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Nightshade: difende i diritti degli artisti dall’IA, ma ci riguarda tutti



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Nightshade utilizza il data poisoning per ingannare i modello AI nell’interpretazione delle immagini. Le reazioni del settore tecnologico sono contrastanti, ma l’innovazione promette di aprire un nuovo capitolo nel dialogo tra protezione dei diritti e privacy

Pubblicato il 27 nov 2023

Andrea Viliotti

Innovation Strategist



IA intelligenza artificiale ai generativa e copyright

In un mondo dove l’intelligenza artificiale sta rimodellando i contorni della creatività, emerge un attore di spicco nel panorama della difesa dei diritti intellettuali: il sistema Nightshade. Creato dalla mente ingegnosa di Ben Zhao, docente di informatica all’Università di Chicago, Nightshade si erge come una sentinella nell’effervescente universo dell’arte digitale, incarnando una sorta di contrappeso nell’attuale conflitto di appropriazione tecnologica che minaccia le basi stesse del diritto d’autore.

Nightshade: the New Tool to Poison AI

Le aziende tecnologiche reagiscono con interesse e cautela a questa innovazione che promette di rivoluzionare il settore. Ma non si tratta solo di un cambiamento nell’ambito legale: si apre una nuova era di consenso e di dialogo tra le parti coinvolte, con profonde ripercussioni sulla privacy e sulla gestione dei dati personali di tutti noi.

Se l’IA si appropria delle opere degli artisti

Il tumulto si concentra nell’industria delle intelligenze artificiali generative di immagini, con aziende come Stability AI, Midjourney e OpenAI al centro di un vero e proprio uragano, innescato dalla comunità artistica a livello globale. La critica pungente di questi artisti punta il dito contro l’utilizzo non autorizzato delle loro opere per l’allenamento degli algoritmi di generazione di immagini, un’accusa non di poco conto.

Questo “scraping” massivo e indiscriminato di contenuti artistici dal web ha dato vita a un paradosso per gli artisti, che si ritrovano a dover competere con copie artificiali dei propri lavori, prive di ogni autorizzazione. La risposta della comunità artistica varia grandemente: alcuni hanno preso carta e penna redigendo manifesti di protesta come quello del movimento “No AI Art”, che chiede l’eliminazione delle opere generate dalle AI e lo stop al loro sviluppo. Altri hanno intrapreso azioni legali collettive, come quelle in atto in California, con lo scopo di rivendicare i diritti d’autore contro le colossali corporazioni di AI generative.

Una questione di diritti umani

Ma questa non è solo una battaglia legale; è una questione di diritti umani, come sottolinea la costituzione dell’European Guild for Artificial Intelligence Regulation (Egair), un collettivo di artisti europei che si ergono in difesa di ciò che percepiscono come una lesione dei loro diritti fondamentali. La lotta degli artisti trascende la protezione delle proprie creazioni: simboleggia una sfida ben più vasta che riguarda il concetto stesso di proprietà intellettuale nell’era digitale e l’influenza delle intelligenze artificiali sulla creatività umana e sul mercato dell’arte.

Queste vicende segnano un punto di svolta decisivo nella relazione tra arte e tecnologia, evidenziando l’urgenza di stabilire nuove norme e meccanismi a tutela della proprietà intellettuale, assicurando al contempo un’equa compensazione per gli artisti in un ecosistema digitale in costante metamorfosi.

Nightshade: una svolta tecnologica

Attraverso il laboratorio di Ben Zhao, prende forma Nightshade, una frontiera innovativa nel campo della difesa dei diritti degli artisti al cospetto dell’avanzata dell’intelligenza artificiale. Con questo strumento, gli artisti acquisiscono la capacità di imprimere modifiche impercettibili ai pixel delle loro opere, prima di condividerle in rete, una mossa tattica che si pone come un’astuta contromisura nel gioco del gatto e del topo con le grandi aziende di AI.

Pensate al curioso scenario in cui un’opera d’arte digitale, sottoposta al trattamento di Nightshade, inganni un modello AI ad interpretare erroneamente le immagini: cani scambiati per gatti, automobili per mucche, instillando confusione nel processo di apprendimento dell’algoritmo. Questa tecnica, conosciuta come “data poisoning“, aspira a ribaltare le dinamiche di potere attuali, ponendosi come un argine alla libera appropriazione delle creazioni artistiche.

La potenza di Nightshade è stata testimoniata da ricerche che ne hanno svelato l’effetto sui modelli di Stable Diffusion; già con un insieme di 50 immagini “contaminate”, i modelli hanno iniziato a produrre risultati distorti, e con un set di 300, hanno manifestato confusione sostanziale.

In parallelo, la squadra di Zhao ha dato vita a Glaze, un ulteriore baluardo per camuffare il tocco unico degli artisti e sottrarlo agli occhi avidi delle corporazioni. Glaze e Nightshade, in simbiosi, promettono una difesa ancora più solida dell’identità artistica. Sfruttando una lacuna nella sicurezza delle AI generative, che si nutrono di dati racimolati dal web, gli artisti possono ora affidare le loro creazioni a Glaze, applicando poi Nightshade come scudo prima che i tentacoli delle AI possano appropriarsi del loro lavoro.

