l'analisi

Musica “leggera” e plagio ai tempi del web: cosa ci insegna il caso Ed Sheeran

La decisione dei giudici di Londra di assolvere Ed Sheeran dall’accusa di plagio apre a valutazioni interessanti in merito alla difesa dell’originalità di una canzone “leggera” o pop ai tempi di internet. Il caso e cosa sarebbe successo se la vicenda si fosse svolta in Italia

Pubblicato il 29 Apr 2022

Simona Lavagnini

avvocato, partner LGV Avvocati

Ed Sheeran, live in Manila

Agli appassionati di musica non sarà sfuggita la recente decisione del 6 aprile 2022 del giudice Zacaroli della High Court of Justice di Londra, con la quale si è escluso che la canzone “Shape of You” di Ed Sheeran (ed altri autori) fosse stata copiata dalla precedente “Oh Why” di Sami Chokri e Ross O’Donoghue. La decisione è interessante perché affronta il tema di come si debba valutare ai tempi di internet se una determinata opera musicale possa essere copiata da una precedente canzone.

Il plagio musicale nell’era dello streaming: tecnologie e innovazione nelle aule giudiziarie

I precedenti: i “casi” Blurred Lines e Photograph

La decisione giunge a decisioni opposte rispetto al famoso precedente statunitense che ha riguardato l’opera “Blurred Lines” di Pharrell Williams, Robin Thicke e T.J.

Il 21 marzo 2018 la Corte d’Appello del Ninth Circuit (California) ha infatti confermato la precedente decisione con cui una giuria aveva ritenuto “Blurred Lines” in violazione della canzone “Got to give up” di Marvin Gaye, ed ordinato che i convenuti versassero agli eredi di Gaye oltre 5 milioni di dollari sulle somme fino ad allora guadagnate (circa la metà del totale, quindi), e poi una royalty del 50% su tutti i guadagni futuri. Peraltro, la questione della copiatura di opere musicali è sempre più frequente nel contesto della produzione musicale online, ove ogni giorno migliaia di nuove opere vendono caricate su Internet, senza contare poi la circostanza che grazie alla nuova strumentazione informatica ed all’intervento dell’Intelligenza Artificiale è possibile creare un numero esponenziale di canzoni in tempi brevissimi. Lo stesso Ed Sheeran è stato infatti coinvolto, prima della questione “Shape of You”, in una precedente causa statunitense, che ha riguardato la canzone “Photograph”.

La vertenza si è conclusa nel 2017 con una transazione, in cui Ed Sheeran ha versato 5,4 milioni di dollari all’autore dell’opera che sarebbe stata copiata (“Amazing”), e ha accettato di pagare per il futuro una percentuale pari al 35% dei suoi compensi. Insomma, si tratta di un mercato dove da un lato gli spazi creativi sono limitati e le somiglianze fra le opere molto comuni, e dall’altro lato le canzoni di successo raggiungono un’enorme ampiezza di diffusione, e altrettanto astronomici guadagni.

Plagio e accesso all’opera copiata

Così, sempre più autori (talvolta conosciuti, talvolta ignoti) possono sentirsi spinti ad agire per la presunta violazione delle loro opere musicali, nella speranza di ottenere maggiore notorietà ed anche uno share dei guadagni ottenuti dalla controparte. In realtà, tuttavia, perlomeno in Europa le chance di successo non sembrano particolarmente alte, perché a chi agisce in giudizio spettano oneri probatori particolarmente alti, ossia – da un lato – la prova dell’originalità della propria opera, che spesso viene messa in questione, sostenendo che essa attinga ad un precedente patrimonio culturale comune, nonché – dall’altro lato – l’evidenza che vi sia stato effettivamente un plagio. Uno degli elementi più importanti per quanto riguarda la giurisprudenza anglosassone (che è tuttavia molto più discutibile nell’ordinamento italiano, come vedremo in seguito) riguarda la circostanza dell’accesso del preteso copiatore all’opera copiata. Una volta, infatti, che si sia dimostrato tale accesso, è difficile sostenere che le somiglianze contenute nell’opera successiva possano essere causali (una cd. coincidenza creativa): nel caso di “Blurred Lines” la Corte ha infatti dato particolare rilevanza alla circostanza che Pharrel e gli altri autori avessero ammesso di conoscere la precedente opera di Marvin Gaye (anche se probabilmente le conclusioni non sarebbero cambiate anche senza questa ammissione, vista la notorietà dell’artista e della sua produzione musicale).

La questione si pone diversamente invece per canzoni meno note, proprio come nel caso di “Oh Why”. A questo proposito il giudice Zacaroli è stato molto chiaro nel sostenere che gli autori di quest’opera non avessero provato adeguatamente l’accesso di Ed Sheeran alla stessa, solo perché si trattava di brano musicale disponibile su Internet. Il giudice ha infatti affermato che decine di migliaia di nuove canzoni sono caricate su Internet ogni giorno, così che il semplice caricamento delle stesse non è sufficiente a provare l’accesso o la possibilità dell’accesso, ed è quindi necessario provare ulteriori circostanze, come la conoscenza specifica o almeno la notevole diffusione del brano a livello di pubblico in generale.

