La pandemia, che pressoché in tutto il mondo ha costretto le persone in casa, ha avuto un impatto dirompente sulle modalità di consumo dei contenuti media: il consumo di video-streaming è schizzato alle stelle, sottoponendo le reti esistenti a una pressione crescente, legata all’aumento esponenziale del traffico, all’uso massivo della banda sia in termini di visualizzazioni che di utilizzo dei servizi.
Una tendenza al cambiamento destinata a continuare anche in futuro, contestualmente all’arrivo del 5G e della costante crescita della fibra ottica.
In questo contesto si inserisce il tema del Recovery Fund e di come il settore dei contenuti, dei media audiovisivi e più in generale dell’industria creativa possa aspirare a partecipare a pieno titolo alla ripartizione del 20% dei fondi destinati dal Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) al digitale.
Pandemia e media: vincitori e sconfitti
Il punto di partenza è un dato di fatto.
Nel corso dell’ultimo anno in tutti i media si è registrata una crescita costante e significativa, sia per quanto riguarda la televisione tradizionale che il video streaming. Ma mentre la tv “broadcast” a pagamento (niente sport, proposta troppo costosa) e quella gratuita (investimenti pubblicitari determinati dalla situazione dell’economia generale) hanno subito perdite significative in termini economici, lo streaming video (Netflix, Disney +, Amazon, ecc..) oltre a crescere tra i suoi abituali utilizzatori è diventato popolare anche in una parte della popolazione meno incline all’uso della tecnologia digitale, portando a casa un tasso di crescita nei consumi e un incremento dei ricavi mai visti prima.
D’altra parte, però, anche in questo settore gli effetti della pandemia potrebbero farsi sentire nel breve / medio periodo, in conseguenza del blocco di molte produzioni, sia in ambito internazionale che a livello locale. Inoltre, anche le problematiche legate ai protocolli di sicurezza rendono più complicato il lavoro delle stesse maestranze a tutti i livelli, con il rischio di mettere in crisi un settore che invece potrebbe trarre il massimo vantaggio da un forte incremento della domanda e dai maggiori ricavi delle grandi imprese internazionali, obbligate peraltro a investire sempre più nel prodotto europeo e nazionale.
Più in generale questo comporta una minore competitività delle imprese europee e nazionali, chiamate a modificare/integrare i loro modelli di business, con il rischio di perdere i ricavi consolidati e di non essere in grado di rivaleggiare con operatori internazionali in grado di investire risorse ingenti da spalmare nel mercato globale.
2020, i numeri del mercato tv italiano
Alla luce di tutto ciò nel 2020, secondo le stime di ITMedia Consulting, il mercato televisivo italiano ha registrato una perdita di 300 milioni di euro, scendendo di nuovo al di sotto della barriera degli 8 miliardi di euro.
Le entrate pubblicitarie
Se la pay-TV, anche come conseguenza dell’esplosione dei servizi di video streaming appena ricordati, è cresciuta del 3,9%, compensando ampiamente le perdite del digitale satellitare e terrestre (Sky), conseguenti soprattutto all’annullamento degli eventi sportivi e del calcio durante il lockdown e al loro minore appeal in tutto il periodo emergenziale (assenza di pubblico, eventi sospesi o rinviati, ecc..), la pubblicità ha lasciato sul terreno quasi il 10%, determinando in tal modo (oltre a una riduzione dei ricavi da canone) la perdita del mercato nel suo complesso.
Sebbene una crescente parte dei ricavi TV provengano dalle offerte online, di fatto però la grandissima parte degli investimenti pubblicitari su internet vanno alle grandi piattaforme digitali (Google e Facebook in primis) e quindi le entrate video online finanziate da pubblicità dei broadcaster non riescono a compensare se non marginalmente il grande calo delle entrate pubblicitarie lineari nel periodo.
Come sopra ricordato, a fare le spese di tutto ciò sono soprattutto le imprese nazionali, tuttora ancorate a modelli di business tradizionali e incapaci di trarre vantaggio dai processi di innovazione in atto, accentuati fase di crisi legata alla pandemia.
