Il tema della legittimità dell’Art. 195-bis del decreto Rilancio 34/2020[1] che attribuisce all’AGCOM poteri interdittivi nei confronti dei contenuti abusivi messi a disposizione degli utenti attraverso l’impiego di fornitori di servizi della società dell’informazione che utilizzano, anche indirettamente, risorse nazionali di numerazione (le c.d. piattaforme di messaggistica istantanea), ha riproposto l’annosa questione dei limiti imposti dalla nostra Costituzione alle attività di prevenzione e di blocco affidati all’autorità amministrativa avente funzioni di vigilanza in base alle norme del D. Lgsl. 70/2003 e delle altre disposizioni di legge nazionali e comunitarie, già oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale nella sentenza 247/2015[2].
Proprio in questi giorni Agcom ha concluso la consultazione sullo schema di proposte di modifica al regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica alla luce del decreto.
Normativa copyright e libertà di espressione
I ripetuti tentativi operati dagli enti esponenziali rappresentativi degli utenti della rete di ricondurre le violazioni on-line nell’ambito della libertà di espressione tutelata dall’art. 21 della nostra Costituzione, impongono ora un esame di tale norma che verrà qui svolta anche alla luce del correlato art. 15[3], il quale pone una distinzione netta fra la comunicazione fra privati e quella attuata verso un pubblico indeterminato, tramite i media di comunicazione, in un dettato che risulta essere oltretutto pienamente conforme a quello dell’art. 10 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo[4].
Infatti, come è stato autorevolmente scritto[5]: “ai fini dell’inquadramento costituzionale [del diritto di libertà di espressione] è lo scopo della comunicazione, che rimane di tipo diffusivo nonostante il carattere chiuso del mezzo tecnico utilizzato (…)” e tale scopo rileva ai fini della distinzione fra il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero (Art. 21) e il diritto alla libertà di corrispondenza (Art. 15), i cui precetti sono posti a tutela di valori ben separati e distinti, anche nel corpo della nostra Carta costituzionale.
Questa distinzione è ulteriormente rafforzata dalla considerazione che l’art. 15 riconosce “il diritto del singolo e delle formazioni sociali di comunicare il proprio pensiero ad uno o più soggetti determinati e nel contempo, ne garantisce la segretezza.”[6] e dal fatto che in esso il concetto di “comunicazione” è rappresentato dalla “intersoggettività” della sua essenza, per cui il pensiero concepito dal soggetto “mittente” giunge alla conoscenza di una serie di soggetti determinati che ne sono “destinatari”.
Tale assunto è ampiamente riconosciuto in dottrina da autorevoli autori, secondo i quali “l’ambito oggettivo di tutela dell’art. 15 è proprio quello della comunicazione privata, che consiste sia nella corrispondenza in senso stretto sia in qualsiasi altra forma di comunicazione interpersonale”[7], ed è altresì confermato dalla medesima Corte Costituzionale, la quale ha asserito che “l’art. 15 della Costituzione – oltre a garantire la “segretezza” della comunicazione e, quindi, il diritto di ciascun individuo di escludere ogni altro soggetto diverso dal destinatario della conoscenza della comunicazione – tutela pure la “libertà” della comunicazione (…)”[8].
Se procediamo, quindi, ad una valutazione di quelli che sono il significato e la reale portata della norma costituzionale dell’art. 21 della Carta, comprendiamo che questa disposizione si riferisce, come sopra rimarcato, non al diritto di comunicare riservatamente fra privati, disciplinato dall’art. 15 della Costituzione, bensì alla divulgazione pubblica del pensiero e dell’espressione, in particolare attraverso la stampa e gli strumenti analoghi ad essa che abbiano, appunto, capacità diffusiva del pensiero e non certo valenza di disseminazione incontrollata di contenuti protetti di pertinenza di terzi.
Corte costituzionale
Questo principio è stato fortemente ribadito con la sentenza del 15 giugno 1972, n. 105, a mezzo della quale la Corte Costituzionale ha stabilito che “esiste un interesse generale alla informazione – indirettamente protetto dall’articolo 21 della Costituzione – e questo interesse implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee”. La pluralità di fonti di informazione, cui si riferisce la Corte, nulla ha a che vedere con la riproduzione e con la moltiplicazione on-line dei file contenenti opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore.
