I dati negativi di Netflix, appena riportati dall’azienda, sono il segnale di un terremoto che riguarda tutto il settore. Le fortune per lo streaming mondiale sono cambiate e ora si va alla ricerca di nuovi equilibri.
Netflix ha riportato ieri di aver perso per la prima volta abbonati, 200mila, e prevede di perderne 2 milioni nel secondo trimestre.
Streaming, dalla gloria del lockdown alla crisi
Eppure sembra appena passato il 2020, anno che rappresenta un punto di svolta nella storia relativamente breve della trasformazione digitale del sistema audiovisivo, con la pandemia che ha dato un impulso straordinario alla transizione dal broadcasting al video streaming e ai servizi a richiesta tipo Netflix.
Il 2022 invece, nella “nuova normalità” del post pandemia, pone nuovi e per certi versi inattesi interrogativi, mettendo addirittura in dubbio che questo fenomeno possa continuare ad affermarsi anche in futuro.
E’ innegabile infatti come i fattori emergenziali legati al Covid-19 abbiano contribuito alla vasta popolarità dello SVOD negli ultimi due anni, ma oggi questa tendenza pare arrivata al suo culmine, iniziando quello che molti analisti hanno già annunciato come il lento ineluttabile declino del video on demand.
Streaming, il 2022 è l’inizio della sofferenza: ecco perché
Due fenomeni, in questa prima parte del 2022, hanno contribuito ad alimentare questa previsione.
Mercato maturo e crisi economica
Il primo viene dal Regno Unito dove, nel primo trimestre del 2022, il numero di persone abbonate ad almeno un servizio video è sceso di 1,51 milioni. Un terzo di queste perdite, secondo la società di ricerche di mercato Kantar, sarebbero da attribuire alle famiglie che cercano di tagliare i costi a fronte dell’aumento del costo della vita e del forte incremento dei prezzi al dettaglio. Le famiglie più giovani sono state particolarmente colpite dalla crisi economica che ha portato la penetrazione dei servizi di streaming a scendere al 74,6% alla fine di marzo 2022, rispetto all’apice del Q4 2021 del 75,8%.
Gli abbonamenti erano aumentati drammaticamente durante il lockdown da Covid-19, poiché le famiglie erano costrette a cercare l’intrattenimento a casa, aiutate da diversi nuovi lanci anche promozionali a costo zero.
Adesso, nel primo trimestre 2022, solo il 3% delle famiglie britanniche ha sottoscritto un nuovo prodotto di streaming video, rispetto al 4,2% nello stesso periodo del 2021. Il 58% delle famiglie (16,9 milioni) ha almeno un abbonamento a pagamento, in calo di 215 mila unità sempre su base trimestrale. La percentuale di consumatori che pianificano di cancellare i servizi SVOD e che dichiarano che il motivo principale è “voler risparmiare” è salita al livello più alto di sempre, al 38%, rispetto al 29% del Q4 2021.
Secondo i ricercatori di Kantar “l’evidenza di questi risultati suggerisce che le famiglie britanniche sono ora proattivamente alla ricerca di modi per risparmiare, e il mercato SVOD sta già vedendo gli effetti di questo. Di conseguenza è ora più critico che mai per i fornitori SVOD dimostrare ai consumatori come i loro servizi siano indispensabili in casa, in quello che è diventato ormai un mercato fortemente competitivo”.
La crisi di Netflix
Accanto però alla variabile prezzo, altri elementi emergono, in prospettiva ancor più preoccupanti. Il principale protagonista in questo caso è proprio il market leader Netflix, con oltre 220 milioni di abbonati nel mondo, che per la prima volta dal lancio del servizio online nel 2010 perde abbonati. Già nell’ultimo trimestre del 2021 aveva suscitato le preoccupazioni degli investitori e un forte calo in borsa per una crescita di “appena” 2,5 milioni di abbonati rispetto ai 2,8 milioni previsti, soprattutto se rapportati al periodo di pandemia e lockdown in cui cresceva fino a 15 milioni a trimestre (e 36 milioni complessivi nel solo 2020).
Adesso la notizia è che Netflix ha chiuso il trimestre in calo di duecentomila abbonati e prevede addirittura per il secondo trimestre un’ulteriore diminuzione di circa 2 milioni di abbonati. Il tutto in un contesto nel quale da qualche mese la società di Los Gatos cerca di trovare altre strade per far fronte a una situazione nella quale la strategia perseguita finora, basata sostanzialmente su una “crescita infinita” della base abbonati che favoriva una sempre maggiore capitalizzazione e un accesso al credito per finanziare produzioni fino 3 volte superiori al fatturato annuo della società, pare non poter funzionare più.
