncharted Labs, Inc.[10]. Tuttavia, le memorie presentate dalle attrici non sono totalmente tranchant e aprono all’affermazione che, nel momento in cui siano sviluppati con il consenso e la partecipazione dei titolari di copyright, gli strumenti di IA generativa saranno in grado di assistere gli umani nella creazione e nella produzione di musica innovativa.

    Tale dichiarazione, però, pare contrastare con la visuale finora fornita da gran parte degli esperti, che costituisce la seconda ragione sulla base della quale la tutela copyright è negata. Il sostegno è identificato nella distinzione fra la figura dell’artista e quella del prompt engineer, anche laddove quest’ultimo sia impegnato in un’attività riguardante la composizione di testi e musica per un brano. Nonostante la consapevolezza delle similitudini fra le attività e la necessità di un apporto creativo, l’artista trasla immediatamente la propria attività su un supporto fisico, mentre il prompt engineer fornisce indicazioni al sistema IA conversando con esso. Si sostiene che tale differenza apra un gap troppo vasto. Il prompt engineer non ha alcun contatto diretto con il risultato finale, essendo lo stesso prodotto non soltanto di una forte influenza, bensì di un vero e proprio passaggio intermedio che coinvolge il sistema di IA. Addirittura, non sarebbe il sistema di IA a essere tramite fra il prompt engineer e il risultato finale, bensì viceversa, quasi che sia l’uomo a vestire il ruolo di intermediario.

    Tale posizione è comprensibile, ma non del tutto condivisibile. In primo luogo a causa del rovesciamento di prospettiva che opera. Sebbene l’umano, da solo, non avrebbe potuto giungere allo stesso risultato sulla base delle sole proprie caratteristiche, conoscenze e abilità, non è possibile concludere che il sistema di IA assuma il ruolo di protagonista. Il sistema di IA risponde agli stimoli forniti dall’umano tramite il prompt ed emette un output. Partire dalla premessa contraria, infatti, porterebbe a una conclusione semplicistica: dato che al sistema di IA non è riconosciuta personalità giuridica né tantomeno la qualifica di autore, qualsiasi brano nascente da una collaborazione in parti diseguali tra uomo e IA è sempre e automaticamente escluso dalla tutela autorale.

    Il benchmark fornito dal Copyright Office – che si riverbera anche nella decisione della corte cinese citata – può costituire la chiave di volta del sistema. Un onere di prova contraria sul soggetto che richiede l’attribuzione della tutela copyright per un brano generato con l’ausilio dell’IA, dinanzi a una presunzione relativa di assenza di tutela, potrebbe condurre a una maggiore equità. Oltre a ciò, potrebbe fornire una spinta che bilanci, da un lato, le esigenze degli artisti e, dall’altro, la volontà degli stessi di utilizzare i sistemi nella propria composizione creativa. Seguendo tale percorso, il soggetto umano che sia in grado di fornire la prova del proprio apporto lascerebbe lo svilente ruolo di semplice prompt engineer (locuzione che pare sottolinearne il ruolo tecnico anziché creativo) per rivestire quelli dell’autore. Il sistema di IA, al contempo, otterrebbe un riconoscimento molto vicino a quello di artista interprete esecutore del brano.

    Una proposta per il futuro

    Per il futuro dei rapporti fra gli artisti titolari di copyright sui brani utilizzati per l’allenamento dei sistemi e le società sviluppatrici degli stessi, potrebbe essere interessante la prospettiva che i diritti connessi astrattamente spettanti al sistema di IA si riversino proprio su tali società. In uno scenario con queste caratteristiche, si potrebbe stabilire, a livello normativo e contrattuale, che i compensi derivanti dalla cessione di tali diritti in favore dell’autore, dell’editore o del produttore di fonogrammi, siano totalmente o parzialmente versati, in percentuali, agli artisti che hanno concesso in licenza i propri brani per le suddette attività di training.

    Quella appena tracciata a grandi linee è, al momento, soltanto una proposta che potrebbe fornire uno spunto sia ai soggetti istituzionali, sia agli stakeholders coinvolti nell’industria musicale. Una soluzione di questo tipo porterebbe a spezzare il circolo vizioso basato su una catena di violazioni del diritto d’autore, da un lato, e sull’esclusione della tutela fornita dallo stesso, dall’altro. Si creerebbe, al contrario, un circolo virtuoso, in grado di spingere la creatività umana e allargarne i confini tramite la collaborazione con la tecnologia. Al contempo, si assicurerebbe un continuo corrispettivo agli artisti che scelgano la via dell’interazione.

    Si tratta, certamente, di un’ottica di compromesso, forse ben lontana dalle categorie tradizionali del diritto d’autore. Tuttavia, occorre ricordare che uno degli elementi più affascinanti del diritto è la continua capacità di adattamento alle situazioni reali. Di conseguenza, anziché cercare di riportare la realtà al piano dell’astrazione, sarebbe più utile ragionare in termini di aggiornamento della teoria in funzione della pratica e di soluzioni che siano in grado di tutelare maggiormente le persone umane coinvolte nei processi creativi.

    Note


    [1] https://copyright.gov/ai/Copyright-and-Artificial-Intelligence-Part-1-Digital-Replicas-Report.pdf?loclr=blogcop

    [2] Per approfondire, è possibile visionare B. Marone, La simbiosi fra uomo e IA può far bene all’arte, ma con le giuste regole, in Agenda Digitale, 15 dicembre 2023.

    [3] https://www.copyright.gov/rulings-filings/review-board/docs/a-recent-entrance-to-paradise.pdf

    [4] https://www.copyright.gov/rulings-filings/review-board/docs/SURYAST.pdf

    [5] https://www.copyright.gov/ai/ai_policy_guidance.pdf

    [6] https://www.copyright.gov/rulings-filings/review-board/docs/Theatre-Dopera-Spatial.pdf

    [7] https://www.copyright.gov/docs/zarya-of-the-dawn.pdf

    [8] https://english.bjinternetcourt.gov.cn/pdf/BeijingInternetCourtCivilJudgment112792023.pdf

    [9] https://www.riaa.com/wp-content/uploads/2024/06/Suno-complaint-file-stamped20.pdf

    [10] https://www.riaa.com/wp-content/uploads/2024/06/Udio-Complaint-6.24.241.pdf

    EU Stories - La coesione innova l'Italia

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