State of Privacy 2022

Per una gig economy etica serve un codice di condotta: i nodi da affrontare

La gig economy non comprende solo rider e driver, ma una platea molto ampia che si compone di una miriade di realtà differenti. Le questioni da affrontare sono complesse, soprattutto sul piano etico. Se ne è discusso nel corso dell’iniziativa State of Privacy promossa dall’Autorità per la protezione dei dati personali

Pubblicato il 29 Set 2022

Rocco Panetta

Partner Panetta Studio Legale e IAPP Country Leader per l’Italia

gig economy

Di gig economy si parla da anni ma, recentemente, anche dal punto di vista normativo, si è registrata una accelerazione, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo.

Il tema della tutela dei lavoratori delle piattaforme digitali è stato uno di quelli al centro della giornata di lavoro State of Privacy 2022 organizzata dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali a Napoli in occasione dei 25 anni dalla sua nascita.

Gig economy, il grande inganno: si può ancora risanare il lavoro?

Se ne è discusso al tavolo che ho avuto l’onere, e l’onore, di presiedere, guidando la discussione su un tema complesso e in divenire, affiancato da grandi professionisti di diversi settori come Stefano da Empoli di ICom, Andrea Puccio, di Puccio Penalisti Associati, Mario Guglielmetti dell’EDPS, Luca de Biase de Il Sole 24Ore, Gianluca Petrillo di Deliveroo, Andrea Goggi di Jobby, Gabriele de Giorgi di Uber, Alessandro d’Angelo di Cosaporto e, per il Garante, Lia Giannotta.

Dal tavolo di lavoro è emersa, tra le altre cose, la necessità di lavorare, ancor prima che sulle regole, sulle premesse del futuro impianto normativo e di avviare i lavori per un Codice di Condotta, ai sensi del GDPR, che includa una forte componente etica e di attenzione all’individuo.

Ecco le questioni da affrontare con urgenza.

Il quadro normativo

Prima dell’estate è stato presentato un ddl volto a tutelare i lavoratori di questo settore emergente, attraverso cui si vorrebbero stabilire dei livelli minimi di tutela e si individuano i parametri che costituiscono il segnale di un rapporto subordinato, in luogo di uno da libero professionista.

A ciò si aggiunge la proposta di direttiva della Commissione europea, presentata a Bruxelles il 9 dicembre 2021, per migliorare le condizioni dei lavoratori delle piattaforme, e che vede come relatrice per il parlamento europeo Elisabetta Gualmini. Secondo i dati della Commissione, i gig worker, che oggi contano una platea di 28 milioni di lavoratori in Europa, saliranno a quota 43 nel 2025. Uno dei problemi più annosi, anche a livello europeo, è la corretta identificazione di alcuni gig worker come dipendenti o come lavoratori occasionali a partita iva. E vi sarebbe un richiamo al GDPR all’art. 20, laddove obblighi di trasparenza indurrebbero a rendere edotto il lavoratore circa la presenza di strumenti e sistemi idonei a monitorare automaticamente dati che li riguardano – in Italia, come noto, tale comportamento è altresì disciplinato dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.

What is the Gig Economy?

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La necessità di un codice di condotta con una forte componente etica

Già dal testo della Commissione si è visto come parlare di gig worker non comprenda più solamente rider e driver, bensì una platea ben più amplia, che si allarga a tutta la “platform economy”, e che si compone pertanto di una miriade di realtà differenti, con sottomercati e business model molto eterogenei tra loro.

Inoltre, anche la percezione esterna che queste realtà siano fiorenti deve essere rivista alla luce dei dati. Da quando sono nate, la realtà delle piattaforme della gig economy (in particolare quelle che gestiscono i rider e i driver) non ha mai fatto utili e, ultimamente, nonostante gli anni positivi dovuti alla situazione pandemica, anche gli investimenti, che finora ne hanno sostenuto il business, hanno iniziato ad essere più attenti agli utili dopo anni in cui ci si accontentava dell’ampiamento della base degli utenti. Di questo si deve tener conto nel bilanciamento dei diritti e dei doveri se si vorrà che queste realtà continuino ad esistere, pur nel rispetto dei diritti fondamentali.

Proprio per trovare un giusto bilanciamento tra gli interessi dei lavoratori, degli utenti e delle piattaforme, il tavolo ha convenuto che sarebbe opportuno avviare i lavori per un Codice di Condotta, ai sensi del GDPR, che includa una forte componente etica e di attenzione all’individuo, diffondendo la consapevolezza del valore dello spazio privato. In tal senso è positivo l’indirizzo della Commissione che nella proposta di direttiva prevede che non si possano usare i dati personali del lavoratore come il suo stato fisico e psicologico, la sua salute, o i messaggi scambiati con gli altri lavoratori, inclusi i sindacalisti.

Dovrebbe trattarsi di un Codice di Condotta, da considerarsi sempre aperto ad un costante aggiornamento, e che preveda un confronto continuo con tutti gli stakeholder, per il raggiungimento di obiettivi e incentivi condivisi. Attraverso di esso occorrerebbe anche provare a bilanciare l’accesso all’informazione per esigenze di efficienza di mercato, per migliorare la qualità e l’efficienza del servizio, per garantire i diritti fondamentali e la giustizia sociale.

Un’altra richiesta pervenuta dal tavolo è stata poi quella di valorizzare l’uso dei dati per tutti gli stakeholders, attraverso innovazione su temi cruciali come quello della trasparenza, della anonimizzazione, della condivisione e del diritto all’analisi scientifica.

In tal senso le proposte normative già approvate e in corso di discussione a Bruxelles, come quelle relative alla creazione di consorzi intermediari dei dati (previsti dal Data Governance Act e dal Data Act) ai quali partecipino gli stakeholder, vanno nella giusta direzione. Con tali consorzi si parteciperebbe alla creazione di un bene comune da gestire, con una regola multistakeholder scritta nel Codice di condotta, che faciliterebbe il riuso dei dati, opportunamente anonimizzati e aggregati, come potente strumento conoscitivo alla base delle scelte delle amministrazioni locali e delle aziende.

Conclusione

L’esperienza di State of privacy ha confermato che il ruolo dei professionisti della privacy è quello di mediatori tra le esigenze normative e quelle aziendali, dove la guida è la tutela della persona. E l’unico modo per trovare il giusto equilibrio è attraverso il confronto delle parti, con l’aiuto dell’Autorità, dove non ci sono buoni o cattivi, ma tanti attori che vogliono e devono fare il meglio per il bene collettivo, a beneficio di aziende, lavoratori e utenti.

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