Tipicamente, infatti, per chi entra in un nuovo mercato la scelta di un modello di business (in questo caso l’abbonamento SVOD) è determinata dalle strategie di prezzo dell’operatore dominante e da come posizionarsi rispetto ad esse. Nel nostro caso però, a differenza di quello che ci si aspetterebbe, non è tanto il servizio che determina il prezzo, quanto i contenuti di cui si dispone e che vanno a costituire l’offerta agli utenti. Perché la vera partita è quella dei contenuti e qui nessuno, tantomeno Netflix, può permettersi battute a vuoto.
In tal senso va ricordato come superata la diffidenza di molti e l’ostilità di Hollywood, Netflix è stato per anni l’unico servizio in streaming a livello globale. Negli ultimi tempi però la concorrenza si è fatta sempre più agguerrita, frutto anche di processi di consolidamento e di diversificazione di grandi attori globali nei media (Amazon, Apple), per cui continuare a crescere in un mercato così affollato e con rivali così agguerriti e con grandi disponibilità di spesa è sempre più complicato.
Lo scenario economico dell’audiovisivo online
Il valore complessivo della spesa in contenuti audiovisivi a livello globale nel 2021 è stato di 220 miliardi di dollari. Si tratta di un incremento del 14% sul 2020, secondo Ampere Analysis. A trainare la crescita sono certamente i servizi SVOD, il cui investimento complessivo ammonta a 50 miliardi di dollari, per un incremento del 20% sul 2020 e di oltre il 50% dal 2019. Dietro questo dato, il lancio di nuove piattaforme, ma anche la spesa di attori quali Apple TV+, Disney+, HBO Max, Peacock e Paramount+, che complessivamente hanno speso oltre 8 miliardi di dollari nell’ultimo anno.
Fonte: Ampere Analysis
A trainare la spesa globale in contenuti c’è Comcast, con un investimento pari a 22,7 miliardi. Segue Disney con 18,6 miliardi. La cifra comprende anche i diritti sportivi, che rappresentano un terzo della spesa per entrambi i big. Netflix è certamente tra gli attori principali, contando per il 30% degli investimenti in contenuti svod e il 6% degli investimenti globali con 14 miliardi. Questa cifra è anche la più alta per contenuti a utilità ripetuta come film e serie.
La spesa in contenuti è destinata a crescere ulteriormente: Ampere Analysis prevede infatti una cifra superiore ai 230 miliardi di dollari nel 2022, in particolare grazie ai servizi svod. Nell’arena dell’on demand, fattori chiave sono non solo la spesa in contenuti originali negli Usa, ma soprattutto i mercati globali, dove Netflix investe più di tutti, particolarmente in Europa, con grandi e numerose produzioni locali.
I segnali preoccupanti
Gli ultimi dati sono in tal senso molto preoccupanti, non solo perché il numero complessivo di abbonati per la prima volta diminuisce ma anche perché prevedibilmente e contestualmente aumenta anche il tasso di abbandono (churn) degli abbonati attuali, che in situazione di forte concorrenza arriva a livelli drammatici, dal 15% al 30% della base abbonati. Questi sono tutti segnali di un mercato SVOD competitivo e in maturazione.
Questo può essere molto problematico per i fornitori SVOD, che spendono in acquisizione di ogni singolo abbonato molto più che per trattenerlo e fidelizzarlo. Man mano che il mercato giunge a maturazione, come è ormai il modello SVOD, per continuare a crescere e investire è necessario sviluppare diverse innovazioni del modello di business e nuovi percorsi di redditività.
In questo contesto, Netflix ha attribuito correttamente la perdita subìta alla concorrenza sempre più aggressiva nel mercato dello streaming, a cui si aggiungono la cessazione delle attività in Russia a seguito della guerra in Ucraina (700 mila abbonati) e alla condivisione delle password (oltre 100 milioni dei 220 milioni di abbonati secondo le stime della società), che consente come noto a più utenti di poter utilizzare lo stesso servizio, un po’ come sostenuto dalla stessa DAZN per giustificare il minor numero di abbonati all’offerta sportiva in Italia in seguito all’acquisizione dei diritti della Serie A.
La risposta di Netflix: tre strategie
- Per questo motivo Netflix ha annunciato ufficialmente che agirà in questo senso, avendo iniziato nei mesi scorsi a testare in alcuni mercati dell’America Latina una diversificazione di prezzi legata a un utilizzo multiplo, non familiare, degli account.
- Al contempo, è iniziata anche una strategia di diversificazione dei contenuti, che senza andare a competere direttamente con altri operatori SVOD che hanno intrapreso precedentemente questa strada, soprattutto con riferimento allo sport e ai canali lineari (Amazon, Disney, Discovery), con il recente ingresso nel mercato dei video game.
- Infine, e questo è peraltro un tema ricorrente, torna a farsi strada l’ipotesi di un ricorso alla pubblicità, che rappresenterebbe una radicale messa in discussione di un modello incentrato sul consumatore tanto caso al fondatore Reed Hastings, che è l’unico soggetto che ha finanziato fin qui i servizi di Netflix.