Il mercato TV in Italia (2019-2020)
Fonte: ITMedia Consulting
La Tv digitale
In prospettiva, il cambio di paradigma appena descritto ha comportato tra l’altro che dopo aver raggiunto nel 2015 il suo massimo livello di penetrazione, la televisione digitale terrestre (DTT) continua a subire una costante riduzione, in conseguenza alla crescente competizione del broadband, che si è ancor più accentuata nell’ultimo anno. Il fenomeno, come ricordato, subirà un’ulteriore accelerazione negli anni a venire, anche per le difficoltà connesse allo switch-off dal DVB-T al DVB-T2, di cui parleremo di seguito e i cui effetti si manifesteranno compiutamente però solo alla fine del 2022. Per questi motivi, ITMedia Consulting prevede che entro il prossimo anno il 50% delle abitazioni in Italia avranno accesso da casa in via prioritaria alla Tv a larga banda e ai servizi di video streaming, rendendo sempre meno attraente l’offerta terrestre, ormai quasi esclusivamente in chiaro.
Penetrazione delle piattaforme tecnologiche
Il passaggio da DVB-T a DVB-T2
L’ingresso di Netflix & soci ha inoltre aperto la strada a una nuova era nel mondo dei contenuti e del video intrattenimento, favorendo processi di consolidamento e di convergenza, tra media e telecom, con forte impatto anche su tutti gli elementi della catena del valore e dei modelli di business televisivi.
La crescente diffusione della fibra e il lancio dei servizi in 5G accentuerà la domanda per nuove forme di consumo in modalità non lineare, destinate a diventare una componente sempre più significativa della dieta televisiva anche in Italia.
In questo contesto si colloca anche un altro processo, che riguarda l’Europa e che avrà un impatto significativo nel settore già nel breve medio periodo, soprattutto in Italia, ed è lo switch-off nel digitale terrestre da DVB-T a DVB-T2, atteso entro il 2022. Questo evento è legato al rilascio delle frequenze 700Mhz destinate al 5G e alle telcos, che le hanno acquisite tramite asta.
Anche in Italia, come nel resto dell’Europa, la transizione da DVB-T a DVB-T2 è prevista entro giugno 2022, quando si concluderà lo switch off completo, previsto in tre fasi, con uno spegnimento per (4) macro-aree geografiche secondo il seguente calendario: dismissione DVB/MPEG-2 da settembre 2021; periodo transitorio DVBT / MPEG-4 o DVB-T2, di durata diversa a seconda delle macro-aree; passaggio al DVB-T2 MPEG-4 in tutto il paese, secondo le macro aree identificate nel Piano.
Anche a causa dei ritardi dovuti alla pandemia, la terza fase è la più difficile da realizzare, poiché richiede la sostituzione di gran parte degli apparati presenti in casa, in una fase di transizione dal sistema televisivo ricordata sopra, dove la presenza di alternative consistenti, soprattutto la internet TV, rende più complicato questo passaggio, ipotizzato in Europa (2016) in un’era geologica diversa da quella che oggi stiamo vivendo.
Al contempo, la prossima generazione di tecnologia mobile, a cominciare dal 5G, è al momento sotto pressione, nella ricerca di rispettare i tempi di implementazione previsti. Il 2019 è stato un anno fondamentale, con gli operatori che hanno iniziato il lancio dei primi servizi commerciali e i casi d’uso delle aziende sono diventati sempre più chiari e definiti. Così se l’impatto maggiore che il 5G avrà inizialmente sul mercato sarà presumibilmente sull’esperienza broadband mobile, è peraltro prevedibile un utilizzo del 5G video diverso, che include esperienza di servizi streaming personalizzati in 8k e di servizi broadcast sostitutivi della DTT.
Peraltro, mentre è necessario in tutti i casi il rilascio delle frequenze della banda 700, che, come abbiamo visto, rischia di subire ulteriori ritardi, la situazione d’incertezza attuale sembra il preludio per una ulteriore accelerazione nella sostituzione della TV digitale terrestre con altre piattaforme, broadband TV in primis.