Quindi, anche se i mezzi informatici consentono a un numero molto alto di autori di rendere disponibili le proprie opere con mezzi informatici, non per questo si può ritenere che queste ultime siano effettivamente conosciute, con la conseguenza che resta primario valutare il grado di originalità di ogni singola opera ed il grado di somiglianza fra questa e la sua presunta copia. Quanto più infatti un’opera sia originale, tanto più facile sarà individuare una violazione anche quando le somiglianze siano limitate; al contrario, quando l’opera è semplice e utilizza elementi comuni, anche un numero ampio di somiglianze potrà non essere sufficiente a ritenere la contraffazione, perché si potrebbe trattare di riprese di un patrimonio comune in sé non più monopolizzabile da alcuno.

Cosa sarebbe successo se la controversia si fosse svolta in Italia

Riguardo a “Shape of You” e “Oh Why”, il giudice Zacaroli ha ritenuto che, sebbene vi fossero delle somiglianze tra “Oh Why” e il ritornello “Oh I” di “Shape of You”, ci fossero anche delle differenze significative, e che in generale dall’analisi degli elementi musicali, del processo di scrittura e dell’evoluzione della frase si potessero trarre prove convincenti che la frase “Oh I” avesse avuto origine da fonti diverse da “Oh Why”. Cruciale è stato proprio il fatto che il giudice ha ritenuto non provato l’accesso di Sheeran a “Oh Why”, e conseguentemente l’eventuale esistenza di somiglianze doveva essere attribuita ad una coincidenza creativa.

Ma se la controversia avesse avuto luogo in Italia, che cosa sarebbe avvenuto? La conclusione sarebbe probabilmente stata la medesima, anche se su basi diverse. In primo luogo, nel nostro ordinamento la difesa basata sulla “coincidenza creativa” ha poco spazio. I giudici tendono a svolgere un esame di tipo oggettivo, ed a verificare quindi se:

  • l’opera di cui si afferma la violazione sia effettivamente creativa, e quindi proteggibile (ed in quali parti), sulla scorta di un criterio di novità oggettiva (l’opera non deve appartenere al precedente stato dell’arte),
  • se l’opera che si assume in violazione riprenda effettivamente le parti proteggibili dell’opera asseritamente violata.

Nel fare questo tipo di esame le Corti si avvalgono normalmente di esperti musicologi, dalle cui analisi dipende in larga parte l’esito del giudizio. In genere, tuttavia, quando si tratta di musica leggera o pop l’esito di queste analisi si risolve nella negazione della tutela all’opera musicale o al suo frammento, dal momento che gli esperti e le Corti tendono a ritenere che vi sia una ripresa di elementi dal patrimonio musicale precedente, che quindi entrambe le opere litigiose si limitano a riecheggiare, senza che sia possibile determinare l’esistenza della copiatura da una o dall’altra.

I paletti della Corte Suprema e della Corte Ue

Benché questa sia la tendenza nell’ambito delle cause aventi ad oggetto brani di musica leggera o pop, la Suprema Corte (come la sua decisione 17795/2015) ha sottolineato che non si possa escludere la protezione solo perché la questione riguarda un brano di musica leggera, ed anzi ha sottolineato che in questo caso l’esame relativo al plagio debba essere condotto secondo criteri propri, diversi da quelli applicabili alla musica classica o di altro genere, dovendosi dare importanza alle “sostanziali similitudini melodiche, alcune analogie di carattere ritmico e cospicue similitudini nel trattamento armonico”. È importante infine ricordare che in ogni caso la semplice campionatura musicale è consentita: su questo punto è intervenuta la Corte di giustizia UE, che con la decisione del 28 luglio 2019, in causa C-476/17 (Pelham GmbH, Moses Pelham e Martin Haas / Ralf Hütter e Florian Schneider-Esleben) ha ritenuto, con riferimento al sampling, che “non vi è «riproduzione» quando un utente, esercitando la propria libertà delle arti, prelevi un campione sonoro da un fonogramma al fine di integrarlo, in forma modificata e non riconoscibile all’ascolto, in un nuovo fonogramma”. Inoltre, la Corte ha anche affermato che l’utilizzo di un campione sonoro prelevato da un fonogramma e che consente di identificare l’opera da cui tale campione è stato estratto può, a determinate condizioni, costituire una citazione (consentita dall’ordinamento sulla base di un’eccezione al diritto d’autore), purché, in particolare, detto utilizzo abbia l’obiettivo di interagire con l’opera in questione”.

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