La necessità di un reciproco e bilanciato contemperamento di taluni valori fondamentali, quali quelli oggetto delle norme Costituzionali sopra esaminate, è stata altresì evidenziata nella sentenza della Corte di Giustizia della UE nel caso C-275/06 (Promusicae), ad uno con le decisioni rese dalla Corte di Giustizia nei casi C-70/10 (SABAM) e C-314/12 (UPC Telekabel), decisioni che hanno escluso la liceità della permanenza on-line di siti web, quali quelli oggetto dell’attività demandata ad AGCOM, il cui scopo precipuo sia quello di diffondere e porre abusivamente i contenuti protetti a disposizione di soggetti ben delimitati, che abbiano ad essi accesso per il tramite di particolari modalità di acquisizione del segnale con evidente scopo di lucro per i distributori abusivi[9].
Suprema corte svedese
Sul tema del bilanciamento fra diritto d’autore e diritti fondamentali si è di recente pronunciata la Suprema Corte svedese (Hogsta domstolen) con sentenza del 18 marzo 2020 (Caso T4412-19). Con tale decisione, che verteva sui limiti alla libertà di informazione (Art. 10 CEDU) e tutela del diritto d’autore in base alla Dir. 2001/29/CE, come implementata in Svezia dagli artt. 23 – 25 della legge sul Copyright, la Corte ha statuto che la deroga dei diritti esclusivi a scopo di informazione può avvenire solo in casi di particolare importanza, fermo restando che ricorrendo tale condizione potrà essere scriminata la responsabilità penale del soggetto agente ma mai quella civile per il risarcimento del danno[10].
Riprendendo il fil-rouge relativo alle norme Costituzionali interne a tutela della libertà di informazione, osserviamo come la piana lettura dell’Art. 21 della Costituzione italiana dimostri come i “padri costituenti” avessero preso in considerazione il senso letterale di quella norma, che è riferita principalmente al riconoscimento della libera manifestazione del pensiero dell’individuo inteso come uomo, comunque essa si esprima: sia per il tramite di testi destinati alla stampa che attraverso gli altri media fra inclusa la rete internet.
Quindi, nello stabilire se l’uso della Rete, fatto allo scopo precipuo di comunicare al pubblico contenuti abusivamente appropriati con provenienza da terzi, possa essere inteso quale espressione della libertà di manifestazione del pensiero, ovvero se esso configuri qualcosa di affatto diverso rispetto ai valori che la nostra Costituzione intende proteggere.
Di certo, la medesima Corte Costituzionale – con sentenza n. 110 del 1973 – ha statuito, richiamando la propria decisione n. 25 del 1968, che la protezione del Diritto d’Autore è di pubblico interesse, anche attraverso la predisposizione di norme penali per la sua tutela e che tale diritto rientra nel novero di quelli protetti dall’art. 42 della Costituzione.
Se, quindi, come la stessa Corte Costituzionale ha detto[11] “Esiste un interesse generale alla informazione – indirettamente protetto dall’articolo 21 della Costituzione – e questo interesse implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee”, questo principio trova il proprio logico contraltare nella statuizione della medesima Corte, secondo cui: “La previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non integra una tutela incondizionata ed illimitata della libertà di manifestazione del pensiero, giacché, anzi, a questa sono posti limiti derivanti dalla tutela del buon costume o dall’esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione (come questa Corte ha precisato in varie occasioni e da ultimo con la sentenza n. 20/1974)”[12].
Conformemente a tale linea interpretativa, già nel corso dell’anno precedente a quello della testé richiamata decisione (1973)[13] la Corte Costituzionale aveva sottolineato che: “É indubbio, infatti, che la Costituzione garantisce sia la manifestazione del pensiero sia la divulgazione del pensiero dichiarato. É pur vero che tale libertà non esclude possano essere disciplinate dal legislatore le modalità di esercizio del diritto, per il necessario contemperamento con altri interessi costituzionalmente rilevanti, come già più volte riconosciuto da questa Corte (Sentenze n. 129 del 1970; n. 1 del 1956; n. 48 del 1964)”.
Sul fondamento di questi principi cardine del nostro ordinamento risulta agevole procedere ora con un più approfondito esame dei casi che appaiono rientrare nella specifica disciplina di cui all’Art. 15 della Costituzione, cioè di quelle fattispecie – quale quella prevista dall’Art. 195-bis del c.d. Decreto Rilancio di cui oggi ci occupiamo – che consentono, in determinati casi e nell’ambito dei principi di proporzionalità e sul presupposto della gravità e reiterazione delle violazioni commesse dagli utenti, di imporre ai fornitori di servizi della società dell’informazione che utilizzano, anche indirettamente, risorse nazionali di numerazione, di porre fine alle violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi.