L’industria audiovisiva italiana e l’accesso ai fondi del PNRR
Da un lato è incontestabile l’incidenza sia culturale che economica del settore, con un elevato numero di addetti, anche in termini di indotto, e in grado di generare per ogni euro speso un ritorno positivo tra 1,5 e 2 euro. D’altro canto, anche per quanto sopra descritto, il settore sta vivendo una fase di transizione molto importante, legata ai processi di innovazione, senza dimenticare quanto la pandemia abbia determinato, soprattutto sul versante delle produzioni, impatti negativi in materia di occupazione e di sopravvivenza delle imprese, costrette a ritardare o bloccare produzioni e progetti in corso.
Se dunque la finalità dei fondi europei è di finanziare in modo non assistenziale la ripresa economica e se in questa prospettiva le risorse investite devono generare un incremento più che proporzionale degli investimenti privati per consentire al Paese crescita, sviluppo e competitività a livello internazionale, appare essenziale che anche in questo settore, come in tutti quelli che avranno accesso a queste risorse, siano evitate forme di sostegno di tipo assistenziale e che il tema dell’innovazione e dello sviluppo siano al centro dei progetti finanziati.
In questo senso non vi è alcun dubbio che tutto ciò che si lega alla produzione e alla creatività rappresenta una necessità non più eludibile soprattutto nel nostro Paese e debba godere del massimo sostegno, al fine di innovare un settore in cui si richiedono competenze sempre più sofisticate e figure professionali in grado di rispondere a una domanda che non trova tuttora in Italia adeguata risposta in termini di offerta. Formazione, aumento dei livelli di occupazione, soprattutto giovanili, incentivi alle imprese appaiono dunque gli obiettivi primari da perseguire legati all’innovazione e alla digital transformation.
Sempre in questa direzione appare opportuno estendere anche alle PMI del settore l’uso delle tecnologie legate ai big data e all’intelligenza artificiale.
Questo aspetto riguarda sia la produzione, favorendo una più efficiente trasformazione dei processi produttivi in ambiente digitale, in tutte le sue diverse fasi e in tutta la catena del valore, sia la distribuzione, migliorando la capacità delle imprese di offrire servizi ai clienti attraverso lo sfruttamento di nuove tecnologie.
A partire dal cloud in grado di gestire in maniera più efficiente i flussi di lavoro per live streaming, VOD, TV lineare, per favorire la scalabilità, resilienza e qualità dell’esperienza, per aumentare la funzionalità per la personalizzazione e la pubblicità mirata.
Come pure il machine learning, su cui poggiano, tra gli altri, i sistemi di raccomandazione dei servizi di video streaming online; le applicazioni di blockchain, in materia di smart contract, maggiormente utili alla tutela degli autori e dei loro diritti sulle opere; per finire con le nuove tecnologie di rete come il 5G, fondamentale sia nelle applicazioni mobili che in prospettiva anche “televisive”, come possibile sostituto delle attuali reti broadcast fisse DVB.
Accanto a questi ambiti, ovviamente ve ne sono altri che meritano attenzione e nei quali anche il finanziamento diretto dei privati e delle imprese televisive sarà importante, tra cui a titolo di esempio, quelli in sicurezza informatica (cybersecurity) o nella lotta alle fake news e all’hate speech, attraverso programmi e altri strumenti che possano svilupparsi attraverso le Università e i Centri di Ricerca nazionali.
In tutti i casi ciò che bisognerà assolutamente evitare è sostenere progetti legati a standard, tecnologie o modelli di offerta che non guardino avanti, alla trasformazione in atto e quindi non siano a prova di futuro, ma al contrario scegliere solo quelli che ne colgano tutti gli elementi di innovazione e di trasformazione legati all’eco-sistema digitale, che ormai anche in Italia caratterizzano il settore a livello di consumi, e che richiedono dunque un cambiamento di prospettiva radicale che riguarda una parte consistente e tuttora predominante delle imprese che operano nel settore.