Nonostante l’efficacia di Nightshade nel disseminare una sorta di “veleno digitale”, permangono dubbi sulla possibile manipolazione malevola di tale tecnica. Zhao, però, rassicura: sarebbero necessarie migliaia di immagini alterate per infliggere danni concreti ai modelli AI di maggior calibro. Esperti del settore, come Gautam Kamath dell’Università di Waterloo, pongono l’accento sull’importanza di queste scoperte, evidenziando come le vulnerabilità si magnificano proporzionalmente alla potenza dei modelli AI.

In questo contesto, voci autorevoli come quella di Junfeng Yang della Columbia University prospettano che strumenti come Nightshade potrebbero indurre le aziende di AI a mostrare maggiore considerazione per i diritti d’autore, forse fino a condurle a riconoscere le royalties con minor resistenza. Nightshade e Glaze non solo custodiscono il valore dell’opera artistica, ma potrebbero anche essere il catalizzatore di una trasformazione più estesa nelle pratiche di rispetto della proprietà intellettuale nel dominio delle intelligenze artificiali generative.

La reazione delle corporazioni

Le mosse strategiche delle corporazioni tecnologiche, con in prima fila OpenAI e Stability AI, rispetto alla delicata questione dell’utilizzo non autorizzato di opere d’arte per alimentare i loro sofisticati modelli di intelligenza artificiale, disegnano un panorama in rapida evoluzione. Alla luce di un contesto segnato da preoccupazioni in crescita e da battaglie legali, OpenAI ha introdotto nuove politiche per permettere agli artisti di sottrarre le proprie creazioni dal processo di addestramento dei modelli AI, un gesto che sembra ammettere, seppur non apertamente, la gravità delle implicazioni sollevate.

Nell’ambito di queste nuove direttive, OpenAI ha lanciato la versione aggiornata di DALL-E 3, dotandola di funzionalità che consentono ai creatori di bloccare l’utilizzo delle loro opere. Inoltre, la piattaforma ha impostato dei filtri per evitare la generazione di immagini che emulino lo stile di artisti ancora in vita, una misura di tutela che si affianca ai meccanismi di esclusione già citati.

Ciononostante, le soluzioni avanzate non paiono definitive. L’opera pubblicata prima del 2023 potrebbe essere già stata assorbita nei vasti archivi di dati AI e sarebbe oneroso per le aziende riadattare i loro sistemi per accomodare le richieste individuali di rimozione. A questo si aggiunge che OpenAI ha già affrontato azioni legali, tra cui una causa collettiva di autori che imputano all’azienda la violazione del diritto d’autore per aver addestrato il suo chatbot ChatGPT con le loro opere.

Per quanto riguarda Stability AI, i contorni della risposta a tale problematica appaiono meno nitidi. Non emergono misure paragonabili a quelle adottate da OpenAI, lasciando un certo vuoto informativo su come la compagnia intenda navigare le acque tumultuose delle rivendicazioni artistiche.

Nel frattempo, le entità tecnologiche, strette tra la spinta all’innovazione e la pressione per la salvaguardia dei diritti d’autore, continuano a sondare la via per un compromesso sostenibile.

Una nuova era di consenso

L’arte e la sua tutela nell’epoca digitale si stanno evolvendo sotto la spinta di una nuova consapevolezza collettiva. Artisti come Autumn Beverly, il cui lavoro è stato assorbito nei vasti dataset di immagini come LAION-5B senza il loro consenso, stanno innescando un cambiamento che va oltre la semplice opt-out. La loro richiesta è chiara: un modello che ponga il consenso preventivo al centro del processo. La loro voce si sta facendo strada non solo nelle comunità di artisti, ma anche nelle aule legislative.

Esemplare è il caso italiano, dove nuove regole sull’adeguata remunerazione e trasparenza per autori e interpreti sono state introdotte, seguendo la scia della Direttiva UE sul Copyright del Mercato Unico Digitale. Queste normative impongono ai detentori di licenze di fornire agli artisti informazioni dettagliate sull’uso delle loro opere e garantiscono una remunerazione proporzionata al valore economico dei diritti ceduti.

Il fermento per una maggiore equità e trasparenza è tangibile anche sul palcoscenico globale, dove collettivi e organizzazioni si mobilitano per la difesa dei diritti degli artisti nel dominio digitale. Entità come Creative Commons lavorano incessantemente per un uso etico e legale delle opere creative, promuovendo licenze che specificano chiaramente quali diritti gli artisti si riservano e quali concedono al pubblico.

Questo impulso verso un nuovo accordo tra creatori e piattaforme AI potrebbe segnare un’epoca di svolta, con una maggiore enfasi su responsabilità e conformità legale. Ciò potrebbe tradursi nella necessità di meccanismi verificabili per ottenere il consenso degli artisti e nel dovere di assicurare una giusta compensazione per l’uso delle loro opere nell’addestramento dei modelli AI.