Costituzionali i nuovi poteri Agcom su copyright
A tale proposito, riprendendo quanto sopra brevemente tratteggiato, va sottolineato che, secondo taluni assertori dell’illegittimità costituzionale della norma recentemente introdotta dal Decreto Rilancio, essa infrangerebbe il diritto all’inviolabilità della corrispondenza in quanto sulla scorta del suo dettato gli intermediari sarebbero richiesti di intervenire sui servizi di messaggistica (es. Telegram, Whatsup) per bloccare i contenuti illeciti che sono messi a disposizione (anche pubblicamente) di altri utenti attraverso tali mezzi di comunicazione, in tal modo impedendo la libertà di espressione e interferendo con lo scambio di comunicazioni che dovrebbero rimanere segrete al pari dei nomi delle persone coinvolte.
A nostro avviso, tale affermazione – oltre ad essere giuridicamente infondata, come vedremo – mira a rendere impossibile le iniziative volte a porre fine alle violazioni on-line che sono commesse attraverso le piattaforme di nuova generazione, le quali sono state sviluppate attraverso una tecnologia basata sul cloud introducendo un sistema di chat crittografate volto ad impedire l’intercettazione dei messaggi oltre a escludere che i contenuti allegati o trasmessi assieme ai messaggi siano presenti nella memoria del dispositivo utilizzato per veicolarli. L’ipotesi di sottrarre questi intermediari dei servizi di messaggistica istantanea dai vincoli loro imposti dall’art. 8.3 della Direttiva 2001/29/CE, non appare – ad avviso di chi scrive – conforme ai principi della tutela dei diritti di proprietà intellettuale contenuti nei trattati internazionali e nelle Direttive dell’Unione Europea, causando un vulnus potenzialmente insanabile verso i mezzi trasmissivi di prossima generazione che si baseranno sempre di più su servizi cloud accessibili attraverso tecnologie che escludono il diretto coinvolgimento dell’ISP nelle operazioni di trasmissione di dati e di informazioni.
Sotto il profilo squisitamente legale, questi servizi di messaggistica non rientrano, nel momento in cui vengono impiegati per la trasmissione a terzi di contenuti abusivamente acquisiti, nell’ambito della definizione del termine “corrispondenza” quale esso è inteso dall’art. 15 della Carta Costituzionale.
Se prendiamo le mosse dalle connotazioni proprie del termine “corrispondenza” contenuto nell’art. 15 della Costituzione, quali esse sono state individuate nella sent. 366/1991 della Corte, cioè nella “segretezza” della comunicazione e, quindi, nel diritto di ciascun individuo di escludere ogni altro soggetto diverso dal destinatario della conoscenza della comunicazione stessa, allora non possiamo non ravvisare nel ragionamento di chi vuole includere in tale ambito le violazioni dei D.A. un tralignamento dal significato reale della norma.
La lettura dell’art. 15 della Costituzione fornita da insigni giuristi, non solo conduce a restringere la sua applicabilità alle comunicazioni “sottratte alla conoscibilità di terzi, con le normali cautele a disposizione del mittente” (A. Pace, “Commento all’art. 15 della Costituzione” in Commentario Costituzionale Branca, Bologna 1977)[14], nel senso che la norma non tutela tutte le comunicazioni interpersonali ma solo quelle riservate fra soggetti (Corte Cost. Sent. N. 1030 del 15 novembre 1988 e Sent. N. 81 dell’11 marzo 1993)[15], ma ci porta a restringere ulteriormente la sua portata in relazione ai mezzi trasmissivi utilizzati e al numero dei destinatari delle comunicazioni.
A tale stregua – come ha osservato il Caruso C. (opera citata in nota 7, pag. 19 del suo saggio) – “affinché vi sia una comunicazione riservata ex art. 15 Cost., si renderà necessaria un’analisi caso per caso che verifichi la sussistenza di ben definiti “indici di riservatezza” in capo alle nuove forme comunicative”.