Le prospettive future: pubblicità, social media e metaverso
Di fatto dunque se le cause sono chiare, i rimedi proposti non sembrano ancora tali da scongiurare la crisi del gigante dello streaming.
Infatti da un lato aumentare il prezzo dell’abbonamento per chi condivide “non correttamente” le password non necessariamente comporta un significativo incremento delle entrate, potendo invece in parte incentivare proprio quel churn così elevato e ultimamente in forte crescita che si vuole al contrario ridurre. Inoltre questo comporterebbe anche un numero minori di utenti che vedono i servizi, dando minori possibilità alla pubblicità di produrre i suoi effetti. In altre parole le soluzioni potrebbero essere meno efficaci di quanto ci si aspetta.
Inoltre, e qui il discorso si estende a tutto il mercato dei contenuti audiovisivi e non solo a Netflix, si assiste da qualche mese a un cambio di paradigma, con i servizi online finanziati dalla pubblicità (AVOD, FST) che hanno iniziato a trovare il loro pubblico, offrendo accesso “gratuito” ai contenuti in cambio della disponibilità degli utenti a guardare gli annunci pubblicitari. Questi nuovi servizi competono per i budget pubblicitari e mantengono la promessa di sfruttare i dati degli utenti per un targeting migliore e un’offerta più personalizzata, motivo fondamentale per cui il mercato si sta spostando rapidamente verso di essi.
Sia il boom dell’e-commerce che il cambiamento dei contenuti video online potrebbero ulteriormente contribuire e in maniera significativa ai ricavi dell’AVOD, poiché i consumatori trascorrono molto più tempo utilizzando questi servizi, spingendo gli inserzionisti a spostare di conseguenza i propri budget verso l’online. Pertanto, il mercato delle inserzioni online è in forte crescita e mantiene molte delle promesse in un’epoca in cui il settore dell’intrattenimento deve lasciare la zona di comfort del mercato di massa verso un mercato più personalizzato, centrato sull’utente. Come il settore si trasforma, così fa il mercato pubblicitario.
A questo si aggiunge un ulteriore fenomeno, legato all’adozione di strategie e modelli di business, il cosiddetto freemium, che mescola le offerte AVOD e SVOD al fine di massimizzare le opportunità di ricavi. Una delle ragioni per cui realtà come HBO Max o Disney+ scelgono modelli ibridi AVOD/SVOD è certamente la diversificazione dei ricavi, insieme alla possibilità di attirare abbonati con prezzi più bassi. Anche questo dovrebbe produrre effetti più consistenti e favorire la crescita del settore nei prossimi anni.
Infine c’è un ultimo possibile drastico cambio di paradigma da considerare.
Le generazioni più giovani che per prime hanno adottato i servizi video a pagamento (SVOD) si stanno ora spostando su quelle supportate dalle pubblicità (AVOD), ma soprattutto hanno accresciuto l’impegno e il coinvolgimento nei social media, oltre a utilizzare i videogiochi come una delle loro forme preferite di intrattenimento.
Allo stesso tempo, rispetto ai “tradizionali” servizi ad abbonamento sono più propensi a cambiare fornitore (churn). Questo al contempo mette i fornitori di video in streaming e gli studios in una posizione più complicata, in prospettiva futura. Stanno spendendo somme enormi per l’acquisizione e lo sviluppo dei contenuti. Anche ora, più investitori e azionisti si stanno rendendo conto che il numero di abbonati è solo una componente della redditività per SVOD, e non più una garanzia.
Mentre le aziende SVOD spendono miliardi di dollari per raggiungere un pubblico sempre più frammentato e distratto, i migliori servizi di social media stanno intrattenendo miliardi di utenti con flussi quasi infiniti di feed video altamente personalizzati generati dagli utenti che costano poco o niente per produrre e sono gratuiti per gli utenti.
Conclusioni
Rispetto ai social media, lo streaming video assomiglia ancora molto alla TV, mentre una nuova domanda dei consumatori del cosiddetto metaverso comincia a prendere corpo. Per un maggior numero di persone, e specialmente per le generazioni più giovani, l’intrattenimento è sempre più sociale, interattivo, personalizzato e immersivo, portando dentro caratteristiche del mondo reale e amplificandole e scatenandole con le infinite possibilità del digitale. Se facciamo un passo indietro, i social media e il social gaming assomigliano già molto di più ai metaversi che allo streaming video.
Se così tanto capitale viene messo in campo dalle più grandi piattaforme del pianeta per dare vita al metaverso, e se le giovani generazioni sono già inclini verso quel futuro, abilmente supportate dalla continua innovazione dei social media e del social gaming, cosa ne sarà in futuro dei fornitori di video streaming?
(L’articolo contiene anticipazioni del rapporto ITMedia Consulting VOD in Europe: 2022-2025, in uscita a maggio)