La transizione verso un modello basato sul consenso rappresenta una sfida cruciale per l’industria dell’intelligenza artificiale, ma anche un’opportunità per ridisegnare il rapporto tra tecnologia e proprietà intellettuale in un modo che sia equo e sostenibile per tutti i soggetti coinvolti.

Oltre l’arte: la privacy di ognuno di noi

Le tensioni tra il mondo artistico e le emergenti piattaforme di intelligenza artificiale gettano luce su una problematica molto più ampia, che interseca il diritto alla privacy e l’integrità dei dati personali. Le ramificazioni di questo dibattito si diffondono ben oltre la sfera dell’arte, infiltrandosi in ogni angolo della nostra esistenza digitale. È un’epoca in cui le informazioni private non solo vengono estratte e messe in circolazione, ma anche modellate e adattate in forme nuove e impreviste, spesso lontane dalla volontà di chi le ha generate.

Immaginiamo, per un attimo, le ripercussioni di questa dinamica attraverso il caso emblematico di Everalbum, che ha attirato l’occhio scrutatore della Federal Trade Commission. Qui, la questione si spinge oltre la semplice eliminazione di dati biometrici acquisiti nell’ombra del consenso: tocca le fondamenta degli algoritmi stessi, quei complessi intricati di logica e matematica che avevano tratto nutrimento da quelle informazioni. È un’eco di quanto già accadde con Cambridge Analytica, con la stessa FTC che richiese di cancellare non solo i dati, ma ogni filamento di conoscenza da essi tessuto.

E sebbene vi siano regolamenti che invocano una responsabilità etica nell’uso dell’intelligenza artificiale, il percorso verso una sua interpretazione legale e applicazione concreta è ancora costellato di incertezze e dibattiti. Si discute ancora se possa esistere un criterio universale per saggiare l’affidabilità e la giustezza dell’AI nei suoi molteplici scenari applicativi.

Alla luce di ciò, la pratica di attingere dati personali per alimentare algoritmi di apprendimento automatico senza un chiaro assenso solleva questioni inquietanti. C’è il rischio concreto che senza una tutela efficace, le nostre informazioni più private, dal banale post sui social fino ai dettagli più riservati, possano essere manipolate da algoritmi AI per scopi che non abbiamo autorizzato, né tantomeno immaginato.

In questo scenario, strumenti innovativi come Nightshade rappresentano non solo una promessa ma anche una testimonianza del bisogno di un’azione più decisa e articolata. Si apre quindi la strada verso una regolamentazione che sia più incisiva, che rafforzi il quadro legale e imponga una governance etica dei dati personali e dell’intelligenza artificiale, in modo da garantire che ogni avanzamento tecnologico sia coniugato con il rispetto dei diritti fondamentali di ogni individuo.

Proteggere la dignità e l’integrità degli individui dall’IA: ci riguarda tutti

La frontiera digitale è in tumultuosa evoluzione, e il settore artistico, tra i più sensibili alle onde di cambiamento indotte dall’intelligenza artificiale, si trova a negoziare il proprio spazio in questo nuovo contesto. La protezione dei diritti d’autore nell’epoca digitale e AI-driven diviene un tema ancor più pressante alla luce delle recenti iniziative di governance transatlantica. Il Regno Unito e gli Stati Uniti, con le loro recenti mosse verso una regolamentazione dell’AI, offrono un quadro promettente per riconsiderare l’etica e la legalità che dovranno informare il futuro tecnologico.

Se da un lato programmi come Nightshade e Glaze sono esempi di come la tecnologia possa essere adattata per salvaguardare la creatività, dall’altro, la creazione di istituti come il Primo Istituto Globale per la Sicurezza dell’AI e il Consorzio AI Safety Institute rappresentano passi concreti verso un sistema che prioritizzi la sicurezza, la trasparenza e il consenso informato. In un ecosistema digitale in rapida espansione, la dignità e l’integrità degli individui, sia come creatori che, come consumatori, devono essere protette da un’evoluzione tecnologica responsabile, che valorizzi l’ingegnosità umana anziché sfruttarla.

Conclusioni

La soluzione definitiva alla questione dei diritti d’autore nell’era dell’AI e della digitalizzazione non risiede unicamente in nuove forme di difesa, ma in un cambio di paradigma che ponga al centro non solo l’innovazione tecnologica, ma anche una responsabilità sociale condivisa. Un tale approccio dovrà necessariamente integrare la regolamentazione internazionale, la protezione della proprietà intellettuale e il rispetto per l’individuo, tracciando così un cammino verso un futuro in cui l’intelligenza artificiale sia, effettivamente, al servizio dell’umanità.

In sintesi, il dibattito sulla protezione dei diritti d’autore nell’era dell’intelligenza artificiale si arricchisce e si complica di fronte alle iniziative di regolamentazione globale che stanno prendendo forma. L’arte, e la creatività in generale, richiedono una tutela che sia in grado di evolversi con la stessa rapidità della tecnologia che minaccia di infrangere le tradizionali barriere di protezione. Nel contesto attuale, l’armonizzazione delle regolamentazioni, l’etica della responsabilità sociale e il rispetto per l’autonomia creativa diventano elementi fondamentali di un’innovazione che non sia solo tecnologica, ma anche umanamente sostenibile.

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