Secondo lo stesso autore si dovrà quindi indagare: “a) l’effettiva volontà (animus) del mittente e in via subordinata del destinatario della comunicazione; b) sulla determinatezza dei destinatari sotto il profilo quantitativo (più saranno i destinatari meno garantita sarà la sua segretezza); sulla fungibilità (commutatività) del/dei destinatario/i (…); d) sull’idoneità del mezzo a mantenere segreto il contenuto della comunicazione (…)”.
In conclusione
In base ai principi enucleati dagli arresti della Corte Costituzionale sopra ricordati e dai successivi apporti della prevalente dottrina, possiamo concludere che la libertà di pensiero e la tutela della riservatezza dei dati nella corrispondenza non escludono l’intervento delle Autorità nei casi in cui tali valori costituzionali vengano asserviti al perseguimento di attività illecite che sono visibili a chiunque acceda ai canali o ai messaggi postati e messa a disposizione di tutti sul web.
NOTE
[1] «Art. 195-bis. – (Disposizioni in materia di tutela del diritto d’autore) – 1. Ai fini dell’attuazione di quanto previsto dall’articolo 8 della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, e dagli articoli 3 e 9 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, su istanza dei titolari dei diritti, può ordinare ai fornitori di servizi della società dell’informazione che utilizzano, a tale fine, anche indirettamente, risorse nazionali di numerazione di porre fine alle violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi.
- Al comma 31 dell’articolo 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: “Se l’inottemperanza riguarda ordini impartiti dall’Autorità nell’esercizio delle sue funzioni di tutela del diritto d’autore e dei diritti connessi, si applica a ciascun soggetto interessato una sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila fino al 2 per cento del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notifica della contestazione”.»
[2] https://www.giurcost.org/decisioni/2015/0247s-15.html
[3] Art. 15 Cost. “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.
[4] Come evidenzia il secondo comma dell’art. 10 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, l’esercizio della libertà di espressione (comprensivo del diritto di opinione e di quello di ricevere o comunicare informazioni) “poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che sono costituzionalmente necessarie”, in tali limitazioni rientrando anche la protezione dei diritti di terzi.
[5] Roberto Zaccaria – Alessandro Valastro – Diritto dell’Informazione e della Comunicazione (CEDAM, 2010)
[6] Carla Di Lello in “L’Art. 15 Cost. e inviolabilità e segretezza delle comunicazioni in Internet” (2008).
[7] Corrado Caruso “La libertà e la segretezza delle comunicazioni nell’ordinamento costituzionale” (2013)
[8] Sent. Corte Cost. n. 366 del 23 luglio 1991
[9] Nel Regno Unito la High Court of Chancery Division di Londra, ha statuito nella sentenza del 17 novembre 2011 che il diritto alla libertà di espressione previsto dall’art. 10(2) della Convenzione Universale sui Diritti dell’Uomo, non è violato dalla imposizione di un ordine di site blocking, laddove tale misura restrittiva sia necessaria, proporzionata e prevista dalla legge.
Fra le molte decisioni inglesi che riguardano la materia, va ricordata per la chiarezza della motivazione quella resa nella causa fra Dramatico Entertainment contro British Sky Broadcasting et. al. (re: The Pirate Bay) Rep. 2012 EWHC 268 (Ch) reperibile qui https://www.cdt.org/policy/cases-wrestle-role-online-intermediaries-fighting-copyright-infringement, nonché vanno richiamati gli ordini della High Court di Londra in tema di dynamic injunctions [cfr. The Football Association Premier League Ltd v British Telecommunications Plc & Ors [2018] EWHC 1828 (Ch)], attraverso i quali si sono impediti con appositi ordini preventivi gli atti di messa a disposizione del pubblico di eventi calcistici della Premier League inglese.
[10] Sul bilanciamento fra diritti fondamentali e diritto d’autore, interessanti spunti si ricavano anche dalle decisioni della Suprema Corte Federale tedesca (Bundesgerichtshof) del 30 aprile 2020 (Casi ZR 139/15 e ZR/228/15 Funke Medien e Spiegel on-line, decisi a seguito del rinvio operato dalla Corte di Giustizia Europea).
[11] Sentenza Corte Cost. n. 105 del 15 giugno 1972
[12] Sentenza Corte Cost. n. 86 del 21 marzo 1974
[13] Sent. Corte Cost. n. 131 del 28 giugno 1973
[15] Sul punto conforme l’opinione di Barile P. in “Diritti dell’uomo e libertà fondamentali” (Bologna, 1984, pagg. 163 e ss.)